La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери
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СКАЧАТЬ alquanto di lunge da la sponda

      la gittò giuso in quell’ alto burrato.

      115 «E’ pur convien che novità risponda»,

      dicea fra me medesmo, «al novo cenno

      che ’l maestro con l’occhio sì seconda».

      118 Ahi quanto cauti li uomini esser dienno

      presso a color che non veggion pur l’ovra,

      ma per entro i pensier miran col senno!

      121 El disse a me: «Tosto verrà di sovra

      ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;

      tosto convien ch’al tuo viso si scovra».

      124 Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna

      de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,

      però che sanza colpa fa vergogna;

      127 ma qui tacer nol posso; e per le note

      di questa comedìa, lettor, ti giuro,

      s’elle non sien di lunga grazia vòte,

      130 ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro

      venir notando una figura in suso,

      maravigliosa ad ogne cor sicuro,

      133 sì come torna colui che va giuso

      talora a solver l’àncora ch’aggrappa

      o scoglio o altro che nel mare è chiuso,

      136 che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.

      Canto XVII

      «Ecco la fiera con la coda aguzza,

      che passa i monti e rompe i muri e l’armi!

      Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».

      4 Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;

      e accennolle che venisse a proda,

      vicino al fin d’i passeggiati marmi.

      7 E quella sozza imagine di froda

      sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,

      ma ’n su la riva non trasse la coda.

      10 La faccia sua era faccia d’uom giusto,

      tanto benigna avea di fuor la pelle,

      e d’un serpente tutto l’altro fusto;

      13 due branche avea pilose insin l’ascelle;

      lo dosso e ’l petto e ambedue le coste

      dipinti avea di nodi e di rotelle.

      16 Con più color, sommesse e sovraposte

      non fer mai drappi Tartari né Turchi,

      né fuor tai tele per Aragne imposte.

      19 Come talvolta stanno a riva i burchi,

      che parte sono in acqua e parte in terra,

      e come là tra li Tedeschi lurchi

      22 lo bivero s’assetta a far sua guerra,

      così la fiera pessima si stava

      su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.

      25 Nel vano tutta sua coda guizzava,

      torcendo in sù la velenosa forca

      ch’a guisa di scorpion la punta armava.

      28 Lo duca disse: «Or convien che si torca

      la nostra via un poco insino a quella

      bestia malvagia che colà si corca».

      31 Però scendemmo a la destra mammella,

      e diece passi femmo in su lo stremo,

      per ben cessar la rena e la fiammella.

      34 E quando noi a lei venuti semo,

      poco più oltre veggio in su la rena

      gente seder propinqua al loco scemo.

      37 Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena

      esperienza d’esto giron porti»,

      mi disse, «va, e vedi la lor mena.

      40 Li tuoi ragionamenti sian là corti;

      mentre che torni, parlerò con questa,

      che ne conceda i suoi omeri forti».

      43 Così ancor su per la strema testa

      di quel settimo cerchio tutto solo

      andai, dove sedea la gente mesta.

      46 Per li occhi fora scoppiava lor duolo;

      di qua, di là soccorrien con le mani

      quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:

      49 non altrimenti fan di state i cani

      or col ceffo or col piè, quando son morsi

      o da pulci o da mosche o da tafani.

      52 Poi che nel viso a certi li occhi porsi,

      ne’ quali ’l doloroso foco casca,

      non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi

      55 che dal collo a ciascun pendea una tasca

      ch’avea certo colore e certo segno,

      e quindi par che ’l loro occhio si pasca.

      58 E com’ io riguardando tra lor vegno,

      in una borsa gialla vidi azzurro

      che d’un leone avea faccia e contegno.

      61 Poi, procedendo di mio sguardo il curro,

      vidine un’altra come sangue rossa,

      mostrando un’oca bianca più che burro.

      64 E un che d’una scrofa azzurra e grossa

      segnato avea lo suo sacchetto bianco,

      mi disse: «Che fai tu in questa fossa?

      67 Or te ne va; e perché se’ vivo anco,

      sappi che ’l mio vicin Vitaliano

      sederà qui dal mio sinistro fianco.

      70 Con questi Fiorentin son pado ano:

      spesse fiate mi ’ntronan li orecchi

      gridando: «Vegna ’l cavalier sovrano,

      73 che recherà la tasca con tre becchi!»».

      Qui distorse la bocca e di fuor trasse

      la lingua, come bue che ’l naso lecchi.

      76 E io, temendo no ’l più star crucciasse

      lui che di poco star m’avea ’mmonito,

      torna’mi in dietro da l’anime lasse.

      79 Trova’ il duca mio ch’era salito

      già su la groppa del fiero animale,

      e disse a me: «Or sie forte e ardito.

      82 Omai si scende per sì fatte scale;

      monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,

      sì che la coda non possa far male».

      85 Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo

      de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,

      e triema tutto pur guardando ’l rezzo,

      88 tal divenn’ io a le parole porte;

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