Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4. Edward Gibbon
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4 - Edward Gibbon страница 15

СКАЧАТЬ Chiesa Gallicana, che Ilario medesimo più di trent'anni dopo il primo Concilio Generale non avea cognizione del simbolo Niceno202. I Latini avevan ricevuto il lume della cognizione divina per l'oscuro e dubbioso mezzo di una traduzione. La povertà e durezza della nativa loro lingua non era sempre capace di somministrare i giusti vocaboli, equivalenti a' Greci ed alle voci tecniche della Platonica filosofia203, che s'erano consacrate dal Vangelo o dalla Chiesa per esprimere i misteri della fede Cristiana; ed un difetto verbale poteva introdurre nella teologia Latina una lunga serie d'errori, o d'ambiguità204. Ma poichè le Province dell'Occidente avevano la fortuna di trarre la lor Religione da una sorgente ortodossa, esse mantennero con fermezza la dottrina, che avean ricevuto con docilità; e quando la peste Arriana s'accostò alle loro frontiere, fu applicato ad esse l'opportuno preservativo dell'Homoousion per le paterne cure del Romano Pontefice.

      A. D. 360

      Si spiegarono i sentimenti, e l'indole loro nel memorabil Sinodo di Rimini, che sorpassò in numero il Concilio di Nicea, mentre vi si trovarono più di quattrocento Vescovi dell'Italia, dell'Affrica, della Spagna, della Gallia, della Gran-Brettagna, e dell'Illirico. Fino da' primi dibattimenti si vide che soli ottanta Prelati aderivano al partito d'Arrio, quantunque affettassero di anatematizzarne la memoria ed il nome. Ma quest'inferiorità era compensata da' vantaggi della perizia, dell'esperienza e della disciplina; ed il minor numero era condotto da Valente ed Ursacio Vescovi dell'Illirico, che avean consumato le loro vite negli intrighi delle Corti e de' Concilj, e che nelle religiose guerre dell'Oriente erano stati attirati sotto la bandiera Eusebiana. Essi per mezzo de' loro argomenti e negoziati imbarazzarono, confusero, ed al fine ingannarono l'onesta semplicità de' Vescovi Latini, che si lasciarono strappar dalle mani il Palladio della fede, più per frode ed importunità, che per aperta violenza. Non fu permesso che si separasse il Concilio di Rimini, finchè i membri di esso non ebbero imprudentemente soscritto un ingannevole simbolo, nel quale furono inserite in luogo dell'Homoousion alcune espressioni, suscettibili d'un senso ereticale. Allora fu che, secondo Girolamo205, il Mondo con sua maraviglia si trovò Arriano. Ma appena i Vescovi delle Province Latine furon giunti alle respettive lor Diocesi, conobbero il loro sbaglio e si pentirono della lor debolezza. Fu rigettata con abborrimento e con isdegno l'ignominiosa capitolazione; e lo stendardo Homoousio, ch'era stato scosso, ma non atterrato, fu più stabilmente ripiantato in tutte le Chiese Occidentali206.

      Tale fu l'origine ed il progresso, e tali furono le naturali rivoluzioni di quelle teologiche dispute, che disturbaron la pace del Cristianesimo sotto i regni di Costantino e de' suoi figli. Ma siccome questi Principi presunsero di estendere il lor dispotismo sopra la fede non meno che sulle vite e sostanze de' loro sudditi, il peso del loro voto qualche volta fece pender la bilancia Ecclesiastica; e le prerogative del Re del Cielo furono stabilite, cangiate o modificate nel gabinetto d'un Monarca terreno.

      A. D. 324

      L'infelice spirito di discordia, che invase le Province dell'Oriente, interruppe il trionfo di Costantino; ma l'Imperatore per qualche tempo continuò a guardare con fredda e non curante indifferenza il soggetto della disputa. Ignorando egli ancora la difficoltà di quietare le contese de' Teologi, indirizzò ad ambi i contendenti, Alessandro ed Arrio, una moderata lettera207 che può attribuirsi con più ragione al libero senso d'un soldato e d'un politico che a' dettami di alcuno de' Vescovi suoi consiglieri. Egli attribuisce l'origine di tutta la controversia ad una minuta e sottile questione intorno ad un punto incomprensibile della legge, questione che fu scioccamente promossa dal Vescovo, e sciolta imprudentemente dal Prete. Si duole, che il popolo Cristiano, che aveva lo stesso Dio, la stessa religione e lo stesso culto, fosse diviso da tali meschine distinzioni; e seriamente raccomanda al Clero d'Alessandria di seguir l'esempio de' Greci filosofi, i quali sapevan sostenere i loro argomenti senza perder la tranquillità, e conservar la libertà propria senza violar l'amicizia. L'indifferenza ed il disprezzo del Sovrano sarebbe forse stato il metodo più efficace di por silenzio alla disputa, se la corrente popolare fosse stata meno rapida e impetuosa, e se Costantino medesimo in mezzo alla fazione ed al fanatismo avesse potuto conservar la calma ed il possesso della sua mente. Ma i suoi Ministri Ecclesiastici presto tentarono di sedurre l'imparzialità del Magistrato, e d'infiammare lo zelo del proselito. Fu egli provocato dagl'insulti fatti alle proprie statue; fu commosso dalla reale o immaginaria grandezza del male, che andava dilatandosi; ed estinse ogni speranza di pace e di tolleranza, dal momento che adunò trecento Vescovi dentro le mura d'un istesso palazzo. La presenza del Monarca accrebbe l'importanza della disputa; la sua attenzione fece moltiplicarne gli argomenti; ed egli espose la sua persona con un'intrepidezza sì paziente, che animò il valore de' combattenti. Nonostante l'applauso, che si è fatto all'eloquenza e sagacità di Costantino208, un Generale Romano, la cui religione poteva esser sempre dubbiosa, e la cui mente non era stata illuminata nè dallo studio, nè dall'inspirazione, doveva esser poco acconcio a discutere in Greco linguaggio una questione metafisica o un articolo di fede. Ma il credito d'Osio suo favorito, il quale sembra che presedesse al Concilio di Nicea, potè disporre l'Imperatore a favor della parte ortodossa; ed una osservazione fatta a tempo, che quel medesimo Eusebio di Nicomedia, il quale allora proteggeva gli Eretici, aveva innanzi assistito il Tiranno209, potè inasprirlo contro gli avversari. Il Simbolo Niceno fu ratificato da Costantino, e la sua ferma dichiarazione, che quelli che resistito avessero al divino giudizio del Sinodo, potean prepararsi immediatamente all'esilio, annientò i romori di una debole opposizione, che da diciassette Vescovi Protestanti fu quasi ad un tratto ridotta a due. Eusebio di Cesarea prestò un ripugnante ed ambiguo consenso all'Homoousion210; e l'equivoca condotta d'Eusebio di Nicomedia non servì che a differire circa tre mesi la sua disgrazia, ed il suo esilio211. L'empio Arrio fu bandito in una delle remote Province dell'Illirico; la sua persona ed i suoi discepoli furono infamati dalla legge coll'odioso nome di Porfiriani; i suoi scritti furon condannati alle fiamme; e fu stabilita la pena capitale contro coloro, appresso i quali si fosser trovati. L'Imperatore s'era allora investito dello spirito di controversia, e l'ardente e satirico stile de' suoi editti era diretto ad inspirare ne' sudditi l'odio che egli avea concepito contro i nemici di Cristo212.

      A. D. 328-337

      Ma come se la condotta dell'Imperatore avesse avuto per guida piuttosto la passione che un vero principio, appena eran passati tre anni dopo il Concilio Niceno, ch'ei dimostrò alcuni sintomi di misericordia ed eziandio d'indulgenza verso la setta proscritta, ch'era segretamente protetta dalla sorella sua favorita. Si richiamarono gli esuli; ed Eusebio che appoco appoco riprese la sua autorità sulla mente di Costantino, fu restituito alla Sede Episcopale, da cui era stato ignominiosamente deposto. Arrio stesso fu trattato da tutta la Corte con quel rispetto, che si sarebbe dovuto ad un innocente oppresso. La sua fede fu approvata dal Sinodo di Gerusalemme, e l'Imperatore parve impaziente di riparar l'ingiustizia fattagli, con emanare un assoluto comando, ch'egli fosse solennemente ammesso alla comunione nella Cattedrale di Costantinopoli. Nel medesimo giorno, ch'era stato stabilito pel trionfo d'Arrio, questi spirò; e le strane ed orride circostanze della sua morte potrebbero eccitare qualche sospetto, che i santi Ortodossi avessero contribuito più efficacemente che con le pure preghiere a liberar la Chiesa dal più formidabile de' suoi nemici213. I principali tre Capi de' Cattolici, Atanasio d'Alessandria, Eustazio d'Antiochia e Paolo di Costantinopoli sopra varie accuse furon deposti per decreto di numerosi Concilj; ed in seguito furon banditi in lontani paesi dal primo degl'Imperatori Cristiani, che negli ultimi momenti della sua vita ricevè i riti del battesimo dall'Arriano Vescovo di Nicomedia. Non può veramente salvarsi l'ecclesiastico governo di Costantino dalla taccia di leggerezza e di debolezza. Ma il credulo Monarca, inesperto degli stratagemmi nella maniera di guerreggiare teologico, potè restar ingannato dalle modeste СКАЧАТЬ



<p>202</p>

Testor Deum coeli atque terrae me cum neutrum audissem, semper tamen utrumque sensisse… Regeneratus pridem et in Episcopatu aliquantisper manens, fidem Nicaenam nunquam nisi exulaturus audivi. Hilar. de Sinod. c. 91. p. 1205. I Benedettini son persuasi, ch'egli governasse la Diocesi di Poitiers varj anni avanti il suo esilio.

<p>203</p>

Seneca Epist. 58, si duole, che neppure το ον de' Platonici, l'ens de' più arditi Scolastici, poteva esprimersi con un nome Latino.

<p>204</p>

La preferenza, che il quarto Concilio Lateranense finalmente diede ad una numerica piuttosto che generica unità (vedi Petav. Tom. II. lib. IV. c. 13 p. 424) veniva favorita dall'idioma Latino. Sembra che τριαϛ ecciti l'idea di sostanza: Trinitas quella di qualità.

<p>205</p>

Ingemuit totus orbis, et Arrianum se esse miratus est. Hieronym. adv. Lucifer. Tom. I. p. 145.

<p>206</p>

L'istoria del Concilio di Rimini vien narrata molto elegantemente da Sulpicio Severo (Hist. Sacr. l. II. p. 419-430 ed. Lugd. Batav. 1647) e da Girolamo nel suo dialogo contro i Luciferiani. Quest'ultimo ha in mira di difendere la condotta de' Vescovi Latini, che furono ingannati e che si pentirono.

<p>207</p>

Eusebio in vit. Const. l. II. c. 64-72. I principi di tolleranza e di filosofica indifferenza, contenuti in questa lettera, son molto dispiaciuti al Baronio, al Tillemont ec. i quali suppongono, che l'Imperatore avesse qualche cattivo consigliere, cioè o Satana, o Eusebio a' suoi fianchi. Vedi Jortin Osserv. Tom. II. p. 183.

<p>208</p>

Eusebio in vit. Const. l. III. c. 13.

<p>209</p>

Teodoreto ci ha conservato (l. I. c. 20) una lettera scritta da Costantino al popolo di Nicomedia, nella quale il Monarca medesimo si dichiara pubblico accusatore d'uno de' suoi sudditi: egli nomina Eusebio ο τηϛ τυραννικηϛ ωμοτητοϛ συμμυσηϛ (complice della tirannica crudeltà), e si duole dell'ostile condotta di lui nel tempo della guerra civile.

<p>210</p>

Vedi appresso Socrate (l. I. c. 8), o piuttosto ap. Teodoreto (l. I. cap. 12) una lettera originale d'Eusebio di Cesarea, nella quale tenta di giustificare la sua soscrizione all'Homoousion. Il carattere d'Eusebio è stato sempre un problema; ma quelli, che han letto la seconda Epistola critica del Clerc (Ars. crit. Tom. III. p. 30-69) debbono avere una opinione assai svantaggiosa della sincerità ed ortodossia del Vescovo di Cesarea.

<p>211</p>

Atanas. Tom. I. p. 707. Filostorg. l. 1 c. 10 col Coment. del Gottofredo p. 41.

<p>212</p>

Socrate. l. I. c. 9. In queste lettere circolari, che furono indirizzate a varie città, Costantino si servì contro gli Eretici delle armi del ridicolo e della facezia comica.

<p>213</p>

Noi prendiamo la storia originale da Atanasio (T. I. p. 670) che dimostra qualche ripugnanza ad infamar la memoria del morto. Egli poteva esagerare in quest'occasione, ma il continuo commercio fra Costantinopoli ed Alessandria avrebbe resa pericolosa ogni invenzione. Quelli che insistono sulla narrazione letterale della morte d'Arrio (evacuò ad un tratto gl'intestini in un cesso) debbono assolutamente scegliere o il veleno o un miracolo.