Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele
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Название: Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I

Автор: Amari Michele

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ (è massimo Iddio); sparpagliavansi dopo la carica, e d'un súbito rannodati faceano nuovo impeto sul nemico disordinato nello inseguirli, e sì lo rompeano e laceravano; avviluppavano e sterminavano i fuggenti. I Bizantini e i Persiani, gravi per le armadure e per la formalità degli ordini militari ai quali era mancata da lungo tempo l'anima e l'intendimento, mal resistettero a tal nuova tattica: i primi inoltre uomini senza patria, raunaticci di tante genti, tratti per forza alle armi, condotti da capitani cui scegliea caso o favore; i secondi accolti anche di varie nazioni e classi sociali diffidenti l'una dell'altra, anzi nemiche.

      Dagli eserciti passando ai popoli di que' due imperii, li vedremo avviliti dal dispotismo, rifiniti dalle tasse e dalla rapacità degli officiali pubblici; scissi da assottigliamenti religiosi; i Persiani anco dalle contese sociali de' tempi di Mazdak, dalla paura dei ricchi e cupidigia dei poveri: e qual meraviglia se tra l'universale scontentamento paresse manco male la falce dei conquistatori, i quali ragguagliavano gli imi ai sommi, disarmavano la religione dello Stato, permetteano il culto cristiano sol che si pagasse un picciol tributo, o aprivan le braccia per accogliere i vinti nella loro famiglia, nella loro Chiesa e nella loro repubblica? Così le vecchie società cedeano il luogo alla giovane società dei vincitori. Così ridivenuti nazione, spinti da delirio religioso e da interessi mondani, allettati dal bottino, dalle pensioni, dalla fertilità delle terre, dai mille lucri che offrian le nuove province, i popoli arabi emigravano successivamente verso di quelle. E se non potean portare in lor colonie nè libertà, nè quiete; se negli ordini loro si nascondea l'antagonismo della legge coi costumi, del dispotismo con la nobiltà e con la democrazia; questa schiatta forte, piena d'alacrità e di speranze, operosa, industre, paziente, audace, trovandosi in condizioni geografiche favorevolissime e tirando altre schiatte alla sua lingua e religione, dava principio a un periodo novello nella storia dell'umanità.

      CAPITOLO IV

      Se pur la fama di cotesti avvenimenti arrivò in Sicilia prima che gli Arabi toccassero le spiagge del Mediterraneo, niuno al certo se ne dette pensiero. Lo potean credere solito insulto de' ladroni di là della Siria, de' Saraceni, come par che s'addimandassero in quelle parti alcune tribù dei deserti; il qual nome i Bizantini dieron poi a tutti gli Arabi e infine a tutti i Musulmani.148 Fors'erano noti in Sicilia, per cagion del commercio, il nome e i costumi degli Arabi, e un capriccio di fortuna avea mostrato nell'isola le fattezze di questo popolo balestrandovi un principe arabo, Mondsir quarto re di Hira; il quale ribellatosi da' Sassanidi agli imperatori di Costantinopoli, tradì i novelli signori, e, caduto nelle mani loro, verso l'anno cinquecento ottantadue, il clemente imperatore Maurizio non ne prese altra vendetta che di rilegarlo con la moglie e i figliuoli in una delle isolette adiacenti alla Sicilia.149 Ma più che le rivoluzioni d'un popolo sì oscuro e lontano, premeano ai Siciliani le guerre dei Longobardi in Italia; e più che le une e le altre la novella eresia dei Monoteliti, ossia sostenitori dell'unica volontà.

      Disputavasi, sopra un punto di curiosità teologica sottilissimo e oziosissimo se altro ne fu mai: se le opere del Dio fatto uomo, movessero da due volontà, divina e umana, ovvero da una sola, che i Monoteliti, ragionando su l'equivoco d'una parola, chiamaron teandrica, cioè, divino-umana. Capacitossi dell'unica volontà l'imperatore Eraclio, nel riposo ch'ebbe tra due guerre, l'una vinta gloriosamente sopra i Persiani, e l'altra perduta assai vilmente contro gli Arabi. Non prima il cacciaron essi dalla Siria, che il vecchio imperatore, sperando impetrare l'aiuto del cielo con un atto d'intolleranza, comandava che tutti i sudditi suoi credessero nell'unica volontà di Gesù Cristo. Comandavalo, come i predecessori suoi avean fatto delle altre dottrine onde si compose il domma ortodosso, usando nella nuova religione l'autorità di sommo pontefice, che appartenne già agli imperatori pagani, che gli imperatori bizantini non abdicarono giammai, e ch'è passata con tanti altri ordini loro nell'impero di Russia. E la sede di Roma tentennò tra l'antica obbedienza e il dritto fondamentale della repubblica cristiana, il quale portava che la universalità dei Fedeli fosse giudice delle proprie credenze. Papa Onorio I tentò di sfuggire alla vana contesa, e rispose dubbio o forse assentì; ma i successori suoi non vollero o non poterono dissimulare. Promulgata da Eraclio (a. 639), l'ectesi, come chiamossi l'editto imperiale che pretendea decidere la controversia, e cominciata la resistenza dal vescovo di Gerusalemme, Roma non declinò il pericoloso onore di farsene capo. Indi Costante Secondo imperatore rincalzava con un altro editto superbamente chiamato il tipo (a. 648), e papa Martino nel Concilio di Laterano (a. 649), ove sedè la più parte de' vescovi d'Italia, solennemente condannò ectesi e tipo, e ogni altro scritto monotelita. Allora la disputa si mutò in fazione politica. Costante il quale era salito sul trono a undici anni (a. 641), e, come tanti altri tiranni in adolescenza, avea principiato con belle dimostrazioni di modestia civile, spiegò l'unghia del lione per far confessare da tutti i sudditi dell'impero una opinione che nè egli nè altri comprendea.

      Ma sendo più che mai deboli in Italia le armi imperiali, e stringendosi sempre più il misero popol di Roma intorno il suo vescovo ond'avea lucro e protezione, Costante non potè sforzare il papa; e, volendo almen punirlo, fu necessitato a tentare un colpo da masnadiere. Commesselo ad Olimpio, esarco di Ravenna, o vogliam dire luogotenente dell'impero nei dominii che rimaneangli in Italia; il quale, andato a posta a Roma, tramò lunga pezza di catturare e dicon anche ammazzare il papa, e fallì nell'uno e nell'altro misfatto. Secondo un pio cronista, il sicario mandato da Olimpio, mentre levava la mano per ferire, perdè il lume degli occhi; e, maggior prodigio, narrato il caso all'esarco, costui, pentito, svelò tutta la pratica al papa. Aggiugne il cronista che si rappacificassero incontanente, e che Olimpio, raccolte le genti che potea, sopracorresse in Sicilia a combattere i Saraceni.150 La corte di Costantinopoli dal suo canto accagionò Olimpio d'alto tradimento, e il papa di complicità con lui, di connivenza coi Saraceni, e fin d'averli aiutato di danari.151 Tra le fole del miracolo romano e le impudenti accuse del governo bizantino, il vero mi sembra che l'esarco, allettato dalla occasione che gli davano gli umori degli Italiani e le condizioni generali dell'impero, seguendo il fresco esempio del patrizio d'Affrica, abbia tentato di sciorsi anch'egli dall'obbedienza: a che papa Martino nè volea nè poteva far ostacolo.152 Donde Olimpio lasciava star la teologia e il papa; e questi si pigliava quella insperata tranquillità, senza lodare forse nè biasimare la ribellione dell'esarco, quando lo scoppio della folgore musulmana in Sicilia li fe' stringere l'uno all'altro, sì che provvedessero insieme al comun pericolo. Perchè Olimpio, usurpatore o no, dovea combattere i Musulmani in Sicilia, come Gregorio usurpatore avealo fatto in Affrica; e Martino, posposto ogni altro rispetto, dovea aiutarlo, per salvare l'Italia dalla servitù degl'Infedeli e sottrarre alle rapaci mani loro il patrimonio di San Pietro nell'isola.

      Nei dieci anni che la corte bizantina avea passato tra l'ectesi e il tipo, gli Arabi, oltre quei prodigiosi loro conquisti di là dal Tigri, s'erano impadroniti di mezzo l'impero: spintisi infino al Caucaso; occupata tutta la costiera di Siria; preso l'Egitto (a. 639); corsa e resa tributaria l'Affrica propria (a. 648); e, dopo avere soprastato un istante in riva al Mediterraneo, vi si erano ormai lanciati, e tutto l'empieano di spavento. Soprastettero già in riva al Mediterraneo, rattenuti dai comandi di Omar, non da ripugnanza a incontrare ignoti pericoli. Perocchè non mancavano arrisicati navigatori tra le popolazioni marittime d'Arabia; e gli stessi guerrieri del deserto, fin dai primi conquisti, s'erano risolutamente imbarcati sul Golfo Persico per assaltar le costiere d'India, donde eran tornati vincitori e carichi di preda (a. 636); i quali, se non ritentarono l'impresa, la cagione fu che Omar aspramente rampognò il capitano, e scrissegli che si guardasse un'altra fiata di affidare i guerrieri dell'islâm, come vermi, a un pezzo di legno galleggiante.153 In tal modo ei volle ovviare al pericolo d'allargar troppo la guerra, o a quel di combattere sopra un elemento ove i Cristiani fossero più pratichi de' Musulmani, ch'è il concetto d'Ibn-Khaldûn. Per simili rispetti vietò all'ambizioso Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân d'assaltare l'isola di Cipro; se non che, per iscusarsi del mettere ostacolo ai trionfi dello islâm, il califo gravemente scrivea sapere che il Mediterraneo sovrastasse di gran tratto alla terra, e dì e notte domandasse a Dio di poterla inondare; СКАЧАТЬ



<p>148</p>

Gli Arabi non han preso mai il nome di Saraceni, nè altro simile; nè avvi nei loro ricordi alcuna gente così chiamata. Questa vocabolo, scritto dai Latini Sarraceni e da' Greci Σαρακηνοὶ, presso Plinio il vecchio, Tolomeo e Stefano Bizantino, denota alcune tribù e picciole popolazioni; Ammiano Marcellino e Procopio l'usano in significato più vasto; e gli scrittori occidentali dopo l'islamismo gli danno la estensione che io ho accennato. Indi si vede come successivamente si allargasse quella denominazione tra il primo e 'l quarto e poi di nuovo tra il sesto e il settimo secolo dell'era volgare. L'etimologia è incerta, ancorchè gli eruditi si siano tanto sforzati a trovarla, cominciando da San Geronimo che facea derivare il nome dei figli di Agar da Sara; e scendendo ai moderni, i quali han creduto raffigurar certi vocaboli arabi che suonerebbero uomini del deserto, ladroncelli e simili baie. Secondo una opinione più plausibile, Saraceni, sarebbe trascrizione della voce arabica sciarkiun, al genitivo (sul quale per lo più si costruiscono i derivati in tutte le lingue) sciarkiin che significa orientali; la qual voce i Greci e i Romani non poteano trascrivere nè pronunziare altrimenti che sarkin o sarakin, mancando nell'alfabeto loro la lettera scin che risponde alla ch francese e sh inglese. Veggansi Gibbon, Decline and Fall, Cap. L, nota 30, con l'annotazione di Milman; Saint-Martin, note a Le Beau, Histoire du Bas-Empire, lib. LVI, § 24; Reinaud, Invasions des Sarrazins en France, p. 229, 231.

<p>149</p>

Evagrius, Historia Ecclesiastica, lib. VI, cap. 2; Nicephorus Callistius, Ecclesiasticæ Historiæ lib. XVIII, cap. 10; Caussin, Essai sur l'histoire des Arabes, tom. II, pag. 133. I due scrittori greci, portando il nome del principe arabo con l'articolo, scrivonlo Alamondar.

<p>150</p>

Anastasius Bibliothecarius, presso Muratori R. I., tom. III, pag. 140.

<p>151</p>

Processo di papa Martino a Costantinopoli, presso Labbe, Sacros. Concilia, tom. VI, pag. 63, 68, 69.

<p>152</p>

All'accusa di connivenza con Olimpio il papa rispose che non avrebbe avuto forze da opporsi; e recriminò contro uno degli accusatori il quale s'era trovato in condizioni simili.

<p>153</p>

Beladori, presso Reinaud, Fragments Arabes etc. relatifs à l'Inde, p. 182. I due luoghi di Ibn-Khaldûn, riferiti nella nota seguente, mi inducono a tradurre in questo modo il passo analogo del Beladori.