La Calandria. Dovizi Bernardo
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Название: La Calandria

Автор: Dovizi Bernardo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ Gran fallacia pigli.

      POLINICO. O Lidio, leva el lume, che i volti veder non si possino, non è una differenzia al mondo da l'una all'altra. E sappi che a donna non si può credere, etiam poi che è morta.

      FESSENIO. Costui fa meglio che or or non li ricordava.

      POLINICO. Che?

      FESSENIO. Te accommodi benissimo al tempo.

      POLINICO. Anzi, dico bene il vero a Lidio.

      FESSENIO. Piú sú sta mona luna!

      POLINICO. In fine, che vuo' tu inferire?

      FESSENIO. Voglio inferire che tu ti accommodi al viver d'oggi.

      POLINICO. In che modo?

      FESSENIO. Allo essere inimico delle donne, come è quasi ognuno in questa corte. E però ne dici male. E iniquamente fai.

      LIDIO. Dice il vero Fessenio, perché laudar non si può quel che tu hai detto di loro: per ciò che sono quanto refrigerio e quanto bene ha il mondo e sanza le quali noi siamo disutili, inetti, duri e simili alle bestie.

      FESSENIO. Che bisogna dir tanto? Non sappiam noi che le donne sono sí degne che oggi non è alcuno che non le vadi imitando e che volentieri, con l'animo e col corpo, femina non diventi?

      POLINICO. Altra risposta non voglio darvi.

      FESSENIO. Altro in contrario dir non sai.

      POLINICO. Ricordo a te, Lidio, che gli è sempre da tôr via l'occasione del male e di nuovo ti conforto che tu voglia, per tuo bene, levarti da questi vani innamoramenti.

      LIDIO. Polinico, e' non è cosa al mondo che manco riceva il consiglio o la operazione in contrario che lo amore; la cui natura è tale che piú tosto per se stesso consumar si può che per gli altrui ricordi tôrsi via. E però, se pensi levarmi dallo amore di costei, tu cerchi abracciar l'ombra e pigliare il vento con le reti.

      POLINICO. E questo ben mi pesa: perché, dove esser solevi piú trattabile che cera, or piú ruvido mi pari che la piú alta rovere che si trovi. E sai tu come ell'è? Io ne lasserò il pensiero a te. E sappi che tu ci capiterai male.

      LIDIO. Io nol credo. E se pur ciò fia, non m'hai tu nelle tue lezioni mostro che è gran laude morire in amore e che bel fin fa chi bene amando more?

      POLINICO. Orsú! Fa' pure a tuo modo e di questa bestia qui. Presto presto potresti cognoscere con tuo danno li effetti d'amore.

      FESSENIO. Fermati, o Polinico. Sai tu che effetti fa amore?

      POLINICO. Che? bestia!

      FESSENIO. Quelli del tartufo, che a' giovani fa rizzar la ventura e a' vecchi tirar coregge.

      LIDIO. Ah! ah! ah!

      POLINICO. Eh! Lidio, tu te ne ridi e sprezzi le parole mie? Piú non te ne parlo; e di te a te lasso il pensiero; e me ne vo.

      FESSENIO. Col mal anno. Hai tu visto come e' finge il buono? Come se noi non cognoscessimo questo ipocrito poltrone! che ci ha tutti turbati in modo che io né narrare né tu ascoltar potremo certa bella cosa di Calandro.

      LIDIO. Di', di'; ché con questa dolcezza leverem l'amaritudine che ci ha lassata Polinico.

      SCENA III

      LIDIO, FESSENIO servo.

      LIDIO. Or parla.

      FESSENIO. Calandro, marito di Fulvia tua amorosa e padrone mio posticcio, che castrone è e tu becco fai, mentre che tu, li dí passati, da donna vestito, Santilla chiamatoti, andato da Fulvia e tornato sei, credendo che tu donna sia, si è forte di te invaghito e pregatomi che io faccia sí che egli ottenga questa sua amorosa: la qual sei tu. Io ho finto averci fatta grande opera; gli ho data speranza di condurla, ancor oggi, alle voglie sue.

      LIDIO. Questa è ben cosa da ridere. Ah! ah! ah! Ed or mi ricordo che, l'altro dí, tornando io da Fulvia in abito di donna, mi venne drieto un pezzo; ma non pensai che fusse per innamoramento. Si vuol mandarla innanzi.

      FESSENIO. Ti servirò bene: lassa fare a me. Gli mostrerò di novo aver fatti miraculi per lui; e sta' sicuro, Lidio, che egli piú crederrá a me che io non dirò a lui. Gli do spesso ad intendere le piú scempie cose del mondo per ciò che gli è il piú sufficiente lavaceci che tu vedessi mai. Potrei mille sua castronarie raccontarti; ma, acciò che io non vada ogni particularitá narrandoti, egli ha in sé sí profonde sciocchezze che, se una sola di quelle fusse in Salamone, in Aristotele o in Seneca, averebben forza di guastare ogni lor senno, ogni lor sapienzia. E quello che sommamente mi fa ridere delli fatti suoi è che gli pare essere sí bello e sí piacevole che e' s'avisa che quante lo vedeno subito se innamorino di lui, come se altro piú bel fante di lui non si trovasse in questa terra. In fine, come il vulgo usa dire, se mangiasse fieno, sarebbe un bue; perché poco meglio è che Martino da Amelia o Giovan Manente. Onde facil ci fia, in questo suo amorazzo, condurlo a quel che noi piú vorremo.

      LIDIO. Ah! ah! ah! Io sono per morir delle risa. Ma dimmi: credendo esso che io sia femina, e maschio essendo, quando esso fia da me, come anderá la cosa?

      FESSENIO. Lassa pur questa cura a me, ché tutto ben si condurrá. Ma oh! oh! oh! Vedilo lá. Va' via, ché teco non mi veda.

      SCENA IV

      CALANDRO, FESSENIO servo.

      CALANDRO. Fessenio!

      FESSENIO. Chi mi chiama? Oh padrone!

      CALANDRO. Or be', dimmi: che è di Santilla mia?

      FESSENIO. Di' tu quel che è di Santilla?

      CALANDRO. Sí.

      FESSENIO. Non lo so bene. Pur io credo che di Santilla sia quella veste, la camicia che l'ha indosso, el grembiule, i guanti e le pianelle ancora.

      CALANDRO. Che pianelle? che guanti? Imbriaco! Ti domandai, non di quello che è suo, ma come la stava.

      FESSENIO. Ah! ah! ah! Come la stava vuoi saper tu?

      CALANDRO. Messer sí.

      FESSENIO. Quando poco fa la vidi, ella stava … aspetta! a sedere con la mano al volto; e, parlando io di te, intenta ascoltandomi, teneva gli occhi e la bocca aperta, con un poco di quella sua linguetta fuora, cosí.

      CALANDRO. Tu m'hai risposto tanto a proposito quanto voglio. Ma lassiamo ire. Donque l'ascolta volentieri, eh?

      FESSENIO. Come «ascolta»? Io l'ho giá acconcia in modo che fra poche ore tu arai lo attento tuo. Vuoi altro?

      CALANDRO. Fessenio mio, buon per te.

      FESSENIO. Cosí spero.

      CALANDRO. Certo. Fessenio, aiutami; ch'io sto male.

      FESSENIO. Oimè, padrone! Hai la febbre? Mostra.

      CALANDRO. No. Oh! oh! Che febbre? Bufalo! Dico che Santilla m'ha concio male.

      FESSENIO. T'ha battuto?

      CALANDRO. Oh! oh! oh! Tu se' grosso! Dico ch'ella m'ha inamorato forte.

      FESSENIO. СКАЧАТЬ