I Promessi Sposi. Alessandro Manzoni
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Название: I Promessi Sposi

Автор: Alessandro Manzoni

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ discorsi da farsi, neppur per burla, – disse Agnese.

      – Per burla? – gridò Renzo, fermandosi ritto in faccia ad Agnese seduta, e piantandole in faccia due occhi stralunati. – Per burla! vedrete se sarà burla.

      – Oh Renzo! – disse Lucia, a stento, tra i singhiozzi: – non v’ho mai visto così.

      – Non dite queste cose, per amor del cielo, – riprese ancora in fretta Agnese, abbassando la voce. – Non vi ricordate quante braccia ha al suo comando colui? E quand’anche… Dio liberi!… contro i poveri c’è sempre giustizia.

      – La farò io, la giustizia, io! È ormai tempo. La cosa non è facile: lo so anch’io. Si guarda bene, il cane assassino: sa come sta; ma non importa. Risoluzione e pazienza… e il momento arriva. Sì, la farò io, la giustizia: lo libererò io, il paese: quanta gente mi benedirà!.. e poi in tre salti!..

      L’orrore che Lucia sentì di queste più chiare parole, le sospese il pianto, e le diede forza di parlare. Levando dalle palme il viso lagrimoso, disse a Renzo, con voce accorata, ma risoluta: – non v’importa più dunque d’avermi per moglie. Io m’era promessa a un giovine che aveva il timor di Dio; ma un uomo che avesse… Fosse al sicuro d’ogni giustizia e d’ogni vendetta, foss’anche il figlio del re…

      E bene! – gridò Renzo, con un viso più che mai stravolto: – io non v’avrò; ma non v’avrà né anche lui. Io qui senza di voi, e lui a casa del…

      – Ah no! per carità, non dite così, non fate quegli occhi: no, non posso vedervi così, – esclamò Lucia, piangendo, supplicando, con le mani giunte; mentre Agnese chiamava e richiamava il giovine per nome, e gli palpava le spalle, le braccia, le mani, per acquietarlo. Stette egli immobile e pensieroso, qualche tempo, a contemplar quella faccia supplichevole di Lucia; poi, tutt’a un tratto, la guardò torvo, diede addietro, tese il braccio e l’indice verso di essa, e gridò: – questa! sì questa egli vuole. Ha da morire!

      – E io che male v’ho fatto, perché mi facciate morire? – disse Lucia, buttandosegli inginocchioni davanti.

      – Voi! – rispose, con una voce ch’esprimeva un’ira ben diversa, ma un’ira tuttavia: – voi! Che bene mi volete voi? Che prova m’avete data? Non v’ho io pregata, e pregata, e pregata? E voi: no! no!

      – Sì sì, – rispose precipitosamente Lucia: – verrò dal curato, domani, ora, se volete; verrò. Tornate quello di prima; verrò.

      – Me lo promettete? – disse Renzo, con una voce e con un viso divenuto, tutt’a un tratto, più umano.

      – Ve lo prometto.

      – Me l’avete promesso.

      – Signore, vi ringrazio! – esclamò Agnese, doppiamente contenta.

      In mezzo a quella sua gran collera, aveva Renzo pensato di che profitto poteva esser per lui lo spavento di Lucia? E non aveva adoperato un po’ d’artifizio a farlo crescere, per farlo fruttare? Il nostro autore protesta di non ne saper nulla; e io credo che nemmen Renzo non lo sapesse bene. Il fatto sta ch’era realmente infuriato contro don Rodrigo, e che bramava ardentemente il consenso di Lucia; e quando due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor d’un uomo, nessuno, neppure il paziente, può sempre distinguer chiaramente una voce dall’altra, e dir con sicurezza qual sia quella che predomini.

      – Ve l’ho promesso, – rispose Lucia, con un tono di rimprovero timido e affettuoso: – ma anche voi avevate promesso di non fare scandoli, di rimettervene al padre…

      – Oh via! per amor di chi vado in furia? Volete tornare indietro, ora? e farmi fare uno sproposito?

      – No no, – disse Lucia, cominciando a rispaventarsi. – Ho promesso, e non mi ritiro. Ma vedete voi come mi avete fatto promettere. Dio non voglia…

      – Perché volete far de’ cattivi augùri, Lucia? Dio sa che non facciam male a nessuno.

      – Promettetemi almeno che questa sarà l’ultima.

      – Ve lo prometto, da povero figliuolo.

      – Ma, questa volta, mantenete poi, – disse Agnese.

      Qui l’autore confessa di non sapere un’altra cosa: se Lucia fosse, in tutto e per tutto, malcontenta d’essere stata spinta ad acconsentire. Noi lasciamo, come lui, la cosa in dubbio.

      Renzo avrebbe voluto prolungare il discorso, e fissare, a parte a parte, quello che si doveva fare il giorno dopo; ma era già notte, e le donne gliel’augurarono buona; non parendo loro cosa conveniente che, a quell’ora, si trattenesse più a lungo.

      La notte però fu a tutt’e tre così buona come può essere quella che succede a un giorno pieno d’agitazione e di guai, e che ne precede uno destinato a un’impresa importante, e d’esito incerto. Renzo si lasciò veder di buon’ora, e concertò con le donne, o piuttosto con Agnese, la grand’operazione della sera, proponendo e sciogliendo a vicenda difficoltà, antivedendo contrattempi, e ricominciando, ora l’uno ora l’altra, a descriver la faccenda, come si racconterebbe una cosa fatta. Lucia ascoltava; e, senza approvar con parole ciò che non poteva approvare in cuor suo, prometteva di far meglio che saprebbe.

      – Anderete voi giù al convento, per parlare al padre Cristoforo, come v’ha detto ier sera? – domandò Agnese a Renzo.

      – Le zucche! – rispose questo: – sapete che diavoli d’occhi ha il padre: mi leggerebbe in viso, come sur un libro, che c’è qualcosa per aria; e se cominciasse a farmi dell’interrogazioni, non potrei uscirne a bene. E poi, io devo star qui, per accudire all’affare. Sarà meglio che mandiate voi qualcheduno.

      – Manderò Menico.

      – Va bene, – rispose Renzo; e partì, per accudire all’affare, come aveva detto.

      Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, ch’era un ragazzetto di circa dodici anni, sveglio la sua parte, e che, per via di cugini e di cognati, veniva a essere un po’ suo nipote. Lo chiese ai parenti, come in prestito, per tutto quel giorno, – per un certo servizio, – diceva. Avutolo, lo condusse nella sua cucina, gli diede da colazione, e gli disse che andasse a Pescarenico, e si facesse vedere al padre Cristoforo, il quale lo rimanderebbe poi, con una risposta, quando sarebbe tempo. – Il padre Cristoforo, quel bel vecchio, tu sai, con la barba bianca, quello che chiamano il santo…

      – Ho capito, – disse Menico: – quello che ci accarezza sempre, noi altri ragazzi, e ci dà, ogni tanto, qualche santino.

      – Appunto, Menico. E se ti dirà che tu aspetti qualche poco, lì vicino al convento, non ti sviare: bada di non andar, con de’ compagni, al lago, a veder pescare, né a divertirti con le reti attaccate al muro ad asciugare, né a far quell’altro tuo giochetto solito…

      Bisogna saper che Menico era bravissimo per fare a rimbalzello; e si sa che tutti, grandi e piccoli, facciam volentieri le cose alle quali abbiamo abilità: non dico quelle sole.

      – Poh! zia; non son poi un ragazzo.

      – Bene, abbi giudizio; e, quando tornerai con la risposta… guarda; queste due belle parpagliole nuove son per te.

      – Datemele ora, ch’è lo stesso.

      – No, no, tu le giocheresti. Va, e portati bene; che n’avrai anche di più.

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