Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ lavorato nelle prigioni dell'Affrica; e ritornato poi in Napoli, benchè fattosi Prete, fu colui, che più d'ogn'altro fomentò le revoluzioni popolari del Regno accadute nell'anno 1647, delle quali più innanzi farem parola.

      Intanto la città di Napoli, perchè a disordini sì gravi si desse pronto ristoro, avea segretamente spedito alla Corte il P. Taruggio Taruggi Prete della Congregazione dell'Oratorio; e consideratosi lo stato miserabile del Regno, e che per riparare alle tante strettezze, che cagionava la mancanza de' viveri e della moneta, eran necessari rimedi forti e solleciti, e che il genio facile ed indulgente del Cardinale non era confacente allo stato, nel quale eransi le cose ridotte: fu riputato espediente di levar il Cardinale, e mandare per Vicerè in Napoli il Duca d'Alba, il quale prestamente si pose in cammino, e giunse in Pozzuoli a' 14 del mese di dicembre di quest'anno 1622, e pochi giorni da poi prese il governo del Regno. Il Cardinal partì lasciando di sè concetto di mal fortunato Ministro, e che la sua natura troppo indulgente e dolce, avesse più tosto fomentati i disordini accaduti in tempo del suo governo. Egli però ci lasciò savi provvedimenti, che si leggono nel volume delle nostre Prammatiche, e s'additano nella Cronologia prefissa al primo tomo delle medesime.

      In tempo del suo Governo, e propriamente a' 31 marzo del 1612, accade la morte del Re Filippo III in età di 43 anni, de' quali ne regnò 22 e mezzo. Ne fece egli nel Duomo di Napoli celebrare pompose esequie, dopo aver fatto acclamare il Re Filippo IV con cavalcata e pubblica celebrità. Morì Filippo d'acuta febbre, che gli tolse intempestivamente la vita, e in età cotanto acerba ed immatura. Egli di Margherita d'Austria, che fu sua moglie, procreò tre maschi ed altrettante femmine: D. Filippo, che fu suo successore nei Regni; D. Carlo, che poi morì; e D. Ferrante, Diacono Cardinale del Titolo di S. Maria in Portico, detto comunemente il Cardinal Infante. Delle femmine, D. Anna fu moglie di Lodovico XIII Re di Francia; D. Maria maritossi con Ferdinando Re d'Ungheria, e poscia Imperadore; ed un'altra, che morì bambina. Il suo regnare fu più tosto d'apparenza, che di realtà; poichè contento della Regal dignità, lasciò governare a' Favoriti ed a' Consigli. Si credette, che quando per l'istigazioni del Duca d'Uzeda e di Fr. Luigi Aliaga Confessore del Re, fu comandato al Cardinal Lerma, che si ritirasse, fosse il Re per assumere in se stesso il governo; ma la morte, che poco da poi lo rapì ai travagli, che seco porta l'Imperio, ne interruppe le speranze. Principe, ch'essendo decorato degli ornamenti della vita, meglio che dotato dell'arte di comandare; siccome la bontà, la pietà e la continenza lo costituirono superiore a' sudditi, così la disapplicazione al Governo lo rese inferiore al bisogno. Tenendo oziosa la volontà, si credeva, che altra funzione non avesse riserbata a se stesso, che d'assentire a tutto ciò, che il Favorito voleva; e si credette, che nell'agonia della sua morte, non fosse tanto consolato della memoria de' suoi innocenti costumi, quanto agitato dagli stimoli della coscienza per l'omissione del governo. Con tutto ciò dal primo anno del suo regnare insino al penultimo stabilì per noi molte leggi savie e prudenti, le quali, secondo il tempo che si pubblicarono, vengono additate nella Cronologia prefissa al tomo primo delle nostre Prammatiche.

FINE DEL LIBRO TRENTESIMOQUINTO

      LIBRO TRENTESIMOSESTO

      Filippo IV succedè al padre in età così giovanile, che non avea oltrepassati i sedici anni, per esser egli nato in Valladolid agli 8 d'aprile dell'anno 1605. Il suo Regno fu molto lungo, avendo durato quarantaquattro anni e mezzo insino al 1665 anno della sua morte. Si sperava, che per l'assunzione al soglio d'un nuovo Re, dovessero cessare i Favoriti, ed assumer egli in se stesso il Governo, ma riuscì vana ogni lusinga; poichè portati al Re i dispacci, gli consegnò a D. Gaspare di Gusman, Conte d'Olivares, il quale, ancorchè lo desiderasse, mostrandosene alieno, con questa sua simulata modestia mosse il Re a comandargli, che fossero dati a chi il Conte volesse. Egli simulando moderazione, gli rassegnò a D. Baldassar di Zunica, vecchio ed accreditato Ministro; ma però di concerto tra loro, perchè, essendo il Zunica suo zio, aveano convenuto di sostenersi reciprocamente; onde presto caduta la maschera, tutto l'arbitrio ed il potere si restrinse nel Conte, che decorato ancora col titolo di Duca, si scoprirà ne' seguenti racconti con questo doppio titolo di Conte Duca. Nel suo lungo regnare, sempre più le cose peggiorando, fu questo Reame teatro infelice di grandi e funesti avvenimenti, per li quali rimase voto di forze e di denari, e miseramente travagliato ed afflitto. Egli avendone presa l'investitura dal Pontefice Gregorio XV lo governò in questo spazio di tempo per mezzo di nove Vicerè, che successivamente ne presero l'amministrazione, de' quali il primo fu D. Antonio Alvarez di Toledo Duca d'Alba, del cui governo saremo ora brevemente a narrare.

      CAPITOLO I

      Di D. Antonio Alvarez di Toledo Duca d'Alba, e del suo infelice e travaglioso governo

      Venne il Duca d'Alba a ristorar il Regno dalle precedenti calamità e miserie; ma per trovar efficaci rimedi a tanti mali, riusciva l'impresa pur troppo dura e malagevole. A fin d'evitare il disordine, che seco portava l'uso delle Zannette, se n'era incorso in un altro maggiore, per la ordinata loro abolizione, non essendovi materia, nè modo per surrogare in lor vece una nuova moneta: cagionossi per ciò un danno gravissimo non meno a' pubblici Banchi, che a' loro Creditori, li quali Banchi si trovavano avere di Zannette la somma di quattro milioni e quattrocentomila ducati. Molti altri particolari Cittadini si trovavano pure quantità grande di Zannette, che furono costretti a venderle a peso d'argento, con ciò impoverironsi molte famiglie, che per tal cagione si ridussero in una estrema mendicità, donde nasceva ancora la penuria di tutte le cose, e l'impedimento del commercio. A riparar questi mali applicò l'animo il Duca d'Alba nel principio del suo Governo, ed avendo formata una Giunta di Ministri e d'altre persone pratiche, commise allo scrutinio di quella di trovare opportuno espediente per restituire nel Regno l'abbondanza ed il commercio. Esaminato l'affare, fu conchiuso d'imporre una nuova gabella per riparare in parte a perdita sì grave, poichè ripararla in tutto era impresa disperata ed impossibile. Ma s'urtava in un altro scoglio, per la difficoltà, che s'incontrava, che non v'era materia sopra dove potesse imporsi. Era il Regno gravato di tante gabelle e dazj, che quasi tutte le cose, delle quali hassi bisogno per conservar la vita, n'erano gravate: pure, consideratosi che solo i vini, che si vendevano a minuto nell'Osterie pagavano il dazio, e gli altri, che entravano nella Città per vendersi a barile, o a botte per uso de' Cittadini, non portavano peso alcuno, fu risoluto d'imporre un ducato di gabella per botte. Così fu imposta questa nuova gabella, la quale affittatasi per la somma di circa ducati novantamila l'anno, fur queste entrate assegnate a' creditori de' Banchi per la terza parte de' loro crediti, de' quali ne riceverono un'altra terza parte in moneta nuova di contanti: e si assegnarono a' Partitarj, in soddisfazione del prezzo degli argenti somministrati per la nuova moneta, le rendite de' forastieri, delle quali era stata dal Cardinal Zapatta predecessore ritenuta un'annata da riscuotersi in quattro anni. A queste ordinazioni s'aggiunse la moderazione fatta a' prezzi de' cambj, alterati ad un segno, che non potevano tollerarsi; onde si cominciò un poco a respirare, ed a restituirsi, nel miglior modo che si potè, in parte il commercio.

      Ma nuovi accidenti tennero ne' seguenti anni non meno travagliato il Regno, che il Duca. Nel 1624 per un'infausta e scarsa raccolta di viveri, si vide la città in una grande angustia. Al flagello della carestia si accoppiò il timore della peste, che dipopolava la vicina Sicilia; ma rese al Duca più travaglioso il suo governo la guerra, che per lo Marchesato di Zuccarello s'accese tra il Duca di Savoja e la Repubblica di Genova, dalla quale, nel progresso di quella, per la fama del suo valore, reso celebre nelle guerre di Fiandra ed altrove, fu preso al suo servizio il nostro Maestro di Campo D. Roberto Dattilo Marchese di S. Caterina, figliuolo del Sargente Maggiore D. Alfonso, e confidatogli il comando della soldatesca pagata. Vi si aggiunse ancora l'altra guerra della Valtellina, per l'una e l'altra delle quali, per comando del Re, bisognava assistere di gente e di danaro. Mancava per sostenerle massimamente il danaro: le passate sciagure, in un governo senza economia, e con tutto ciò sempre profuso, posto in mano di Favoriti, che non come pastori legittimi, ma mercenarj, non curando le stragi e le calamità de' Popoli, aveano impoverito non meno i vassalli, che il Sovrano, e l'Erario Regale non era meno esausto che le borse de' sudditi; ma con tutto ciò il Conte Duca premeva il Vicerè, che dal Regno si spedissero milizie, e si soccorresse di danaro. Bisognò per provvedere all'estrema СКАЧАТЬ