Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon
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СКАЧАТЬ alle legioni soldati eccellenti, e formavano la forza reale della Monarchia. Il loro valor personale ancor sussisteva, ma essi non più avevano quel coraggio pubblico, che si nutrisce con l'amor dell'indipendenza, col sentimento dell'onor nazionale, coll'aspetto del pericolo, e con l'assuefazione al comando. Essi ricevevano le leggi ed i governatori dalla volontà del Sovrano, ed affidavano la loro difesa ad un esercito mercenario. La posterità dei loro più valorosi generali si contentava del grado di cittadini e di sudditi. Gli spiriti più ambiziosi correvano alla Corte o alle insegne degl'Imperatori; e le province abbandonate, prive della forza o dell'unione politica, caddero insensibilmente nella languida indifferenza della vita privata.

      L'amor delle lettere, quasi inseparabile dalla pace e dal raffinamento, era di moda tra i sudditi di Adriano e degli Antonini, i quali erano essi stessi e dotti e curiosi. Questo amore si sparse per tutta l'estensione del loro Impero; le più settentrionali tribù della Britannia avevano acquistato l'amore della rettorica: sulle rive del Reno e del Danubio si copiavano e si leggevano Omero e Virgilio, ed ogni più debol lampo di merito letterario veniva magnificamente ricompensato215. La medicina e l'astronomia si coltivavano con qualche reputazione; ma eccettuato l'inimitabil Luciano, quel secolo d'indolenza non produsse un solo scrittore d'ingegno originale che meritasse l'attenzione della posterità. Regnava ancor nelle scuole l'autorità di Platone, d'Aristotile, di Zenone e di Epicuro; ed i loro sistemi, trasmessi con cieca deferenza da una generazione di scolari all'altra, impediva ogni sforzo generoso, che avesse potuto correggere gli errori dell'umano intendimento, o estenderne i confini. Le bellezze dei poeti e degli oratori, invece di accendere nei lettori un egual fuoco, inspiravano solamente fredde e servili imitazioni; o se alcuno si avventura ad allontanarsi da quei modelli, si allontanava nel tempo stesso dal buon senso o dalla ragione. Al rinascere delle lettere il giovanil vigore dell'immaginativa, la nazionale emulazione, una nuova religione, nuove lingue, ed un nuovo mondo riscossero dal lungo letargo il genio dell'Europa. Ma i provinciali di Roma, schiavi di una artificiosa ed uniforme educazione straniera, erano molto deboli per competere con quei valorosi antichi, i quali con esprimere i loro genuini sentimenti nella lingua nativa, avevano già occupati tutti i posti di onore. Il nome di poeta era quasi andato in obblio; e dai Sofisti si usurpava quel di oratore. Un nembo di critici, di compilatori e di commentatori oscurava le scienze; e la decadenza del genio fu presto seguita dalla corruttela del gusto.

      Il sublime Longino, che in un periodo meno remoto, ed alla corte di una Regina della Siria conservava lo spirito della antica Atene, fa lamentevoli osservazioni sopra questa decadenza de' suoi contemporanei, che avviliva i sentimenti, snervava il coraggio, e deprimeva i talenti. «Nello stesso modo (dic'egli) che quei ragazzi, i quali da bambini sono stati troppo strettamente fasciati, rimangono sempre pimmei, così le nostre tenere menti, incatenate dai pregiudizj e dagli abiti di una stretta servitù, non sono capaci di dilatarsi, o di arrivare a quella ben proporzionata grandezza, che noi ammiriamo negli antichi; i quali vivendo sotto un governo popolare, scrivevano con la stessa libertà, con la quale operavano216.» Questa degradata statura del genere umano, per continuar la metafora, andò giornalmente vie più scemando, ed il Mondo romano era veramente popolato da una razza di pimmei, quando i fieri giganti del Settentrione l'invasero, e rinvigorirono ed emendarono le degenerate nazioni. Rinacque per essi lo spirito generoso di libertà; e dopo la rivoluzione di dieci secoli, la libertà divenne la felice madre del buon gusto e delle scienze.

      CAPITOLO III

      Costituzione del romano Impero nel secolo degli Antonini.

      Una Monarchia, secondo la definizione che più facile presentasi, è uno Stato, in cui ad una sola persona, venga questa con qualsisia nome distinta, si affida l'esecuzione delle leggi, il governo dell'entrate, ed il comando dell'armi. Ma se la pubblica libertà non è protetta da intrepidi e vigilanti custodi, l'autorità di un magistrato così formidabile tralignerà in dispotismo fra breve. In un secolo di superstizione l'influenza del clero potrebbe utilmente servire a sicurare i diritti del genere umano: ma il trono e l'altare sono sì strettamente connessi, che di rado lo stendardo della Chiesa si è veduto a sventolare dal lato del popolo. Una nobiltà guerriera ed un popolo inflessibile, padrone delle armi, tenace del diritto di proprietà, e raccolto in adunanze secondo la legge, formano il solo contrappeso atto a sostenere una costituzione libera contro le usurpazioni di un Principe ambizioso.

      La vasta ambizione del Dittatore aveva atterrato ogni argine della costituzione romana, e la destra crudele del Triumviro aveva distrutto ogni riparo. Dopo la vittoria di Azio, il destino del Mondo romano dipendeva dal volere di Ottaviano, a cui l'adozione dello zio dette il nome di Cesare, e dipoi l'adulazione del Senato quello di Augusto. Questo conquistatore aveva sotto di sè quarantaquattro legioni veterane217 che conoscevano la propria forza e la debolezza della costituzione politica, avvezze per venti anni di guerra civile alle stragi ed alle violenze, ed appassionate per la famiglia di Cesare, dalla quale solamente aveano ricevute ed aspettavano le più larghe ricompense. Le province, lungamente oppresse dai ministri della Repubblica, sospiravano il governo di un solo, che fosse il padrone e non il complice di quei piccoli tiranni. Il popolo di Roma, vedendo con un segreto piacere l'umiliazione della aristocrazia, non domandava altro che pane e spettacoli, e la mano liberale di Augusto lo contentava. I ricchi e culti Italiani, i quali aveano quasi generalmente abbracciata la filosofia d'Epicuro, godevano le presenti dolcezze della pace e della tranquillità, nè volevano interrompere sogno sì grato con la memoria della antica tumultuosa libertà. Il Senato avea colla potenza perduta la dignità; molte delle più nobili famiglie erano estinte; la guerra, o la proscrizione avean fatti perire i repubblicani riguardevoli per ardimento e per senno; e si era appostatamente lasciato libero l'ingresso in quell'ordine ad una mista moltitudine di più di mille persone, le quali disonoravano il lor grado in vece di trarne decoro218.

      La riforma del Senato fu uno dei primi passi, coi quali Augusto, non più tiranno, ma padre si mostrò della patria. Fu egli eletto Censore, e di concerto col suo fedele Agrippa, esaminò la lista dei Senatori, ne scacciò alcuni membri, i vizj o l'ostinazione dei quali esigevano un pubblico esempio, ne indusse quasi dugento a prevenire con un volontario ritiro la vergogna dell'espulsione, ordinò che non potesse essere Senatore chi non possedeva quasi ventimila zecchini, creò un numero sufficiente di famiglie patrizie, ed accettò il titolo decoroso di Principe del Senato, che dai Censori era sempre stato conceduto al cittadino più illustre per dignità e per servizj219. Ma rendendo così al Senato la sua dignità, ne distruggeva l'indipendenza. I principj di una libera costituzione sono irrevocabilmente perduti, quando la potestà legislativa è creata dalla potestà esecutiva.

      Dinanzi a questa adunanza, così formata e disposta, Augusto recitò un discorso studiato, nel quale copriva la sua ambizione col velo del patriottismo. «Deplorava, anzi scusava la sua passata condotta: la pietà filiale gli aveva messe le armi in mano per vendicare un padre ucciso; la sua umanità era stata talvolta obbligata a cedere alle leggi crudeli della necessità, ed a far lega forzata con due indegni colleghi; sinchè visse Antonio, la Repubblica l'avea obbligato a non abbandonarlo in balìa di un Romano degenerato, e di una barbara Regina; era al presente in libertà di soddisfare al suo dovere ed alla sua inclinazione. Rendeva solennemente al Senato ed al popolo i loro antichi diritti e desiderava soltanto di mescolarsi nella folla de' suoi concittadini, e di partecipare con essi alla felicità, che avea procurata alla sua patria220».

      Tacito solo (se Tacito fosse stato presente) avrebbe potuto descrivere le varie agitazioni del Senato, i nascosti sentimenti degli uni, ed il zelo affettato degli altri. Era pericoloso il fidarsi all'espressioni di Augusto, e più pericoloso il mostrare di non crederle sincere. I vantaggi respettivi della Monarchia o della Repubblica hanno spesso tenuti divisi gli speculativi ricercatori; la grandezza presente dello Stato romano, la corruzione dei costumi, e la licenza dei soldati somministravano nuovi argomenti ai settatori della Monarchia; e queste massime generali di governo si trovavano ravvolte con le speranze e co' СКАЧАТЬ



<p>215</p>

Erode Attico dette al Sofista Polemone quasi sedicimila zecchini per tre declamazioni. V. Filostr. l. I p. 558. Gli Antonini fondarono una scuola in Atene, nella quale si mantenevano a pubbliche spese professori di grammatica, di rettorica, di politica, e delle quattro Sette principali della filosofia per istruzione della gioventù. Il salario di un filosofo era diecimila dramme l'anno Furono fatti stabilimenti simili nelle altre città dell'Impero. Ved. Luciano nell'Eunuc. tom. II p. 353 ediz. Reitz Filostrat, l. II p, 566. Storia Augusta p. 2. Dione Cassio l. LXXI p. 1195.

Lo stesso Giovenale, in una satira piena di mal talento, la quale ad ogni linea tradisce la sua invidia e il suo scontento, è però obbligato a soggiugnere

– O Juvenes circumspicit, at agitat vos,

Materiamque sibi Ducis indulgentia quaerit.

Sat. VII 20.

<p>216</p>

Longin. Del sublime c. 43 p. 229 ediz. Toll. Qui possiamo dire di questo grande Scrittore ch'egli unisce l'esempio al precetto. In vece di proporre arditamente i suoi sentimenti, esso gli insinua colla più gran riserva, li pone in bocca di un amico, e per quanto se ne può giudicare da un testo corrotto, mostra di volerli confutare egli stesso.

<p>217</p>

Orosio VI 18.

<p>218</p>

Giulio Cesare introdusse i soldati, gli stranieri, ed i semibarbari nel Senato (Sveton. in Cesar. c. 77 80.) L'abuso divenne ancor più scandaloso dopo la sua morte.

<p>219</p>

Dione Cassio l. LII p. 693, Svetonio in August. c. 55.

<p>220</p>

Dione Cassio l. LIII p. 698 ci dà una prolissa e gonfia parlata fatta in questa grande occasione. Io ho preso da Svetonio e da Tacito la espressioni naturali ad Augusto.