Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ abbattere e spegnere quelle del pupillo Re, ed esterminar in tutto il nome dei Catalani da quell'isola.

      Morì questo savio Re, non men oppresso dagli anni, che da gravi affanni e travagli, che in questi ultimi anni intrigarono l'animo suo in molestissime cure: vedea, che in sei anni che Andrea Duca di Calabria era stato nel Regno e nudrito nella sua Corte, Accademia e domicilio d'ogni virtù, non avea lasciato niente de' costumi barbari d'Ungheria, nè pigliati di quelli, che poteva pigliare, ma trattava con quegli Ungari che gli avea lasciati il padre, e con altri che di tempo in tempo venivano; tanto che il povero vecchio si trovò pentito d'aver fatta tal elezione, ed avea pietà grandissima di Giovanna sua Nipote, fanciulla rarissima, e che in quell'età, che non passava dodici anni, superava di prudenza non solo le sue coetanee, ma molte altre donne d'età provetta, avesse da passare la vita sua con un uomo stolido e da poco. Avea ancora grandissimo dispiacere, nell'antivedere, come Principe prudentissimo, le discordie che sarebbero nate nel Regno dopo la sua morte; perchè conosceva che il Governo verrebbe in mano degli Ungari, i quali governando con insolenzia, e non trattando i reali a quel modo, che gli avea trattati esso, gli avrebbe indotti a pigliare l'arme con ruina e confusione d'ogni cosa. E per questo, credendosi rimediare, convocò Parlamento generale di tutti i Baroni del Regno e delle città reali, e fece giurare Giovanna solo per Regina, con intenzione, ch'ella avesse dopo la sua morte da stabilirsi un Consiglio tutto dipendente da lei, e che il marito restasse solo in titolo di Consorte della Regina.

      S'aggiungea a questo un'altra molestia poco minore, perchè a quel tempo che si vedea, che poco potea durare la sua vita, nè si sperava successore abile a tener in freno gl'insolenti, in tutte le città maggiori nacquero dissensioni civili, non senza grandissimo spargimento di sangue, nè valevano i Giustizieri (che così si chiamavano allora i Governadori delle province, che oggi appelliamo Presidi) a prevedere ed estinguere tanto incendio. Dalle quali discordie crebbe tanto il numero de' fuorusciti per tutto il Regno, che non potendosi sopportare, bisognò che il Re provvedesse a modo di guerra, mandando Capitani e soldati per le province per estinguergli; e non era possibile, sì perchè i colpevoli si spargevano per diversi luoghi, e non davano comodità a' Capitani del Re di potergli espugnare tutti insieme, come ancora perchè molti Baroni gli favorivano e ricettavano nelle terre loro. Con questi affanni e cure mordacissime essendosi infermato, trapassò questo grandissimo Re a' 16 gennajo l'anno 1343, avendo regnato anni trentatre, mesi otto e dì sedici; e fu sepolto dietro l'altar maggiore di S. Chiara in quel nobile sepolcro, che ancor si vede.

      (Il Re Roberto nell'istesso dì 16 Gennaro nel Castelnovo di Napoli prima di morire fece il suo testamento, nel quale istituì erede universale in tutti i suoi Stati di Provenza e Regno di Sicilia, Giovanna sua nipote, figlia primogenita del Duca di Calabria premorto. E questo testamento estratto da' registri dell'Archivio reale di Provenza, fu impresso da Lunig).

      Lasciò Roberto nome del più savio e valoroso Re, che fosse stato in quell'età, ornato di prudenza, di giustizia, di liberalità, di modestia, di fortezza, ed altre virtù tanto militari, quanto civili. In quanto alla giustizia, mai non fu veduto il Regno così ben governato e con tanta prudenza, quanto che sotto di lui. Lo dimostrano le tante savie leggi che ci lasciò, l'ordine esatto de' Tribunali e de' Magistrati, e la cura che tenne d'elegger Ministri di somma dottrina e di costumi incorrotti. Proccurò che nel Regno fosse fra i Popoli una tranquilla pace e sommo riposo: tenne in freno gl'insolenti, e sterminò gli sbanditi e facinorosi che lo turbavano: ripresse la violenza degli Ecclesiastici, i quali sovente opprimevano i suoi vassalli: ed a questo Principe noi dobbiamo que' rimedj, onde ci facciamo scudo e difesa delle loro violenze e gravezze, che chiamiamo Regj Conservatorj, de' quali in questo luogo bisogna tenere un più lungo discorso.

      CAPITOLO IV

De' Conservatorj regj

      Nel Regno di Carlo I e II essendo, per le cagioni dette altrove, i privilegj ed immunità de' Cherici cresciuti nell'ultimo grado; ed essendo (tranne le feudali) così nelle cause civili, che nelle criminali, stati sottratti dalla giurisdizione de' Magistrati regj: la loro licenza e libertà crebbe tanto, che colla sicurezza di non potere i loro eccessi e violenze essere emendati da' Giudici Laici, i Prelati, i Cherici ed insino i Monaci insolentivano sovente contro i Laici, ed alcune volte anche contro i Cherici stessi meno potenti. Erano invase le loro possessioni, angariavano le loro persone, l'affliggevano con ingiurie, danni, rapine ed altre molestie. Ci testimonia l'istesso Roberto, che nel suo Auditorio non risuonavano altre querele, nè si sentivano altri gemiti e clamori, che di queste violenze, ed oppressioni41. Il savio Re per darne compenso prescrisse a' suoi Giustizieri la norma, come dovessero reprimere tante insolenze, ed emendare le oppressioni. Stabilì in quel suo famoso Capitolo, che incomincia Ad Regale fastigium, istromentato dal celebre Giureconsulto Bartolommeo di Capua suo Protonotario, che i Giustizieri, sopra questi eccessi non procedendo per via giudiziaria, nè ricercando cognitionalia ordinare certamina, ma solamente facta de injuriis, rapinis, et damnis illatis informatione summaria, per facti notorium, vel rei evidentiam, famam publicam, aut designationem aliam attestantem commissam injuriam, la facessero correggere e prontamente emendare.

      Prescrisse loro ancora, che per pruova della turbazione fossero solo contenti di proponere un general editto, nel quale senza specificar le persone perturbatrici, s'invitasse generalmente quicumque sua interesse putaverit, visurus accedat producendorum in causa testium juramenta, et oppositurus, quae circa rei substantiam voluerit allegare.

      Chiunque leggerà in questo capitolo le tante ragioni che Roberto allega per giustificarlo, e per farlo apparire moderato, e non eccedente la sua regal potestà, non potrà non essere sorpreso di maraviglia, vedendo un Re, che non intende altro che di tener pacato ed in riposo il suo Regno, e di rimover perciò da quello le rapine e le violenze, perchè punto non s'offendesse la libertà ecclesiastica, parlar con tanta riserba e moderazione, e con tante clausole piene di sommo rispetto e riverenza; come se a' Principi non fosse permesso per quiete de' loro Stati stabilire più forti ed efficaci leggi per estirpar que' mali e que' disordini onde vengono afflitti. Egli si protesta in prima, che quantunque contro le persone de' Prelati e de' Cherici comunemente la sua potestà non s'estenda; nulladimanco per la protezione e difesa che deve tenere di tutti i sudditi del suo Regno, perchè non siano oppressi, questo faceva che s'innalzasse il potere dell'eminente suo braccio. Concede di vantaggio, che i suoi Magistrati non possano contro le persone de' Prelati e dei Cherici, e nelle loro cause procedere per via di cognizion giudiciaria, e con formati processi; e perciò vuole, che si proceda per via di summaria ed estragiudizial cognizione, con tante moderazioni e rispettose riserve. Si dichiara e si protesta ancora, che si muove a ciò fare unicamente per affetto di carità e di compassione. Allega perciò l'esempio del Re Davide, che soccorse gl'Isdraeliti oppressi: di que', che per loro scampo confuggono alle statue de' Principi: che sia legge di natura ripulsare dal congiunto o vicino l'ingiurie: allega finalmente l'esempio di Mosè, il quale vedendo un Ebreo essere malmenato ed oppresso da un Egizio, lo stese morto a terra.

      Ma quello che maggiormente dimostra la sua moderazione, si è il considerare, che tutto ciò stabilì non per via di legge e di solenne editto, ma per forma di Lettera Regia di maniera che volle, che questo suo regolamento non si dovesse avere come sua Costituzione, in vigor della quale potessero i suoi Magistrati per se medesimi procedere, siccome regolarmente provedono in tutti gli altri casi, come esecutori delle leggi, senza aver bisogno, che il Principe lor dia altra spezial facoltà; ma ordinò, che i Giustizieri facendosi il caso, dovessero ricorrere al Principe, e da quello ricevere particolari lettere, onde si comunicasse loro questa autorità, intendendo per ciò che in questi casi avrebbero proceduto non per via d'ordinaria potestà, ma per quella comunicata loro dal Principe, a cui si appartiene unicamente, per la potestà economica di reggere i suoi Stati, e sovente per modi, ed espedienti estraordinarj, e non comunali, dipendenti dalla suprema potestà del suo eminente braccio. Quindi è, che Bartolommeo di Capua42 istesso, per la di cui penna fu il Capitolo dettato, notò, che questo non era Capitolo, cioè Costituzione, ovvero Editto, sed forma literae Regiae Curiae, quae debet dirigi Officiali a Rege in pendenti, alias Officialis ipse non potest procedere secundum formam hujus СКАЧАТЬ



<p>41</p>

Cap. Robertus, etc. Ad Regale fastigium. Sane in Adjutorio nostro inculcatione frequenti lata plurium querela perstrepuit, et clamor validus tumultuosa quadam vociferatione perduxit, quod Praelati Regni nostri Siciliae, Hospitalarii, Monachi, aliique Clerici, etc.

<p>42</p>

In notis ad dictum cap. in princ.