I divoratori. Annie Vivanti
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу I divoratori - Annie Vivanti страница 17

Название: I divoratori

Автор: Annie Vivanti

Издательство: Public Domain

Жанр: Любовно-фантастические романы

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ style="font-size:15px;">      Nunziata disse il suo pensiero:

      – Non sei stanco di me, Nino? Oh, Nino! sei certo di non essere ancora stanco di me?

      – Ma cosa dici? Ma tu sogni. Io non mi stancherò mai di te. Mai! te lo giuro.

      Nunziata sorrise, amara.

      – « Ils faisaient d'éternels serments… » – mormorò.

      Nino le afferrò le bianche mani inerti.

      – Perchè, non sei felice? – domandò. – Perchè?

      – Non lo so! – sospirò lei.

      – Tu soffri, tu soffri. Lo so, lo sento. Lo sento tutto il giorno, anche quando ridi. E' colpa mia? dimmelo! dimmelo! Saresti più felice senza di me?

      – Nè con te, nè senza di te, posso vivere, – citò Nunziata.

      L'orchestra suonava l'aria della « Manon » di Massenet. L'anima di Nunziata era presa dalla sete dell'inafferrabile, dalla nostalgia della morte.

      Ma era tardi, e la campana della table-d'hôte era suonata da un pezzo. Ella si alzò con un lieve sospiro. Si ravviò i capelli, si sfiorò la faccia col piumino della cipria; poi, con una piccola e muta preghiera alla Madonna, mise il braccio sotto quello di Nino e scese a pranzo.

      – Non sarò più così stolta, – disse scendendo le scale. – E' assurdo, lo so. E' una cosa morbosa.

      Ma ecco che dopo il pranzo una ragazza di Budapest venne pregata di ballare. Sulle prime, essa rise ed esitò; poi sparì per pochi istanti, durante i quali Nunziata si sentì venir male.

      La giovinetta riapparve, scalza ed avvolta in lievi drappeggiamenti. E danzò. Danzò, rosea e fine come un petalo di fiori di pesco. Pareva l'incarnazione di tutte le primavere.

      E Nunziata fu di nuovo morbosa.

      Nino era disperato. Sospirò cupamente un verso del Verlaine:

      Mourons ensemble, voulez-vous?

      La straziata amante lo guardò, poi diede una breve risatina stridula, citando il verso che seguiva;

      Oh, la folle idée!

      Ed ella non era del tutto sincera nel suo riso, – come egli non lo era stato nel suo sospiro.

      Mentre gli amanti così, quasi per celia, invocavano la Morte, – lontano, nella Casa Grigia, quella macabra Visitatrice si era avvicinata, si era tolto il velo dall'orrore del viso, ed ora batteva, batteva alla porta… Un mattino la signora Avory, svegliatasi, trovò l'ultima delle sue figlie convulsa, con le labbra intrise di sangue.

      Un dottore chiamato in gran fretta aveva suggerito: Davos! Uno specialista venuto da Londra aveva ripetuto: Davos!

      Otto giorni dopo, la casa era chiusa, la servitù licenziata. Fräulein, disciolta in lagrime, era migrata in una famiglia americana del vicinato. Valeria, pallida e triste, e la piccola Nancy, singhiozzante e aggrappata al collo di Edith, avevano detto « Addio! Addio! » ed erano partite per l'Italia con lo zio Giacomo.

      Edith e sua madre, tragiche e sole, volsero i passi verso le cime dove brilla eterna la neve e la speranza.

      XI

      Davos scintillava adamantino e terso nel sole invernale.

      Edith giaceva sulla terrazza dell'Hôtel Belvedere, con una coltre ravvolta intorno alle ginocchia e un parasole aperto sul capo.

      Era felice. Sua madre le aveva allora allora portato una lettera di Nancy.

      La piccola Nancy, che l'aspettava in Italia – (oh, non avrebbe avuto molto da aspettare! Ancora un po' di tempo, ed Edith sarebbe completamente guarita!) – le scriveva una lettera, tutta d'amore e di tenerezza, dicendole di far presto a guarire! La vita senza Edith, scriveva la bimba, era un brutto sogno; l'Italia senza Edith non era che una macchietta verde e un nome sulla carta geografica, ma in realtà non esisteva affatto! La zia Carlotta e la cugina Adele erano buone e care persone con voci forti e risate larghe – come tutti, del resto, a Milano – ma Nancy non le capiva e non le amava. Non amava che Edith. Non voleva che rivedere Edith, essere vicina a Edith! e non lasciarla più. – Ah, quasi dimenticava di dirle che aveva scritto due poesie in italiano; e sua mamma le trovava più belle di tutte le altre cose scritte prima. E addio! e arrivederci! e che Edith guarisse presto presto, per poter tornare tutti insieme in Inghilterra ed essere felici.

      V'era un affettuoso poscritto di Valeria che le diceva di essere buona e di guarir presto.

      Sì, sì! Edith sentiva che sarebbe guarita presto. Era l'ora in cui la temperatura le saliva, e il leggiero frizzore che la febbre le metteva nel sangue le dava un senso di eccitazione, quasi di fretta. Essa si sentiva vivere, intensamente, smaniosamente.

      Strinse sulle labbra la lettera della piccola Nancy, e riaffondò il capo nei cuscini.

      La sua seggiola a sdraio era la penultima di una lunga serie di seggiole identiche, tutte in fila sulla terrazza a mezzogiorno dell'Hôtel Belvedere. Da ambo i lati, Edith vedeva altre figure adagiate con coltri e parasoli, come lei. La sua vicina di destra era una giovane russa, di pochi anni, forse, maggiore di lei, con una faccia magra e contratta e un rossore fisso al sommo delle gote. A sinistra giaceva Herr Fritz Klasen, un tedesco di ventiquattro anni, fresco di carnagione, largo di spalle, con grandi occhi azzurri e irrequieti.

      Quando Edith volse lo sguardo verso di lui, egli subito le parlò.

      – Come le piace Davos? – chiese.

      – Tanto, – rispose Edith.

      E il giovane approvò col capo e sorrise.

      La ragazza russa aprì gli occhi neri e guardò Edith.

      – E' appena arrivata? – domandò.

      – Sì, da tre giorni soltanto, – rispose Edith. – E lei, da quanto tempo è qui?

      – Da quattro anni, – disse la ragazza, richiudendo gli occhi.

      Edith volse il capo verso il giovane tedesco, scambiando con lui un'occhiata di compassione.

      – E lei? – gli domandò.

      – Io sono qui da otto mesi, – rispose il giovane. – Sono guaritissimo, e torno a casa in maggio.

      La russa riaprì i cupi occhi infossati, ma non parlò.

      – Va al ballo lei, questa sera? – chiese il giovane a Edith dopo un momento di silenzio.

      – Un ballo? qui? – domandò Edith, sorpresa.

      – Già, già! Proprio in questo hôtel, nel gran salone. Sicuro, si balla ogni mercoledì qui al Belvedere. E al Grand Hôtel ogni sabato. Questo è un posto dove ci si diverte molto! – E il giovane diede un piccolo colpo di tosse per schiarirsi la gola e canticchiò la « Valse bleue ».

      Quella sera Edith andò con sua madre nel gran salone, e sebbene non ballasse, si divertì assai. La signora Avory le chiedeva ogni momento:

      – Sei stanca? Sei stanca?

      Ma СКАЧАТЬ