La giara. Луиджи Пиранделло
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Читать онлайн книгу La giara - Луиджи Пиранделло страница 6

Название: La giara

Автор: Луиджи Пиранделло

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 9782291069720

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СКАЧАТЬ alla loro coscienza, di fronte agli uomini; a volerlo scansare, si sarebbero certo perduti.

      Conclusione di queste tormentose riflessioni: la certezza che oggi o domani, forse quella notte stessa, nel sonno, lo avrebbero assassinato.

      Attese, fino a tanto che nella grotta non si fece bujo.

      Allora, al pensiero che quel silenzio, e la stanchezza potessero su lui più della paura di cedere al sonno, sentì dalla testa ai piedi un fremito di tutto il suo istinto bestiale che lo spingeva, pur così con le mani e i piedi ancora legati, a uscir fuori della grotta a forza di gomiti, strisciando come un verme per terra; e dovette penar tanto a persuadere a quel suo istinto atterrito di fare quanto meno rumore fosse possibile; perché poi, tanto, che sperava sporgendo il capo come una lucertola fuori della tana? Niente! vedere il cielo almeno, e vederla lì fuori, all'aperto, con gli occhi, la morte, senza che gli fosse inflitta a tradimento nel sonno. Questo, almeno.

      Ah, ecco… Zitto! Era lume di luna? Luna nuova, sì, e tante stelle… Che serata! Dov'era? Su una montagna… Che aria e che altro silenzio! Forse era il monte Caltafaraci, quello, o il San Benedetto… E allora, quello là? Il piano di Consòlida, o il piano di Clerici? Sì, e quella là verso ponente doveva essere la montagna di Carapezza. Ma allora quei lumetti là, esitanti, come sprazzi di lucciole nella chiaria opalina della luna? Quelli di Girgenti? Ma dunque… oh Dio, dunque era proprio vicino? E gli pareva che lo avessero fatto camminare tanto… tanto…

      Allungò lo sguardo intorno, quasi gl'incutesse paura la speranza che quelli lo avessero lasciato lì e se ne fossero andati.

      Nero, immobile, accoccolato come un grosso gufo su un greppo cretoso della montagna, uno dei tre, rimasto a guardia, si stagliava preciso nella chiara soffusione dell'albor lunare. Dormiva?

      Fece per sporgersi un po', ma subito lo sforzo gli s'allentò nelle braccia alla voce di colui, che, senza scomporsi, gli diceva:

      – Vi sto guardando, don Vicè! Rientrate, o vi sparo.

      Non fiatò, come se volesse far nascere in colui il dubbio d'essersi ingannato, rimase lì quatto a spiare. Ma colui ripeté:

      – Vi sto guardando.

      – Lasciami prendere una boccata d'aria, – gli disse allora. – Qua si soffoca. Mi volete lasciare così? Ho sete.

      Colui si scrollò minacciosamente:

      – Oh! se volete restare costì, dev'essere a patto di non fiatare. Ho sete anch'io e sono digiuno come voi. Silenzio, o vi faccio rientrare.

      Silenzio. E quella luna che rivelava tanta vista di tranquilli piani e di monti… e il sollievo di tutta quell'aria, almeno… e il sospiro lontano di quei lumetti là del suo paese…

      Ma dov'erano andati gli altri due? Avevano lasciato a questo terzo l'incarico d'ucciderlo durante la notte? E perché non subito? Che aspettava colui? Aspettava forse nella notte il ritorno degli altri due?

      Fu di nuovo tentato di parlare, ma si trattenne. Tanto, se avevano deciso così…

      Volse gli occhi al greppo dove colui stava seduto: lo vide ricomposto nel primo atteggiamento. Chi era? Alla voce, poc'anzi, gli era parso uno di Grotte, grosso borgo tra le zolfare. Che fosse Fillicò? Possibile? Buon uomo, tutto d'un pezzo, bestia da lavoro, di poche parole… Se era lui veramente, guaj! Così taciturno e duro, se era riuscito a smuoversi dalla bontà, guaj.

      Non poté più reggere; e, con una voce quasi involontaria, vuota d'ogni intenzione, quasi dovesse arrivare a colui come non proferita dalla sua bocca, disse senza domandare:

      – Fillicò…

      Colui non si mosse.

      Il Guarnotta attese un pezzo e ripeté con la stessa voce, come se non fosse lui, con gli occhi intenti a un dito che faceva segni sulla rena:

      – Fillicò…

      E un brivido, questa volta, gli corse la schiena perché s'immaginò che questa sua ostinazione, di proferire il nome quasi senza volerlo, dovesse costargli, di rimando, una schioppettata.

      Ma neanche questa volta colui si mosse; e allora egli esalò in un sospiro d'estrema stanchezza tutto l'orgasmo della disperazione e abbandonò per terra il peso morto della testa come se veramente non avesse più forza né voglia di sorreggerlo. Lì, con la faccia nella rena, con la rena che gli entrava nella bocca come a una bestia morta, senza più curarsi del divieto che colui gli aveva fatto di parlare, né della minaccia d'una schioppettata, si mise allora a parlare, a farneticare senza fine. Parlò della bella luna che ora, addio, sarebbe tramontata; parlò delle stelle che Dio aveva fatto e messo così lontane perché le bestie non sapessero ch'erano tanti mondi più grandi assai della terra; e parlò della terra che soltanto le bestie non sanno che gira come una trottola e disse, come per uno sfogo personale, che in questo momento ci sono uomini che stanno a testa all'ingiù e pure non precipitano nel cielo per ragioni che ogni cristiano che non sia più creta della creta, cretaccia ma proprio di quella vile su cui Dio santo ancora non ha soffiato, dovrebbe almeno curarsi di sapere.

      E in mezzo a questo farnetichio si ritrovò d'improvviso che parlava davvero d'astronomia come un professore a colui che, a poco a poco, gli s'era accostato, ch'era anzi venuto a sederglisi accanto, lì presso l'entrata della grotta, e ch'era proprio lui, sì, Fillicò di Grotte, che le voleva sapere da tanto tempo quelle cose, benché non se ne persuadesse bene e non gli paressero vere: lo zodiaco… la via lattea… le nebulose…

      Già. Così. Ma perché quando uno non ne può più, che le ha proprio esaurite tutte nella disperazione le sue forze, altro che questo gli può avvenire di buffo! si può mettere come niente, anche sotto la mira di un fucile, a nettarsi le unghie attentamente con un fuscellino, badando che non si spezzi e non si pieghi, o a tastarsi in bocca, sissignori, i denti che gli sono rimasti, tre incisivi e un canino solo; e sissignori, a pensare seriamente se sono tre o quattro i figliuoli del bottajo, suo vicino di casa, a cui da quindici giorni è morta la moglie.

      – Parliamo sul serio. Ma dimmi un po': che ti pare che sono, per la Madonna, un filo d'erba?… questo filo d'erba qua che si strappa così, come niente? Toccami! Di carne sono, per la Madonna! e un'anima ho, che me l'ha data Dio come a te! Che mi volete scannare mentre dormo? No… sta' qua… senti… te ne vai? Ah, finché ti parlavo delle stelle… Senti che ti dico: scannami qua a occhi aperti, non mi scannare a tradimento nel sonno… Che dici? Non vuoi rispondere? Ma che aspetti? Che aspettate, si può sapere? Denari, non ne avrete; tenermi qua, non potrete; lasciarmi andare, non volete… Volete ammazzarmi? E ammazzami, corpo di Dio, e non se ne parli più!

      A chi diceva? Quello era già andato a riaccoccolarsi sul greppo come un gufo, per dimostrargli che di questo – era inutile – non voleva sentir parlare.

      Ma dopo tutto, che bestia anche lui! Non era meglio che lo uccidessero nel sonno, se dovevano ucciderlo? Anzi, più tardi, se ancora non si fosse addormentato, sentendoli entrare carponi nella grotta, avrebbe chiuso gli occhi per fingere di dormire. Ma già, che occhi! al bujo, poteva anche tenerli aperti. Bastava che non si movesse, quando sarebbero venuti a cercargli la gola, a tasto, come a un pecoro.

      Disse:

      – Buona notte.

      E si ritrasse.

      Ma non lo uccisero.

      Riconosciuto lo sbaglio, né liberare lo vollero e neppure uccidere. Lo tennero lì.

      Ma come, per sempre?

      Finché СКАЧАТЬ