Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon
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СКАЧАТЬ equestre erano impiegati nell'amministrazione della giustizia e delle pubbliche rendite67, e qualora abbracciavano la professione dell'armi, era loro immediatamente affidata la guida di una truppa di cavalli, o di una coorte di uomini a piedi68. Traiano ed Adriano levarono la loro cavalleria dalle stesse province, e dalla stessa classe di sudditi, che fornivano gli uomini per la legione. I cavalli erano per la maggiore parte di Spagna o di Cappadocia. La cavalleria romana disprezzava l'armatura intera, con cui s'aggravava la cavalleria orientale. Le sue più solite armi consistevano in un elmo, in uno scudo bislungo, in leggieri stivali, e in un giacco di maglia. Un dardo, ed una lunga e larga spada erano le principali armi di offesa. L'uso delle lance e delle mazze di ferro sembra che lo prendesse dai Barbari69.

      La salvezza e l'onore dell'Impero eran principalmente affidati alle legioni, ma la politica di Roma condescendeva ad adottare qualunque utile strumento di guerra. Si facevano regolarmente leve considerabili tra i provinciali, che non aveano ancora meritata l'onorevole distinzione di cittadini romani. Si permetteva a vari Principi, ed a varie Comunità, sparse intorno alle frontiere dipendenti, di conservare per un tempo la loro libertà e sicurezza con l'obbligo di prestar servizio militare70. Eziandio le truppe scelte dei Barbari nemici erano spesso forzate o indotte ad esercitare il loro pericoloso valore in climi remoti, e in servizio dello Stato71. Tutti questi eran compresi sotto il nome generale di ausiliari, e comunque potessero variare per la diversità dei tempi o delle circostanze, rare volte però il loro numero era inferiore a quello delle legioni medesime72. Le truppe più valorose e fedeli tra le ausiliari erano poste sotto il comando dei Prefetti e dei Centurioni e severamente esercitate nelle arti della disciplina romana; ma per la maggior parte ritenevano quelle armi, alle quali più particolarmente le rendevano atte o la natura della patria, o la prima educazione della vita. Con queste istituzioni ogni legione, a cui si assegnava una certa porzione di ausiliari, conteneva in se ogni sorta di truppe più leggiere, e di armi lanciabili; ed era capace di affrontarsi con ogni nazione per la superiorità delle sue rispettive armi e della sua disciplina73. Nè era la legione priva affatto di ciò che nel moderno linguaggio si chiamerebbe treno di artiglieria. Consisteva questo in dieci macchine militari delle più grandi, ed in cinquantacinque più piccole, ciascuna delle quali obliquamente o orizzontalmente lanciava pietre e dardi con violenza irresistibile74.

      Il campo di una legione Romana presentava l'aspetto di una città fortificata75. Appena ne era segnato la spazio, i guastatori ne spianavano esattamente il terreno, e toglievano ogni impedimento che potesse interromperne la perfetta regolarità. La sua forma era perfettamente quadrangolare; e può calcolarsi che un quadrato, del quale ogni lato era quasi due mila piedi, bastava per l'accampamento di 20000 romani; sebbene un simil numero delle nostre truppe presenterebbe al nemico una fronte di un'estensione più che triplicata. In mezzo al campo, il Pretorio o sia quartier generale, signoreggiava tutti gli altri; la cavalleria, l'infanteria e gli ausiliari occupavano i loro respettivi posti; le strade erano ampie e perfettamente diritte, e si lasciava da tutte le parti uno spazio vuoto di 200 piedi tra le tende e il terrapieno. Questo era ordinariamente alto dodici piedi, armato con una linea di palizzate forti e incrociate, e difeso da una fossa profonda e larga dodici piedi. Questo importante lavoro si faceva dai legionari medesimi, ai quali l'uso della zappa e della vanga non era meno familiare che quello della spada o del pilo. Una valorosa attività può sovente esser dono della natura: ma una diligenza così paziente non può esser frutto che dell'abito e della disciplina76.

      Ogni volta che la tromba dava il segno della partenza, il campo era quasi in un istante disfatto; e le truppe correvano ai loro ordini senza tardanza o confusione. Oltre le loro armi, che i legionari appena consideravano come un imbarazzo, portavano ancora i loro utensili da cucina, gl'instrumenti di fortificazione, e la provvisione di molti giorni77. Sotto questo peso che opprimerebbe la delicatezza di un soldato moderno, erano avvezzati a fare di passo regolare quasi venti miglia in sei ore78. All'apparir del nemico gettavano il lor bagaglio, e con evoluzioni facili e rapide convertivano la colonna di marcia in ordine di battaglia79. I frombolieri e gli arcieri scaramucciavano alla fronte; gli ausiliari formavano la prima linea, ed erano secondati o sostenuti dal nerbo delle legioni. La cavalleria copriva i fianchi, e le macchine militari erano poste nella retroguardia.

      Tali erano le arti della guerra, con le quali gl'Imperatori Romani difesero le loro vaste conquiste, e conservarono lo spirito militare in un tempo, in cui ogni altra virtù era oppressa dal lusso e dal dispotismo. Se nella considerazione de' loro eserciti noi passiamo dalla loro disciplina al lor numero, non sarà facile il definirlo con sufficiente esattezza. Si può computare però che la legione, la quale per se stessa era un corpo di 6831 soldati romani, poteva con i suoi seguaci ausiliari ascendere a quasi 12500 uomini. Lo stato delle truppe di Adriano e de' suoi successori in tempo di pace non era composto di meno che di trenta di questi formidabili corpi; e formava molto probabilmente una forza permanente di 375000 uomini. In vece di esser confinate tra le mura delle città fortificate, che i Romani riguardavano come il rifugio della debolezza o della pusillanimità, le legioni erano accampate sulle rive dei gran fiumi, e lungo le frontiere dei Barbari. Siccome i loro quartieri restavano per la maggior parte fissi e permanenti, possiamo arrischiarci a descrivere la distribuzion delle truppe. Tre legioni bastavano per la Britannia. La forza principale era sul Danubio e sul Reno, e consisteva in sedici legioni distribuite in questo modo; due nella Germania inferiore, e tre nella superiore; una nella Rezia, una nel Norico, quattro nella Pannonia, tre nella Mesia, e due nella Dacia. La difesa dell'Eufrate era affidata a otto legioni, sei delle quali erano poste nella Siria, e le altre due nella Cappadocia. Riguardo all'Egitto, all'Affrica e alla Spagna, siccome erano molto lontane dal divenire importante teatro di guerra, una sola legione manteneva la domestica tranquillità di ciascuna di queste vaste province. Neppur l'Italia era lasciata priva di forza militare. Quasi 20000 soldati scelti, e distinti con titoli di coorti della città e di guardie pretoriane, vegliavano alla salvezza del Monarca e della capitale. I Pretoriani, come autori di quasi tutte le rivoluzioni che lacerarono l'Impero, richiameranno ben presto e strepitosamente la nostra attenzione; ma nelle loro armi e nelle loro istituzioni non possiamo trovare alcuna circostanza che li distingua dalle legioni, se questa non fosse una splendida comparsa, ed una disciplina men rigorosa80.

      La forza navale mantenuta dagl'Imperatori potrebbe sembrare inadeguata alla loro grandezza; ma era sufficientissima ad ogni util disegno del Governo. L'ambizione dei Romani era limitata alla terra, nè mai quel popolo bellicoso fu animato dallo spirito intraprendente, che aveva spinto i naviganti di Tiro, di Cartagine e anche di Marsilia ad estendere i confini del mondo, e ad esplorare le più remote coste dell'Oceano. Era per li Romani l'Oceano un oggetto di terrore anzi che di curiosità81; tutta l'estensione del Mediterraneo, dopo la distruzion di Cartagine e l'estirpazione dei pirati, era inclusa dentro le loro province. La politica degli Imperatori era soltanto diretta a conservare il pacifico dominio di questo mare, ed a proteggere il commercio dei loro sudditi. Con queste mire di moderazione, Augusto pose due flotte permanenti nei porti più adatti dell'Italia, una a Ravenna sull'Adriatico, l'altra a Miseno nella baia di Napoli. Pare che l'esperienza col tempo convincesse gli antichi, che subito che le loro galere eccedevano due o tre ordini di remi, erano più atte ad una vana pompa che ad un servizio reale. Augusto medesimo, nella vittoria di Azio, avea veduto la superiorità delle sue leggieri fregate (chiamate liburnie) sopra i grandi, ma lenti castelli del suo rivale82. Di queste liburnie esso compose le due flotte di Ravenna e di Miseno, destinate a dominare, una la divisione orientale del Mediterraneo, e l'altra l'occidentale, e ad ogni squadra unì un corpo di diverse migliaia di СКАЧАТЬ



<p>67</p>

Plinio Stor. nat. XXXIII 2. Il vero senso di questo passo molto curioso è stato trovato e schiarito da M. di Beaufort. Rep. Romaine, l. II 2.

<p>68</p>

Orazio ed Agricola ce ne danno un esempio. Sembra che questo costume fosse un vizio nella disciplina romana. Adriano procurò di rimediarvi, fissando l'età necessaria per esser Tribuno.

<p>69</p>

Vedasi la tattica di Arriano.

<p>70</p>

Tale era in particolare lo stato dei Batavi. Vedi Tacito, Costumi de' Germani, c. 29.

<p>71</p>

Marco Aurelio, dopo aver vinto i Quadi ed i Marcomanni, li obbligò a fornirgli un considerabil corpo di truppe, che subito spedì nella Britannia. Dion. l. LXXI.

<p>72</p>

Tacito, Annal. IV, 5. Coloro i quali parlano di un certo numero di pedoni, e del doppio di cavalli, confondono gli ausiliari degl'Imperatori con gl'Italiani alleati della Repubblica.

<p>73</p>

Vegezio, II 2. Arriano, nella sua descrizione della marcia, e della battaglia contro gli Alani.

<p>74</p>

Il Cav. Folard (nel suo Commentario sopra Polibio, tom. II p. 233, 290) ha trattato delle macchine antiche con molta erudizione e sagacità; le preferisce perfino in molti conti ai cannoni ed ai mortari che noi usiamo. Conviene osservare che appresso i Romani l'uso delle macchine divenne più comune a misura che il valor personale e l'abilità militare sparvero nell'Impero. Quando non fu più possibile trovar uomini, convenne supplire a questa mancanza con macchine di specie diversa. Ved. Vegezio, II 25 ed Arriano.

<p>75</p>

«Universa quae in quoque belli genere necessaria esse creduntur, secum legio debet ubique portare, ut in quovis loco fixerit castra, armatam faciat civitatem». Con queste enfatiche parole termina Vegezio il suo secondo libro, e la descrizione della legione.

<p>76</p>

Per la Castrametazione dei Romani ved. Polibio l. VI con Giusto Lipsio, De militia romana; Giuseppe De bello Judaico l. III c. 5 Vegezio 1, 21, 25, III 9 e le Memorie di Guichard tom. I c. 1.

<p>77</p>

Cicerone Tuscul. II 17 Giuseppe De bello Judaico l. III 5, Frontino IV 1.

<p>78</p>

Vegezio I 9. Ved. le Memorie dell'Accademia delle iscrizioni, tom. XX p. 187.

<p>79</p>

Queste evoluzioni sono mirabilmente spiegate da M. Guichard nelle sue Nuove memorie, tom. I p. 141, 234.

<p>80</p>

Tacito Annal. IV. 5 ci ha dato uno stato delle legioni sotto Tiberio, e Dione lib. LV p. 794 sotto Alessandro Severo. Io ho procurato di prendere un giusto mezzo tra questi due periodi. Vedasi ancora Giusto Lipsio, De magnitudine romana l. I c. 4 5.

<p>81</p>

I Romani procurarono di nasconder la loro ignoranza, ed il terrore sotto il velo di un religioso rispetto. V. Tacito, costumi dei Germani, c. 34.

<p>82</p>

Plutarco, vita di M. Antonio; e ciò non ostante, se diamo fede ad Orosio, queste enormi cittadelle non si alzavano più di dieci piedi sull'acqua VI 19.