L'Illusione. Federico De Roberto
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Читать онлайн книгу L'Illusione - Federico De Roberto страница 8

Название: L'Illusione

Автор: Federico De Roberto

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069858

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СКАЧАТЬ non ti sei maritata? Mi mariterò anch'io!

      — Va bene, però le fanciulle ammodo non parlano di questo.

      — Ti fa dispiacere? Se ti dispiace, non lo dirò più.

      Ma ella restava ancora tutta fremente di ribellione, girava intorno gli occhi ingranditi, luccicanti, si mordeva un labbro, e a un tratto, profittando della diversione prodotta dall'arrivo del cameriere che annunziava il desinare, si buttò al collo della zia e le sussurrò, tra risa represse:

      — Sai perchè non vuole che se ne parli? Perchè lei non l'ha voluta nessuno!...

      Il domani cominciarono le visite, prima di tutto ai parenti degli zii: la marchesa di Mistretta, il commendatore Guarino, due vecchi noiosi, dai quali solo Laura si lasciava baciare e ribaciare in santa pace, guadagnandosene le preferenze.

      — Hai visto, grulla? — esclamava la zia. — Tutte le carezze sono state per lei!

      — Che m'importa! Se le prenda. Mi secca esser baciata dai vecchi!

      L'invidia, la gelosia ed anche le zuffe scoppiarono fra loro due più tardi, nel contendersi la felicità di passare, appena sveglie, nel letto della zia; tanto che questa fu costretta a stabilire un giorno per ciascuna. Nondimeno, lei pretendeva talvolta che Laura le cedesse il suo turno, le dava all'occorrenza degli spintoni, la lasciava piangente per terra.

      — Come sei prepotente! — rimproverava la zia. — È così che tratti la tua sorellina? Ma tu non sai che devi proteggerla, difenderla, aver cura di lei che è più piccina, malaticcia? Tu sei la maggiore, devi tenerle luogo di mamma!...

      Chinando un poco gli sguardi, ella consentiva, ripetutamente:

      — Sì, zia... hai ragione... hai ragione...

      Allora, pensava di parlarle della povera mamma, del babbo, di tutto quello che aveva confusamente capito dai discorsi di Stefana e del nonno; ma dopo aver cominciato: «E dimmi....»; quando la zia chiedeva:

       — Che cosa!... Di', figlia mia...

      — Nulla, zia, nulla... — rispondeva, e restava un poco senza parlare. Poi, riscuotendosi, cominciava a tempestarla di domande:

      — Ed io com'ero, quand'ero piccina? Ti rammenti quando nacqui?... Eri con la mamma mia? Te lo rammenti proprio bene, come fosse oggi?

      — Sì, che me lo rammento. Eri tanto piccina, così!...

      — E com'ero, buona?

      — Più buona d'ora... Adesso non sei cattiva, non dico questo... ma non ti sai frenare, t'imbizzisci per nulla, ti ostini troppo nelle tue volontà... Nel mondo, bambina mia, non si può fare quel che si vuole; bisogna rassegnarsi, aver pazienza, soffrire...

      — La mamma sofferse molto, non è vero?

      La zia guardava altrove, rispondendo:

      — Soffriamo tutti, al mondo...

      Allora ella scrollava il capo cogli occhi in alto.

      — Io lo so, che la mamma sofferse molto... a causa del babbo... perchè la lasciò... per prendersi un'altra moglie... Ti pare che non lo sappia? A casa non parlano mai di questo con noi; ma io so bene... so bene...

      La zia non aveva tempo d'esprimere il suo stupore, che lei riprendeva:

      — E dimmi una cosa, adesso... ha avuto altri figli, con questa moglie?.. sì o no? rispondi.

      — Sì.

      — Ma quanti?

      — Uno.

      — Questo mi dispiace... — Pensò un poco, poi disse: — Del resto, che cosa importa?... Noi siamo sempre sue figliuole, eh?

      — Ma chi è che ti parla di queste cose?

       — Nessuno, zia... le so io!... Vedi, al nonno di queste domande non ne faccio, perchè so di addolorarlo... Ma tu, senti: questa moglie... è bella?... più bella della mamma?...

      — Non so.

      La zia s'alzava; ella le teneva dietro, e nella stanza di toletta rovistava in mezzo alla batteria delle bottigline, delle caraffe, delle scatolette, delle spazzole e dei pettini, fiutando gli odori, chiedendo il nome di una cosa e l'uso di un'altra, insistendo per profumarsi i capelli e buttandosi addosso mezzo litro di essenza.

      Quando s'andava fuori, prima di vestirsi lei stessa, stava a veder vestire la zia, si cacciava dentro la guardaroba per tastare le stoffe, esaminava una mantiglia o un corpetto, apriva tutte le scatole dei cappelli e dei ventagli, estasiandosi dinanzi alle piume, ai fiori, alle guarnizioni, ai fazzoletti di pizzo, a tutte le cose belle e smaglianti. Poi correva a vestirsi anche lei, e in carrozza, come le signore e i giovanotti salutavano, ella si chinava continuamente a domandare chi erano.

      Le bastava vedere una volta le persone per non dimenticarle più, e al passeggio adesso riconosceva da lontano tutte le dame:

      — Guarda, la Boscoforte... Zia, la Migliara ti sta salutando.

      Ogni signora aveva il suo giorno di ricevimento: la marchesa di Fiordivalle il giovedì, la principessa di Terranova il sabato, la Boscoforte il lunedì; la zia restava in casa tutti i martedì; ed anche lei passava nel salotto, come una signorina. Tutte la festeggiavano, le sciupavano a baci le guancie; ella non udiva che lodi per la sua bellezza. Ma fra quelle signore le sue preferite erano le più giovani e le più eleganti: la Feràolo, che portava una veste da camera azzurra guarnita di larghi merletti bianchi e neri; la Bianchi che voltava il capo, che stendeva la mano, che si stringeva le braccia alla vita con mosse così distinte — dinanzi allo specchio, tutta sola, lei si studiava di riprodurle.

      Miss pretendeva che studiassero come a casa; ella rispondeva voltandole le spalle:

      — Noi siamo qui per divertirci; punto per ammuffire a tavolino!

      E un giorno la zia, lo zio e Miss si misero a confabulare; eran venute delle ambasciate, si sentiva qualcosa per aria. All'ora del passeggio, ella si vestì insieme con Lauretta come di consueto; ma invece di condurle fuori, la zia annunziò:

      — Bambine, sentite; a momenti sarà qui vostro padre.

      Le due sorelle si guardarono e si misero ad aspettare. Miss, più impettita del solito, era accanto a loro. Si udì il rumore d'una carrozza, lo squillo del campanello, e comparve un signore elegantissimo, con una bella barba bruna spartita sul mento, e una mazza in mano. Andò difilato a salutare la zia, fece un inchino a Miss, e si curvò su di lei dicendo:

      — Figlia mia, non mi riconosci?

      Era il babbo?

      Ella restava a guardarlo, stupita, non ritrovando più la figura che le era rimasta confusamente in fondo alla memoria. Non vestiva a lutto, quella barba gli faceva un'altra fisonomia. Come diede un bacio in fronte a Laura, la piccolina scoppiò in pianto, gli s'aggrappò al collo, mormorando tra i singhiozzi:

      — Babbo!... babbo!...

      Adesso tutti le si misero attorno a calmarla; egli l'accarezzava con le mani inguantate, senza posar da canto nè la mazza nè il cappello. Lei seguitava СКАЧАТЬ