Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele
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Название: Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I

Автор: Amari Michele

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ venisse, non si lasciaron chiudere nell'isola. Mo'âwia-ibn-Hodeig rimontò su le navi in fretta, senza però abbandonare nè il bottino nè i prigioni; e, fatto vela nottetempo, ebbe a ventura, dopo felice navigazione, di sporre i suoi sani e salvi su le costiere di Siria. Tutto lieto il significava a Othman il capitano della provincia, Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân, che già assai temea della sorte dell'armata. Mandava altresì al califo la quinta della preda, e dividea il resto all'esercito. Par che i prigioni, la più parte donne, rimanessero a Damasco, e presto dimenticassero gli antichi lor signori, il paese, le famiglie, fors'anco la religione. Perocchè la cronaca bizantina aggiugne qui sbadatamente, che volentieri stanziassero a Damasco: nè più crudele biasimo che questo si potrebbe esprimere in parole, contro quei miseri schiavi non già, ma contro l'ordine civile e religioso che affliggea la Sicilia.171

      Appena allontanati dall'isola i Musulmani, Costante incalzò la persecuzione contro il papa, e fe' compiere da un nuovo esarco l'attentato ch'ei meditava. L'innocente e caritatevole Martino, vegliardo, infermo, venerando per animo forte e soavi costumi, fu preso a piè degli altari da una man di scherani (giugno 653); gittato in una barca; condotto giù pel Tevere e per la costiera infino a Messina; ove il tramutarono in altro legno; lo menarono qua e là per la riviera orientale di Calabria e per le isole dell'Arcipelago: tenuto in segreta su la nave e in terra; strapazzato, e, dopo lungo tempo, tratto innanzi i magistrati a Costantinopoli. Quivi incrudì lo strazio per le ingiuriose imputazioni, la insolenza dei giudici, la brutalità dei servidori, la profanazione del nome e forme della giustizia, la sentenza di morte pronunziata e sospesa; e sopratutto la presenza del tiranno, dinanzi al quale gli stracciarono in dosso gli abiti sacerdotali, lo condussero per la città, con un collare di ferro alla gola, preceduto dal carnefice che brandiva la mannaia. Alfine il tiranno commutò la sentenza in esilio perpetuo a Cherson, su le rive settentrionali del Mar Nero; ove Martino trasse pochi mesi di vita che gli avanzarono, torturato da' disagi e dimenticato dal clero di Roma. Molti furono anco gastigati come ricalcitranti al tipo; e, più barbaramente che niun altro, il dotto San Massimo, al quale apponeano oltre le opinioni teologiche, sì sfacciato era il governo imperiale, di aver dato ai Saraceni l'Egitto, la Pentapoli e l'Affrica.172

      E come rinforzato per trionfo in casa, Costante volle andar subito a gastigare gli Arabi, che fatti audaci in sul mare, armavano contro Costantinopoli stessa (655). Sorgeano all'áncora le navi o barche loro, dugento e poche più, su le costiere della Licia, presso il monte Fenicio in un luogo che i cronisti arabi chiamano “Le Colonne;” senza dubbio dagli avanzi di qualche monumento dell'arte greca. Quivi drizzò la prora Costante con sei o settecento, altri dice mille, navigli; certo con strabocchevole superiorità di numero, mole e munizione delle navi. Era questa la prima battaglia marittima che si presentasse ai Musulmani. Perciò stavano in forse anco i più valorosi: il supremo condottiero Abd-Allah-ibn-Sa'd, ch'era a terra con le genti, domandava tre fiate ai capitani minori che si farebbe; e tre fiate que' si guardavano in volto l'un l'altro senza rispondere: quando si levò un guerriero, e, in luogo di disputare, recitò le parole del Corano sopra la battaglia di Saul con Golia: “Oh quante volte picciol drappello ha sbaragliato grosse schiere, permettendolo Iddio: Iddio è con chi sta fermo.”173 Abd-Allah allora, risoluto a morire anzichè abbandonare l'armata al nemico, gridava: “Alle navi, in nome di Dio.” E alle navi corsero, seguíti da molte donne loro, che vollero partecipare al pericolo.

      Appiccata la zuffa con trar dardi e saette, gli Arabi si accôrsero dell'errore di combatter da nave a nave; e senz'aspettare una prima sconfitta che li ammaestrasse, vollero provarsi da uomo a uomo. Gittano gli uncini alle galee nemiche; salgono all'arrembaggio con le sciabole e i cangiar alla mano; e con molto sangue loro e grandissima strage de' nemici, vinsero la giornata. Costante, che s'era tratto addietro quando cominciarono a fischiare per l'aria le saette, diessi a fuggire quando si venne alle armi corte; e pure a mala pena campò. All'incontro la nobile e bella Bosaisa, moglie del capitan musulmano, avea visto sì da presso il combattimento che il marito le domandò: “Chi ti è parso il più valoroso?” “Quel dalla catena” ella rispose: un guerriero che nel fitto della mischia, vedendo la nave di Abd-Allah aggrappata e portata via da un galeone nemico, l'avea liberata spezzando la catena. Questo prode era A'lkama-ibn-Iezîd, che amò ardentemente Bosaisa; la domandò in isposa; si ritrasse dall'inchiesta quando seppe che Abd-Allah aspirava alla mano di lei; e venuto costui a morte pochi anni appresso la battaglia delle Colonne, ottenne alfine il premio di sì perseverante e generoso amore.174

      Tornato il fuggente imperatore a Costantinopoli, incrudelì per sospetti di stato; fe' uccidere il proprio fratello; continuò le persecuzioni contro i sostenitori delle due volontà; e alternando fierezza e viltà, com'è proprio de' tiranni, vezzeggiò i successori di papa Martino, e pensò di fuggire i luoghi e il popolo che gli ricordavano il parricidio. Indi si favoleggiò che uno spettro lo inseguisse porgendogli una tazza piena di sangue, e gli dicesse: “Bevi, fratello!” Dilungandosi dalla metropoli ove mai più non tornò, Costante faceva atto di sputarla per odio, e per paura vi lasciava la moglie e i figliuoli, ritenuti come pegno dal popolo tumultuante. Egli, cercando sempre il pericolo da lunge e fuggendolo da presso, venne in Italia (663) a far guerra ai Longobardi; provocolli, e poi non aspettò lo scontro loro a Benevento; e vedendo sconfitto un grosso di sue genti, in fretta visitò Roma, raccolsevi quante cose di pregio rimaneano nelle chiese, fino il bronzo ond'era coperto il tetto del Panteon; e, incalzato da' Longobardi, passò in Sicilia; si chiuse con la corte e i tesori a Siracusa. E in vero ei disegnò di porvi la sede dell'imperio; come già Eraclio l'avol suo, prima di liberarsi con eroico sforzo da' Persiani e dagli Avari, era stato per tramutarla in Affrica. Al quale pensiero sembra mosso Costante dalla spaventevole forza degli Arabi che parea dovessero occupare da un dì all'altro tutta l'Asia Minore, mentre i popoli settentrionali incalzavano da un altro lato: ed egli è evidente che, disperando di tenere Costantinopoli, non si potea scegliere più sicura nè più comoda stanza alle forze vitali dell'impero, che la fertile isola cinta dai porti di Messina, Siracusa, Lilibeo e Palermo, donde le armate avrebbero signoreggiato il Mediterraneo, e agevolmente si sarebbe ripigliata l'Italia. Le guerre civili che sopravvennero tra i Musulmani allontanarono poi quel gran pericolo; e gli avvenimenti nati in Sicilia fecero svanire al tutto il disegno.

      Perchè la rapacità di Costante aiutava a maraviglia il clero siciliano, pieno di profondissimo odio contro di lui, per essere l'isola devota al Pontefice di Roma, e molto accesa contro i Monoteliti. Costante, in sei anni che soggiornò a Siracusa, fe' sentir la vicinanza dell'augusta persona, con le strabocchevoli gravezze poste su l'isola, e su le vicine terre di Calabria, Sardegna e Affrica: tasse su la proprietà, tasse su la industria, tasse per l'armamento del navilio, che a memoria d'uomo non se n'era sofferto mai tanto cumulo; e confiscati con ciò i vasi sacri, e separati, dice la cronaca, i mariti dalle mogli, i padri dai figliuoli, con che può intendersi l'imprigionamento dei debitori del fisco, o qualche partaggio dei coloni addetti ai poderi del patrimonio imperiale che fosse stato venduto e distratto. I popoli d'Affrica, per minor male, chiamaron di nuovo i Musulmani. Quei delle isole e di Calabria si credeano condotti a inevitabil morte, come troviamo ne' ricordi ecclesiastici; e coloro che scrissero tai parole, al certo ripeteanle a viva voce, e con lunghi comenti, ai disperati sudditi di Costante.

      E un dì, entrato il tiranno nel bagno di Dafne, un gentiluomo della sua corte, per nome Andrea figliuolo di Troilo, che il serviva e ungeagli il corpo con sapone, gli versò addosso un'urna d'acqua bollente, e lo finì dandogli dell'urna in sul capo (15 luglio 668). Trovato morto Costante nel bagno, nessuno cercò il come; i soldati altra cura non ebbero che di gridare imperatore un nobil giovane Armeno di nascita, per nome Mizize; e tutta l'isola applaudì175. Il clero partecipò o esultò tanto nel regicidio, che mezzo secolo appresso Gregorio Secondo, minacciandolo Leone Isaurico della medesima sorte di papa Martino, rimbeccavagli si ricordasse egli di Costante e del cortigiano, che, accertandolo i vescovi di Sicilia della eresia dello imperatore, immantinente lo avea trucidato.176

      Allato a cotesta spiegazione storica d'un papa si vuol СКАЧАТЬ



<p>171</p>

Riscontrinsi le citazioni che ho fatto sopra testualmente, e si giudichi se dian prova di tutti i fatti ch'io scrivo. Veggasi del rimanente Le Beau, Histoire du Bas-Empire, lib. LX, § 6, 36, con le correzioni del Saint-Martin. Parmi errore del Martorana, Notizie storiche dei Saraceni Siciliani, tom. I, p. 28, e, su le orme di lui, del Wenrich, di avere trascurato questa impresa, e tenuto come primo assalto de' Musulmani quello del 669.

<p>172</p>

Le memorie e i documenti relativi a papa Martino, dalla esaltazione infino alla morte, si leggono presso il Labbe, Sacrosancta Concilia, tom. VI, dal principio alla p. 70. Vedi anche Theophanes, Chronographia, tom. I, p. 526 a 531; il Baronio, Annales, anni 649 e 651, con le correzioni del Pagi; e Le Beau, Histoire du-Bas Empire, lib. LX, § 4, seg. La strana accusa fatta a San Massimo si scorge dagli atti, presso il Labbe, Sacrosancta Concilia, tom. VI, p. 433.

<p>173</p>

Corano, II, 250.

<p>174</p>

Ibn-Abd-el-Hakem, MS. di Parigi, Ancien Fonds 655, p. 255 seg. Da lui solo è riferito l'episodio di Bosaisa; Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. II, fol. 185 verso e seg., il quale pone la battaglia sotto l'anno 31, ma dice che secondo altri seguì il 34 (654-5), che è la vera data secondo gli scrittori bizantini, cioè: Theophanes, Chronographia, tom. I, p. 528, seg.; Cedrenus, tom. I, p. 756. Il numero di mille navi bizantine è dato da Ibn-Abd-el-Hakem, e da Isidoro de Beja scrittore cristiano di Spagna dell'ottavo secolo, presso Flores, España Sacrada, tom. VIII, pag. 282, seg., il quale riferisce la battaglia al 652.

<p>175</p>

Theophanes, Chronographia, p. 525, seg., il quale dice positivamente a p. 532, che Costante si fosse deliberato a trasferire la sede dell'Impero a Siracusa; Anastasius Bibliothecarius, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tom. III, p. 141; Johannes Diaconus, Chronicon, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tom. I, parte II, p. 305. Paulus Diaconus, lib. V, cap. 5.

<p>176</p>

Questa è la significativa frase del papa, e vi si legge: πλησοφοσηθεὶς, assicurato, fatto pienamente certo. Labbe, Sacrosancta Concilia, tom. VI, p. 19, 20; e Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, N. 272. L'epistola è data del 726, o del 730. Il Gibbon perciò avea piena ragione di dire che Costante fu vittima “di una tradigione domestica, e forse vescovile,” cap. 48. Lo zelo del clero siciliano contro i Monoteliti si vede dal gran numero di vescovi dell'isola che assistettero al concilio di Laterano del 649, e da una epistola di San Massimo presso Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, N. 258.