Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon
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СКАЧАТЬ senso per non mai sperare di essere confuso, o desiderare d'essere paragonato con questo grand'uomo. Fu proposto nel Senato di decorare il ministro di quel corpo con un titolo nuovo, e dopo una discussione ben seria, fu tra molti altri scelto quello di Augusto, come più degli altri esprimente il carattere di pace e di santità da lui uniformemente affettato241. Era perciò il nome di Augusto distinzione personale, e quel di Cesare distinzione di famiglia. Il primo avrebbe dovuto naturalmente spirare col Principe, al quale era stato compartito, e l'altro poteva trasmettersi per mezzo dell'adozione e dei matrimonj in altre famiglie. Nerone era dunque l'ultimo Principe, che potesse allegare qualche ereditario diritto agli onori della discendenza di Giulio. Ma alla sua morte questi titoli si trovavano connessi, per una pratica costante di un secolo, alla dignità Imperiale, e sono stati conservati da una lunga successione d'Imperatori romani, greci, franchi e tedeschi, dalla rovina della Repubblica fino a dì nostri. Fu presto per altro introdotta una distinzione. Il sacro titolo di Augusto fu sempre riservato al Monarca, mentre il nome di Cesare venne più liberamente conferito a' suoi parenti; ed, almeno dal regno di Adriano in poi, con quest'appellazione si distinse la seconda persona nello Stato, che fu risguardata come l'erede presuntivo dell'Impero.

      Il tenero rispetto di Augusto per una libera costituzione, che avea egli stesso distrutta, non si può spiegare che con un attento esame del carattere di questo scaltrito tiranno. Un sangue freddo, un cuore insensibile, ed un animo codardo gli fecero prendere, all'età di diciannov'anni, la maschera dell'ipocrisia, che mai più non si tolse dal viso. Con la stessa mano, e forse con lo spirito stesso, sottoscrisse la proscrizione di Cicerone, ed il perdono di Cinna. Artificiali erano le sue virtù come pure i suoi vizj; ed il suo interesse soltanto lo fece prima il nemico, e poi il padre di Roma242. Quando innalzò l'ingegnoso sistema dell'autorità imperiale, la sua moderazione era infinita da' suoi timori. Desiderava allora d'ingannare il popolo con l'immagine della civile libertà, e gli eserciti con l'aspetto di un Governo civile.

      La morte di Cesare gli stava sempre dinanzi agli occhi. Aveva, è vero, colmati i suoi aderenti di ricchezze e di onori, ma si ricordava, che gli amici più favoriti del suo zio erano stati nel numero dei congiurati. La fedeltà delle legioni potea difendere la sua autorità contro una ribellione scoperta, ma la loro vigilanza non poteva assicurare la sua persona dal pugnale di un risoluto repubblicano; ed i Romani, che veneravano la memoria di Bruto243, avrebbero applaudito a un imitatore di lui. Cesare avea provocato il suo destino più con l'ostentazione della sua potenza, che con la potenza medesima. Il Console o il Tribuno avrebbe potuto regnare in pace, ma il titolo di Re aveva armati i Romani contro la sua vita. Sapeva Augusto, che gli uomini si lasciano governare dai nomi, nè fu ingannato nell'aspettativa di credere, che il Senato ed il popolo avrebber sopportato la schiavitù, purchè fossero rispettosamente assicurati che tuttor godevano dell'antica lor libertà. Un Senato debole, ed un popolo avvilito si riposarono con piacere in questa dolce illusione, finchè la mantenne la virtù, o la prudenza dei successori d'Augusto. I congiurati contro Caligola, Nerone e Domiziano, animati dalla premura della propria sicurezza, e non dallo spirito di libertà, attaccarono la persona del tiranno, senza dirigere i loro colpi contro l'autorità dell'Imperatore.

      La storia ci presenta, è vero, una occasione memorarabile, nella quale il Senato dopo settant'anni di pazienza fece uno sforzo inutile per riprendere i suoi da lungo tempo obbliati diritti. Quando il trono restò vacante per l'uccisione di Caligola, i Consoli convocarono il Senato nel Campidoglio, condannarono la memoria dei Cesari, diedero libertà per parola d'ordine alle poche coorti, che freddamente seguivano la parte loro, e per quarantott'ore operarono come Capi indipendenti di una libera Repubblica. Ma mentre ch'essi deliberavano, i Pretoriani aveano risoluto. Lo stupido Claudio, fratello di Germanico, era già nel loro campo rivestito della porpora imperiale, e preparato a sostenere la sua elezione con le armi. Il sogno di libertà svanì, ed il Senato si risvegliò in mezzo a tutti gli orrori di una servitù inevitabile. Abbandonata dal popolo e dalla forza militare, quella debole adunanza fu costretta a ratificare la scelta dei Pretoriani, e ad accettare il benefizio di un general perdono prudentemente offerto, e generosamente mantenuto da Claudio244.

      L'insolenza degli eserciti destò in Augusto terrori più grandi. La disperazione dei cittadini non poteva che tentare quello che i soldati ebbero, in ogni tempo, la forza di eseguire. Quanto era precaria l'autorità di questo Principe sopra uomini da lui ammaestrati a violare ogni dovere sociale! Esso avea uditi i loro sediziosi clamori; e temeva i più tranquilli momenti della loro riflessione. Si era comprata una rivoluzione con somme immense; ma per farne un'altra sarebbe stato d'uopo raddoppiare le ricompense. Le truppe professavano il più vivo affetto alla Casa di Cesare; ma l'affetto della moltitudine è capriccioso ed incostante. Augusto seppe risvegliare in suo prò tutti quei pregiudizj romani, che ancor rimanevano in quelle menti feroci; autorizzò il rigore della disciplina con la sanzione della legge; ed interponendo la maestà del Senato tra l'Imperatore e l'esercito, seppe arditamente esigere la loro obbedienza come primo magistrato della Repubblica245.

      Nel lungo corso di dugento vent'anni, dallo stabilimento di questo artificioso sistema fino alla morte di Commodo, i pericoli inerenti ad un governo militare rimasero in gran parte sospesi. I soldati raramente ebbero occasione di conoscere la loro propria forza, e la debolezza dell'autorità civile; scoperta fatale che avanti e dopo produsse così terribili calamità. Caligola e Domiziano furono assassinati nel loro palazzo dai proprj domestici; le convulsioni che agitarono Roma alla morte del primo, non passarono le mura della città. Ma Nerone involse tutto l'Impero nella sua rovina. In diciotto mesi quattro Principi furono assassinati, e l'urto delle armate fra loro nemiche fece crollare il Mondo romano. Eccettuato questo solo breve, sebben fierissimo traboccamento di militare licenza, i due secoli da Augusto a Commodo non furono insanguinati da guerre civili, nè turbati da rivoluzioni. L'Imperatore era eletto dall'autorità del Senato e dal consenso dei soldati246. Le Legioni rispettavano il lor giuramento di fedeltà; ed è necessaria un'ispezione minuta degli annali romani per iscoprire tre piccole ribellioni, le quali furon tutte soppresse in pochi mesi, senza pur correre il rischio di una battaglia247.

      Nei regni elettivi la vacanza del trono è un momento di crisi e di pericolo. Gl'Imperatori romani, desiderosi di risparmiare alle legioni questo intervallo di sospensione, e la tentazione di una scelta irregolare, investivano il destinato lor successore di tanta porzione di autorità presente, che potesse bastargli dopo la lor morte ad assumerne il resto, senza che l'Impero si accorgesse di aver cangiato padrone. Così Augusto, poichè da morti intempestive restaron recise le sue più belle speranze, le ripose all'ultimo tutte in Tiberio; ottenne per questo suo figlio adottivo le dignità di Censore e di Tribuno, e con una legge rivestì il Principe futuro di un'autorità uguale alla sua sulle province e sugli eserciti248. Così Vespasiano soggiogò l'anima generosa del suo figlio maggiore. Tito era adorato dalle legioni orientali, che aveano sotto il suo comando terminato di conquistar la Giudea. Il suo potere era temuto, e siccome le sue virtù erano coperte dall'intemperanza della gioventù, sì sospettava de' suoi disegni. In vece di dare orecchio a tali ingiusti sospetti, il prudente Monarca associò Tito a tutti i poteri dell'Imperial dignità; e il grato figlio sempre si mostrò ministro umile e fedele di un padre così indulgente249.

      Il buon senso di Vespasiano l'impegnò veramente ad abbracciare ogni mezzo di assodare la sua elevazione recente e precaria. Il giuramento militare, e la fedeltà delle truppe erano state consacrate dall'uso di cent'anni al nome e alla famiglia dei Cesari; e benchè questa fosse stata continuata soltanto con il fittizio rito della adozione, i Romani però ancor riverivano nella persona di Nerone il nipote di Germanico, ed il successore diretto di Augusto. Non senza ripugnanza e rimorso si erano i Pretoriani indotti ad abbandonare la causa del tiranno250. Le rapide cadute di Galba, di Ottone, e di Vitellio insegnarono СКАЧАТЬ



<p>241</p>

Dione lib. LIII. p. 710 colle note curiose di Reimar.

<p>242</p>

Mentre Ottaviano si avanzava verso il banchetto dei Cesari, il suo colore cambiava come quello del Camaleonte, pallido prima, di poi rosso, indi nero; prese finalmente il delicato colore di Venere, e delle Grazie: Caesares, p. 309. Questa immagine, impiegata da Giuliano nella sua ingegnosa finzione, è giusta e graziosa. Ma quando ei considera questo cambiamento di carattere come reale, e che lo attribuisce al potere della filosofia, egli fa troppo onore alla filosofia, e ad Ottaviano.

<p>243</p>

Dugent'anni dopo lo stabilimento della Monarchia, l'Imperatore Marco Aurelio vanta il carattere di Bruto come un perfetto modello della virtù romana.

<p>244</p>

È gran perdita per noi quella parte di Tacito, che trattava di questo avvenimento. Siamo forzati di contentarci dei rumori popolari riferiti da Giuseppe, e delle imperfette narrazioni di Dione e di Svetonio.

<p>245</p>

Augusto restituì l'antica severità alla disciplina. Dopo le guerre civili non chiamò più i soldati Militones, ma solamente Milites; Sveton. in Aug. c. 25. Vedi la maniera colla quale Tiberio calmò la sedizione delle legioni della Pannonia. Tacito Annal. I.

<p>246</p>

Queste parole par che fossero la formola determinata Ved. Tacito Annal. XIII 4.

<p>247</p>

Il primo fu Camillo Scriboniano che prese l'armi nella Dalmazia contro Claudio, e fu abbandonato dalle sue proprie truppe in cinque giorni. Il secondo Lucio Antonio nella Germania che si ribellò contro Domiziano; e il terzo Ovidio Cassio nel Regno di Marco Antonino. I due ultimi non regnarono che pochi mesi, e furono trucidati dai loro proprj aderenti. È da osservarsi che Camillo e Cassio colorirono la loro ambizione col divisamento di ristabilire la Repubblica; impresa, diceva Cassio, specialmente riservata al suo nome, ed alla sua famiglia.

<p>248</p>

Velleio Patercolo l. II cap. 121. Svetonio in Tiberio cap. 20.

<p>249</p>

Svetonio in Tit. cap 6. Plin. nella prefazione alla Stor. Nat.

<p>250</p>

Questa idea è spesso e fortemente inculcata da Tacito Ved. Stor. I 5 16 II 76.