Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II. Elia Augusto
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Название: Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II

Автор: Elia Augusto

Издательство: Public Domain

Жанр: История

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СКАЧАТЬ 5 del mattino tutti erano in moto; il Malenchini alle 7 aveva già aperto il fuoco presso San Papino; anche il Medici attaccava il nemico al di là di San Pietro e il combattimento si accese, accanito su tutta la linea. I garibaldini si spingono verso Milazzo, ma la loro sinistra appoggiata al mare, trovò tale resistenza nei regi nella strada di San Pepino e tale fuoco d'artiglieria dal forte e dalla batteria portata dietro i canneti, che furono obbligati a ripiegare.

      Ad accrescere lo scompiglio nelle giovani schiere dei volontari, concorse la cavalleria nemica che irruppe furiosamente sui nostri, sbaragliandoli. Comandava questa colonna il colonnello Malenchini che, potentemente coadiuvato dai suoi bravi ufficiali, faceva sforzi eroici per riordinare i suoi e ricondurli alla pugna; chi si distinse per ardire insuperabile fu il Tommasi, che venne promosso tenente sul campo di battaglia.

      Mentre questo avveniva sull'ala sinistra, Medici spingeva tre dei suoi battaglioni ed uno di Carabinieri genovesi verso il fiume Nocito; investiva i molini dove i regi eransi fortificati e tentava d'impadronirsi della lingua di terra che congiunge Milazzo con l'interno, e così girare alle spalle del corpo napoletano e tagliar fuori di Milazzo il Bosco; ma anche questo tentativo incontrò un'energica resistenza, perchè il Bosco da quel lato aveva spinto il maggior nerbo delle sue forze; si combatteva uno contro tre, senza contare la mitraglia che, da dietro grandi siepi di fichi d'India, faceva strage dei nostri.

      Medici riconosce la gravità della posizione e, da quell'eroe che era, decide d'avventarsi contro il cannone che faceva strage dei suoi e d'impossessarsene. "Meglio perire nell'arrischiata impresa, che vedere così sacrificati i miei soldati". Con questo pensiero raduna quanti più può dei suoi e si lancia in mezzo al fuoco nemico, ma nei primi passi gli cade morto il cavallo e al fianco suo è colpito da palla fredda il Cosenz, tanto da rimanerne tramortito; riavutosi tosto e circondato dai suoi valorosi compagni, riprende impavido il combattimento.

      Garibaldi, accortosi del pericolo che correvano i suoi cari compagni, riunisce intorno a sè Missori, Statella e quanti trova sotto mano e si lancia al soccorso; il cavallo di Garibaldi è ferito e non sente più il freno; il tacco di un suo stivale è portato via da una scheggia; è obbligato a smontare dal cavallo; accanto a lui in quel momento cadeva mortalmente ferito il maggiore Breda; a Missori è pure ucciso il cavallo; anche Garibaldi vede che per spuntarla bisognava ad ogni costo impadronirsi del cannone che faceva strage, e dà gli ordini necessari; si lancia alla testa dei suoi e il cannone è preso e trascinato nelle proprie linee.

      Allora la fanteria napolitana, che in quella giornata combattè valorosamente, apre i suoi ranghi e dà il passo ad una furiosa carica di cavalleria che s'avventa sui nostri come un turbine per riprendere il pezzo; le squadriglie siciliane giunte allora da Patti entrano in combattimento e con una formidabile scarica fermano l'impeto dei cavalieri; l'ufficiale che comandava la cavalleria è esso pure obbligato ad arrestarsi da Garibaldi che aveva preso la briglia del cavallo; l'ufficiale mena un fendente, ma Garibaldi para il colpo e con una pronta risposta gli taglia la gola; i napoletani assalgono Garibaldi; si combatte corpo a corpo; Missori scarica quanti colpi ha nel suo revolver ed uccide quanti tentano appressarsi al generale; Statella lo difende a colpi di sciabola, dando così tempo ai garibaldini di accorrere al soccorso.

      Ma gli ostacoli sono insuperabili; gl'immensi canneti e le boscaglie di fichi d'India sparsi su quella riva impedivano ai garibaldini di far uso delle baionette, terribile arma loro prediletta, e favorivano i tiri dell'artiglieria borbonica. Per fortuna in quel momento apparve nella rada un vapore con bandiera italiana. Era la corvetta napoletana "La Veloce" che il comandante Anguissola, dando primo l'esempio della rivolta, aveva consegnata a Garibaldi, il quale la battezzava col nome di "Tuckery" in memoria del prode maggiore ungherese morto alla presa di Palermo. Il generale, senza perdita di tempo, si fa portare a bordo, e salito sulla coffa dell'albero di trinchetto domina tutto il teatro della battaglia; ordina al comandante d'accostarsi a tiro di mitraglia ed al momento opportuno fa fulminare di fianco le truppe borboniche, e ne fa strage tale che il nemico è sgominato in brev'ora.

      Questo felice diversivo dà tempo al Medici ed al Cosenz di riordinare i loro battaglioni e prepararsi ad un decisivo assalto.

      Garibaldi scende a terra dal Tukery con un manipolo di marinari armati, si mette alla testa dei suoi e si riprende l'assalto; tutte le riserve sono impegnate: il maggiore Guerzoni arriva esso pure coi suoi a passo di corsa; un'ultimo disperato assalto è ordinato, i canneti a sinistra, il ponte di Curiolo di fronte, le case di destra, terribili strette, sono tutte superate con indicibile valore; i cacciatori del Bosco rispondono con un fuoco infernale e recano ai nostri danni non lievi; il capitano Leardi, dopo aver veduto cadere attorno a sè non pochi dei suoi valorosi è ferito a morte; il Costa, lo Statella, il Martini, il Cosenz feriti; ma il nemico è in fuga e dopo del nemico i garibaldini entrano in Milazzo e i borbonici si rinchiudono nel forte.

      La battaglia di Milazzo fu la più sanguinosa tra quelle combattute delle armi garibaldine nel 1860.

      Su quattromila combattenti garibaldini, più di settecento restarono sul campo fra morti e feriti.

      La giornata del 21 passò in entrambi i campi tranquilla, le nostre truppe riposarono, e quelle borboniche il 22 s'imbarcarono su tre navigli francesi per essere trasportate a Napoli.

      Il 23 arrivavano nelle acque di Milazzo quattro navi da guerra napolitane; ma visto che i garibaldini erano padroni della piazza si limitarono ad imbarcare il presidio del Castello; sicchè il Castello, con cannoni, munizioni ed ogni attrezzo di guerra, rimaneva in potere di Garibaldi, che vi faceva inalberare la bandiera tricolore.

      Dopo la presa di Milazzo anche le truppe che occupavano la cittadella di Messina si arresero. – Tutta la Sicilia era liberata!

      Occorreva pensare al passaggio dello stretto ed alla continuazione della marcia gloriosa per le Calabrie alla capitale del Reame di Napoli, e primo pensiero del Duce fu quello di nominare comandante militare e civile di Messina l'illustre patriota Nicola Fabrizi, con suo Capo di Stato Maggiore il valoroso Abele Damiani.

      Questo venerando patriota aveva organizzato a Malta un corpo d'italiani volontari del quale faceva parte il Pittaluga, che dopo lo scontro infelice di Grotte, sostenuto dal Zambianchi contro forze superiori papaline, aveva preso passaggio in un vapore delle Messaggeries per raggiungere Garibaldi in Sicilia; col Pittaluga erano il Civinini, il Pedani livornese, ed altri.

      Sbarcato il Fabrizi in Sicilia ebbe ordine da Garibaldi di recarsi a Barcellona per organizzare e prendere il comando dei battaglioni dell'Etna composti di patriotti siciliani. Il governo civile e militare di Messina era quindi affidato a buone mani.

      Il passaggio sul continente non era cosa delle più facili; bisognava vincere le difficoltà che venivano dal Ministero in seguito alle pressioni dell'imperatore dei francesi; bisognava inoltre deludere la vigilanza della flotta nemica che giorno e notte batteva il mare e sorvegliava lo stretto senza contare che il Borbone, nonostante le defezioni, poteva sempre mettere a fronte di Garibaldi un Esercito organizzato di 100 mila uomini. Era necessario quindi fare uso di quegli audaci colpi di mano, nei quali Garibaldi era maestro.

      Infatti la sera dell'8 agosto egli ordinava al Mussolino, calabrese, di tentare con un limitato numero di volontari scelti fra i più audaci, come Missori, Alberto Mario, Vincenzo Cattabeni ed altri valorosi, la sorpresa del forte Cavallo e la insurrezione della Calabria. La sera dopo ordinava a Salvatore Castiglia di sbarcare nell'Alta Fiumana con arditi garibaldini.

      Persuaso Garibaldi, dopo quindici giorni di vani tentativi, della difficoltà del passaggio dello stretto di Messina, causa l'esiguità delle sue forze, ed avute notizie dal Bertani che in Sardegna stavasi organizzando una legione di circa 8 mila bene armati sotto la direzione del colonnello Pianciani, col proposito d'invadere lo Stato Pontificio, convinto che su Roma si poteva marciare con più sicurezza per la via di Napoli, deliberava di portarsi egli stesso al Golfo degli Aranci per assicurarsi il concorso degli ottomila uomini coi quali avrebbe СКАЧАТЬ