Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8. Edward Gibbon
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Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8 - Edward Gibbon страница 17

СКАЧАТЬ Un soldato, allevato nella scuola di Belisario, Paolo di Cilicia, si ritirò con quattrocento uomini nel molo di Adriano. Essi respinsero i Goti, ma erano minacciati dalla fame, e la loro avversione a mangiar carne di cavallo, gli confermò nel divisamento di arrischiare una disperata e decisiva sortita. Ma il loro ardire a poco a poco raffreddò per le offerte di una Capitolazione. Essi riceverono le loro paghe arretrate, e conservarono le armi e i cavalli, col porsi al servizio di Totila. I loro Capi che allegarono una lodevole affezione alle mogli ed ai figli loro rimasti nell'Oriente, furono licenziati con onore; più di quattro cento nemici che avevano cercato un asilo nei santuarj, andarono obbligati della loro salvezza alla clemenza del vincitore. Egli più non nutriva il disegno di sovvertire gli edifizj di Roma123, città che omai rispettava come la sede del Gotico Regno: il Senato ed il Popolo furono richiamati alla lor Patria; liberalmente si provvide ai mezzi di sussistenza; e Totila, in ammanto di pace, celebrò i giuochi equestri del Circo. Nel tempo ch'egli divertiva gli occhi della moltitudine, si allestivano quattro cento vascelli per imbarcar le sue truppe. Le città di Reggio e di Taranto cederono alle sue armi. Egli passò nella Sicilia, oggetto dell'implacabil suo sdegno, e l'Isola fu spogliata dell'oro e dell'argento che conteneva, dei frutti della terra, e di un infinito numero di cavalli, di greggi e di mandre. La Sardegna e la Corsica obbedirono alla fortuna dell'Italia; ed una flotta di trecento galee si portò sulle coste della Grecia124. I Goti sbarcarono a Corcira e sull'antico Continente dell'Epiro, si trassero fino a Nicopoli, trofeo di Augusto, e a Dodona125, una volta famosa pei responsi di Giove. Ad ogni nuova vittoria, il prudente Barbaro ripeteva a Giustiniano il desiderio che nutriva della pace, vantava il buon accordo dei loro predecessori, ed offeriva di impiegare le armi de' Goti per servire l'Impero.

      Giustiniano era sordo alla voce della pace; ma trascurava di sostenere la guerra; e l'indolenza della sua natura tradiva in qualche modo la pertinacia delle sue passioni. L'Imperatore fu tolto di questo salutare letargo dal Papa Vigilio e dal Patrizio Cetego, che si presentarono dinanzi al suo trono, e lo scongiurarono, in nome di Dio e del Popolo, d'imprendere nuovamente la conquista e la liberazione dell'Italia. Il capriccio non meno che il senno influì nella scelta dei Generali. Una flotta, carica di un esercito, e condotta da Liberio, fece vela in soccorso della Sicilia; ma l'avanzata età e la poca esperienza di costui vennero ben presto all'aperto, e gli fu dato un successore, prima che toccassero le spiagge dell'Isola. Il cospiratore Artabano fu tratto dalla prigione ed innalzato agli onori militari nel posto di Liberio, piamente credendosi che la gratitudine avrebbe animato il suo valore, e rinvigorito la sua fedeltà. Belisario riposava all'ombra dei suoi allori, ma il comando dell'esercito principale era serbato a Germano126, nipote dell'Imperatore, che veduto aveva il suo grado ed il suo merito per lungo tempo oppressi dalla gelosia della Corte. Teodora lo aveva offeso nei diritti di cittadino privato, relativamente al matrimonio de' suoi figliuoli, ed al testamento del suo fratello; e quantunque pura ed irreprensibile fosse la condotta di lui, tuttavia Giustiniano sentiva di mal animo che riputato venisse degno della confidenza dei malcontenti. La vita di Germano era una lezione di obbedienza assoluta: nobilmente egli ricusò di prostituire il suo nome ed il suo carattere nelle fazioni del Circo. La gravità de' suoi costumi veniva temperata da un'innocente giovialità; e le sue ricchezze sollevavano senza interesse l'indigenza e il merito de' suoi amici. Il valore di Germano aveva già prima trionfato degli Schiavoni del Danubio, e dei ribelli dell'Affrica. La prima nuova della sua promozione fece risorgere le speranze degli Italiani; e gli si diede in segreto la sicurezza che una flotta di disertori romani abbandonerebbe le bandiere di Totila all'avvicinarsi di lui. Il secondo suo matrimonio con Malasonta, nipote di Teodorico, rendeva Germano accetto ai Goti medesimi: ed essi con ripugnanza si muovevano contro il padre di un fanciullo reale, ultimo rampollo della stirpe degli Amali127. L'Imperatore gli assegnò uno splendido stipendio. Germano contribuì alle spese colle sue private sostanze. I suoi due figli erano attivi e ben veduti dal Popolo; ed egli, nella prontezza e nel buon successo delle leve che fece, superò l'aspettazione degli uomini. Gli fu permesso di scegliere alcuni squadroni di cavalleria Trace. I Veterani ugualmente che i giovani di Costantinopoli e d'Europa, si impegnarono a volontario servigio, e fin dentro al cuore della Germania, la fama e la liberalità del Comandante gli attirò l'ajuto dei Barbari. I Romani si avanzarono sino a Sardica; un esercito di Schiavoni fuggì all'aspetto delle armi loro: ma due giorni dopo la definitiva loro partenza, i disegni di Germano caddero troncati dalla malattia e dalla morte di esso. Nondimeno la spinta ch'egli aveva dato alla guerra d'Italia, continuò ad operare con efficacia e vigore. Le Città marittime, Ancona, Crotona, Centumcella, resisterono agli assalti di Totila. Lo zelo di Artabano ricuperò la Sicilia, e l'armata navale dei Goti fu disfatta presso ai lidi dell'Adriatico. Quasi eguali in forza erano le due flotte, di cui una aveva quarantasette, l'altra cinquanta galee: la perizia e la destrezza dei Greci determinò la vittoria; ma le navi furono così strettamente arraffatte che di quello dei Goti, dodici soltanto scamparono dal disastroso conflitto. Essi affettarono di tenere a spregio un elemento di cui non avevan pratica, ma la propria loro esperienza confermò la verità della massima, che il padrone del mare sempre lo divien della terra128.

      Dopo la morte di Germano, le nazioni furono provocate al riso dalla strana novella che il comando degli eserciti Romani era affidato ad un Eunuco. Ma l'Eunuco Narsete129 dee venir posto fra i pochissimi che hanno saputo sottrarre al disprezzo ed all'odio dell'uman genere quel nome infelice.

      Un corpo debole e diminutivo nascondeva l'animo di uno statista e di un guerriero. Perduto egli aveva la giovinezza nel trattare la rocca e la spola nei bassi ufficj domestici, e nel servizio del lusso feminile; ma in mezzo a quelle ignobili cure, segretamente egli esercitava le facoltà di una mente vigorosa e perspicace. Straniero nelle scuole e nel campo, egli studiava nel palazzo le arti d'infingere, di adulare, e di persuadere; e tosto che avvicinossi alla persona dell'Imperatore, Giustiniano con sorpresa e piacere diede ascolto ai virili consigli del suo Ciamberlano e Tesoriere privato130. Si sperimentò e si accrebbe l'abilità di Narsete mercè delle frequenti ambascerie: egli condusse un esercito in Italia; acquistò una cognizione pratica della guerra e del paese, ed ebbe l'animo di gareggiare col genio di Belisario. Dodici anni dopo il suo ritorno, l'Eunuco fu scelto a compiere la conquista che il primo dei Generali romani aveva lasciato imperfetta. In luogo di cedere al bagliore della vanità e della adulazione, egli seriamente dichiarò, che se non riceveva forze adeguate all'impresa, mai non consentirebbe ad avventurar la sua gloria e quella del suo Sovrano. Giustiniano accordò al favorito ciò che forse avrebbe negato all'Eroe. La guerra Gotica rinacque dalle sue ceneri, ed i preparativi non furono indegni dell'antica maestà dell'Impero. Fu posta in sua mano la chiave dell'erario per formar magazzini, levar soldati, provvedere armi e cavalli, saldare le paghe arretrate, e adescare la fedeltà dei disertori e fuggiaschi. Le truppe di Germano erano in armi tuttora: esse fecero alto a Salona, aspettando il novello condottiero, e la ben nota liberalità di Narsete gli creò legioni di sudditi e di alleati. Il Re dei Lombardi131 adempì e superò gli obblighi di un trattato col fornire duemila e duecento de' suoi più prodi Guerrieri, coi quali venivano tremila dei loro marziali seguaci. Tremila Eruli combattevano a cavallo sotto Filemuto, nativo loro condottiero; ed il nobile Arato, che aveva adottato i costumi e la disciplina di Roma, comandava una banda di veterani della stessa nazione. Dagisteo fu tratto dalla prigione per capitanare gli Unni, e Kobad, nipote del gran Re, splendeva colla tiara regale alla testa de' suoi fedeli Persiani, che s'erano dedicati alla fortuna del loro Principe132. Assoluto nell'esercizio della sua autorità, più assoluto per l'amore delle sue truppe, Narsete condusse un numeroso e valente esercito da Filippopoli a Salona, d'onde costeggiò il lido Orientale dell'Adriatico sino ai confini dell'Italia, ove fu arrestato il suo andare. L'Oriente non poteva fornire vascelli atti a trasportare tanti uomini e tanti cavalli. I Franchi, i quali in mezzo al generale scompiglio, avevano usurpato la maggior parte della Provincia di Venezia, ricusavano il passo agli amici dei Lombardi. Teja, col fiore delle forze Gote, occupò la stazione di Verona, e quell'abile СКАЧАТЬ



<p>123</p>

I Romani erano tuttora affezionati ai monumenti dei loro maggiori; e secondo Procopio (Got. l. IV c. 22) la galera di Enea, di un solo ordine di remi, larga 25 piedi, e lunga 120, conservavasi intera nel Navalia presso il Monte Testaceo, ai piedi dell'Aventino (Nardini, Roma antica, l. VII c. 9 p. 466. Donato, Roma antica, l. IV c. 13 p. 334). Ma tutti gli autori antichi nulla dicono di questa reliquia.

<p>124</p>

In que' mari, Procopio cercò invano l'isola di Calipso. In Feacea o Corcira, gli fu mostrata la nave impietrita di Ulisse (Odyss. XIII, 163); ma egli trovò che era una fabbrica recente, composta di molte pietre, e dedicata da un mercatante a Giove Cassio (l. IV c. 22). Eustazio aveva supposto che fosse la fantastica rassomiglianza di una rupe.

<p>125</p>

Il Danville (Mem. de l'Acad. tom. XXXII p. 513-528) illustra il golfo di Ambracia; ma non può determinare la situazione di Dodona. Un paese che giace in vista della Italia è men conosciuto che i deserti dell'America.

<p>126</p>

Vedi gli atti di Germano nell'istoria pubblica (Vandal. l. II c. 16, 17, 18. Got. l. III c. 31, 32) e nell'istoria segreta (Aneddoti, c. 5); e quelli di suo figlio Giustino, in Agatia (l. IV p. 130, 131). Non ostante un'espressione ambigua di Giornande, fratri suo, Alemanno ha trovato che egli era figlio del fratello dell'Imperatore.

<p>127</p>

Conjuncta Aniciorum gens cum Amala stirpe, spem adhuc utriusque generis promittit (Giornande, c. 60 p. 703). Egli scrisse in Ravenna prima della morte di Totila.

<p>128</p>

Il terzo libro di Procopio termina colla morte di Germano (Add. l. IV c. 23, 24, 25, 26).

<p>129</p>

Procopio riferisce tutta la serie di questa seconda guerra gotica e della vittoria di Narsete (l. IV c. 21, 26-35). Splendido quadro! Fra i sei argomenti di poema epico che il Tasso volgeva in mente, egli esitava tra la conquista d'Italia fatta da Belisario e quella fatta da Narsete (Hayley's Works, vol. IV p. 70).

<p>130</p>

Ignota è la patria di Narsete, poichè non si dee confonderlo col Persarmeno. Procopio gli dà il nome di (Got. l. II c. 13) Βασιλικων χρηματων ταμιας, Paolo Varnefrido (l. II c. 3 p. 776) lo chiama Chartularius: Marcellino aggiunge il titolo di Cubicularius. In un'iscrizione sul ponte Salario egli vien chiamato Ex-Consul, Ex-Praepositus, Cubiculi Patricius (Mascou, Storia dei Germani, l. XIII c. 25). La legge di Teodosio contro gli eunuchi era caduta in disuso o abolita (annot. XX). Ma la sciocca profezia dei Romani sussisteva in tutto il vigore (Procop. l. IV c. 21).

<p>131</p>

Il Lombardo Paolo Varnefrido racconta con compiacenza i soccorsi, i servigi e l'onorevol congedo de' suoi paesani. Reipublicae Romanae adversus aemulos adjutores fuerant (l. II c. 1 p. 774, ediz. Grot.). Mi fa stupore che Alboino, guerriero lor re, non conducesse in persona i suoi sudditi.

<p>132</p>

Egli fu, se non un impostore, il figlio del cieco Zame, salvato per compassione ed allevato nella Corte di Bisanzio pei differenti motivi di politica, di generosità e di orgoglio (Procop. Persic. l. I c. 23).