L'Illusione. Federico De Roberto
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Читать онлайн книгу L'Illusione - Federico De Roberto страница 9

Название: L'Illusione

Автор: Federico De Roberto

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069858

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СКАЧАТЬ lutto della mamma, potesse essere il suo babbo. Quando Laura finì di piangere, egli domandò notizie a Miss della salute e dell'educazione delle bambine; Miss rispondeva a denti stretti, cogli occhi a terra;

      — Oui, Monsieur... Non, Monsieur...

      — Vi piace Palermo, bambine?... Verrete un giorno in carrozza con me?...

      Allora Miss cominciò:

      — Monsieur voudra bien m'excuser, mais j'ai des ordres...

      La zia prese il babbo in disparte e si misero a parlare fra loro. Non s'udiva quel che dicevano, ma il babbo chinava il capo lisciandosi la barba.

      — Come vorrete... — finì per dire; e, dopo un'altra carezza, andò via.

      La sera, un servitore portò una bracciata di involti: dei nécessaires da lavoro, dei cartocci di confetti, dei libri illustrati e rilegati. Andò tutto diviso tra lei e Lauretta; ma il possesso di quelle cose non le procurò nessun piacere. Ella era più contenta dei fiori artificiali, dei nastri, dei pezzi di guarnizioni che domandava alla zia, quando questa metteva in ordine le sue cose; e cadeva in ammirazione dinanzi a una piuma vecchia, si provava tutte le carcasse dei cappelli smessi, chiedeva il nome di tutte le stoffe, di tutti i tagli d'abiti, di tutte le gradazioni di colore.

      Il babbo tornava a venire, ogni due giorni; Miss era sempre presente, faceva la sentinella. Si discorreva di Milazzo, di Palermo, di tante cose, come nelle visite. Un giorno annunziò che stavano per aprire il teatro Bellini. Ella si tenne dal batter le mani: finalmente sarebbe andata a teatro!

       Erano i Puritani che si rappresentavano. Per farle piacere, la zia dovè vestirsi due ore prima dello spettacolo; ella restava estatica a contemplarla in quella toletta scollata, tutta sfolgorante di gemme. Anche lei uscì dalle mani di Miss attillata, azzimata come una damina, con le guancie rosse come di fuoco, sulle quali volle per forza passare il piumino della cipria. Lauretta, che si sentiva poco bene, restò in casa; lei le promise di raccontarle poi tutto.

      Che bellezza, quel teatro! Seduta fra la zia e lo zio, ella divorava cogli occhi le signore che avevano già preso posto e sussultavano tratto tratto, come spinte da una molla, per accomodarsi meglio; e ad ogni rumore d'uscio che si apriva voltava il capo per vedere entrare le nuove venute, tutte avvolte negli accappatoi bianchi, dei quali i cavalieri le liberavano. Sapeva che non bisognava far segno col dito, però si chinava appena verso la zia, parlando a voce bassa, chiedendole l'occhialetto che reggeva con tutt'e due le mani e che allungava e accorciava un pezzo prima di trovare il punto giusto, o prendendole il ventaglio profumato per farsi vento, per cacciar la vampa che le saliva al viso. Dalla platea, dai palchi veniva un brusìo confuso; gli uomini, con le spalle alla scena, appuntavano in giro i cannocchiali; e ad un tratto ella sussultò udendo le prime battute della sinfonia. Alzata la tela, si vide un castello con un ponte gettato fra due torri; dei soldati cogli schioppi sulla spalla andavano di su e di giù, e Riccardo, avvolto in un mantello nero, cogli stivali di cuoio giallo e un gran cappello in capo, cantava, portando una mano al petto, alzando l'altra, tendendo poi tutt'e due le braccia: «Ah, per sempre io ti perdei, fior d'amore, o mia speranza!...» La zia spiegava il fatto, ma non bene, quando comparve Elvira, bella e piangente; e poi la gran sala delle bandiere, con la Regina prigioniera dei Puritani, Arturo che voleva salvarla, Riccardo che sguainava la spada, e quella gran confusione, dopo la fuga!

      — È finito?... Ah, un atto soltanto!...

      Vennero delle visite nel palco; il marchesino di Floristella mormorava alla zia tante cose, mostrando le altre signore; ella udiva: «Una corte spietata!... Il marito finge di non vedere... La cognata tiene il sacco...»

      Intanto la povera Elvira era ammattita: pallida pallida, scarmigliata, scambiava Riccardo per Arturo, dicendogli: «Vieni a nozze!...» Riccardo piangeva, ma la pazza scoppiava a ridere, cantando dalla gioia: «Vien diletto, in ciel la luna...» fra un subisso d'applausi che si rinnovavano quando Riccardo e l'altro Puritano, sfoderate le spade lampeggianti, cantavano insieme: «Suoni la tromba, e intrepidi noi pugnerem da forti!...»

      Oppressa dall'emozione, cogli occhi lacrimosi e ridenti, le guancie ancora più infiammate di prima e così turgide come se fossero sul punto di screpolarsi, ella trasse un profondo sospiro.

      — Hai sonno? — chiese la zia.

      — Io?... Io starei così fino a domani!

      L'ultimo atto; una campagna, con un castello illuminato, e un sedile. C'era Arturo, tutto avvolto in un gran manto nero, che voleva rivedere Elvira. Lei usciva dal castello, sempre pazza, cantando, e se ne andava dall'altro lato. Arturo riprendeva quel canto, accompagnandosi: «Press'un fonte afflitto e solo s'assideva un trovator...» Ed Elvira tornava indietro: «Sei tu?...» Era lui! e s'abbracciavano, stretti stretti, felici e contenti, guardando il cielo: «Vieni fra le mie braccia!...»

       — Ma sono già marito e moglie?...

      Accorrevano i soldati, s'udiva uno squillo di tromba e un araldo annunziava la grazia per tutti, intanto che la gente si alzava in platea, e le signore anche, avvolgendosi nei mantelli e nelle fascie.

      A letto, non le riuscì di dormire, con la musica nell'orecchio, coi personaggi sempre dinanzi agli occhi; e nel sonno essi tornavano ad apparirle, si confondevano coi principi e con le regine delle fiabe, cogli eroi guerrieri, cogli amanti infelici che spasimavano lontani gli uni dagli altri e che tornavano da morte a vita appena ricongiunti. E il domani si metteva a ripetere quei motivi, canticchiava con un tempo da tarantella: «Presso un fonte afflitto e solo...» cominciando, interrompendo, e ripigliando cento volte la narrazione dell'opera alla sorellina:

      — .... Però Riccardo vede che Arturo sta per fuggire con la regina, quell'altra, sai? quella vestita di nero, e lo lascia andare: «Vattene, scappa e non ci tornare più.»

      Intanto il nonno scriveva da Milazzo di pensare al ritorno. All'idea che quelle feste stavano per finire, ella aveva quasi voglia di piangere; allora sedeva a tavolino e riempiva un foglio di preghiere, scongiurando il nonno di accordare una dilazione, asserendo che era necessario per la salute di Lauretta, promettendogli tutte le sue carezze e i suoi baci se diceva di sì. E degli altri giorni scorrevano, tra i passeggi, gli spettacoli, gl'inviti a pranzo. Una volta, alla Marina, la loro carrozza s'incrociò con quella del babbo: aveva a fianco una signora bruna, un po' grassa, colle guancie bianche di cipria e dei grossi smeraldi alle orecchie. Guardò le bambine, sporgendosi di scatto: lei s'irrigidì, guardandola fiso, duramente, comprendendo che era quella per cui la sua mamma aveva tanto sofferto. Ma la sera, a teatro come rappresentavano la Lucia di Lammermoor, non ci pensò più: adesso non sapeva quale delle due opere fosse la più bella. Quella comparsa di Edgardo in mezzo alla festa di nozze! e la sfida dei due rivali! e la scena delle tombe: «Tu che a Dio spiegasti l'ale!...» I motivi più belli le restavano tutti impressi; nel cantare: «Verranno a te sull'aure i miei sospiri ardenti...» delle lacrime le scorrevano sulle guancie.

      Gli ultimi giorni passarono nelle visite di congedo, nelle compre di tanti minuti oggetti da portare a casa. Le signore volevano sapere dalle ragazze se lasciavano Palermo con dispiacere; ella rispondeva:

      — Non me ne parli!...

      Ed alla cameriera della zia che le chiedeva quando sarebbe venuta un'altra volta:

      — Presto!... — rispondeva. — Vi pare che io voglia stare in quella bicocca?

      Allora, mentre la donna rassettava la camera, ella cominciò a interrogare:

      — Sentite: quanto vi dà la zia ogni mese?

      — Trenta lire.

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