Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066088026

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СКАЧАТЬ toscano, a motivo di dissidii intervenuti fra il Principe e il Ministero, nel Monitore dell'8 gennaio 1849 così annunziava: «Possiamo assicurare, che tra Principe e Ministero è pieno lo accordo; che fermo sta il giorno per l'apertura del Parlamento toscano, e che se apparenza alcuna d'incertezza vi è stata per alcun ritardo, notato nelle disposizioni necessarie innanzi a questa patria solennità, non nel dissenso del Principe, ma nella lontananza del medesimo dalla Capitale, se ne deve trovar la cagione. Del resto, noi bene ci augureremmo se in tutti gli Stati Costituzionali, Principato e Governo si accordassero così mirabilmente, come tra noi ne veggiamo lo esempio

      A Gio. Battista Alberti, alla persona del Granduca attaccatissimo, in guisa riservata mandava: «A. C. Probabilissimamente S. A. verrà solo in Arezzo per ismentire con la sua presenza le triste insinuazioni sul conto suo, e nostro. Io ti raccomando, che le Deputazioni, le quali si presenteranno certamente da lui, lo tengano sollevato, e lo persuadano che la quiete in Toscana non può durare che continuando nel sistema governativo iniziato.[144]»

      Nel giorno ultimo di gennaio 1849, avvertito del prossimo sbarco di Giuseppe Mazzini, mandavo al Governatore di Livorno il seguente Dispaccio telegrafico:

      «Sento che verrà Mazzini. Il Governo avverte il Governatore ad usare ogni possibile prudenza. Il Granduca è lontano dalla Capitale. Un moto in senso repubblicano basterebbe a non farlo tornare, e questo sarebbe il peggiore dei mali. Qui non si vuole affatto la Repubblica da tutti

      Avvisato che Mazzini sarebbe andato a Civitavecchia sotto mentito nome, senza toccare Livorno, rispondo: Sta bene.

      Allo annunzio delle voci sparse di fuga del Principe, io ammonisco, con Dispaccio telegrafico del 4 febbraio 1849, il Governatore di Livorno: «S. A. è a Siena, ove cadde ammalato. Firenze è tranquillissima; noi pure lo siamo, e continuiamo a stare in perfetta relazione col Principe. Diffidi dei rumori sparsi dai speculatori di torbidi

      Nel 5 febbraio, onde tôrre via il sinistro effetto delle insinuazioni di scissura fra la Corona e il Ministero, pei casi successi a Siena, annunzio nel Monitore: «Cessi ogni trepidazione; la città si rassicuri; la stretta armonia fra il Principe e il suo Ministero, anzichè soffrire alterazione, ogni dì più si conferma

      Per isbaldanzire i maneggi dei Repubblicani, e levare loro ogni male concepita speranza, che il Governo potesse sopportarli pazientemente, io componeva e faceva stampare nel Giornale Officiale il seguente articoletto in forma di lettera, che immaginava pervenuta da Roma il 7 febbraio 1849. «I buoni Italiani convenuti qui in Roma, pare che abbiano deposto il pensiero di proclamare la Repubblica. Tutti i frutti, in ispecie i politici, quando sono immaturi, guastano la salute. Piemonte si chiuderebbe in politica isolata, seppure non irrompesse manifestamente ostile. Toscana, noi lo sappiamo, vuole il Principato democratico e repugna dalla Repubblica; — non parlo già del Governo, che io non conosco, ma del Popolo nella sua maggiorità. Così invece di stringerci per la guerra della Indipendenza, avremmo la guerra civile, madre infelicissima di servitù interna ed esterna. A questo pensino tutti quelli che si dicono amanti della Patria. Se vuolsi avvantaggiare la veneranda madre Italia, è un conto; se pescare nel torbido, incendiare un pagliaio per riscaldarsi le mani, è un altro. Ma siccome io reputo coloro che professano concetti repubblicani, uomini di ottima fede, almeno la massima parte, così richiamino la mente alla grave considerazione degli elementi che ci stanno sotto mano, e giudichino nella rettitudine del cuore. Gli uomini sono uomini, e si dispongono con le persuasioni e col tempo; con l'esorbitanze si rovesciano, e inferociscono.[145]»

      Ma l'Accusa, che sospetta sempre in me trattato doppio, insorge, e dice: tutte queste sono «lustre, finte, e mostre per parere;» voi tenevate due corde al vostro arco; voi siete l'uomo vafer, atque callidissimus, dei Latini; nella composizione del vostro corpo, per tre quarti almeno, ci entra carne di volpe. Bene! Grazie! La fortuna, fra tante acerbità, mi fu cortese di amici, fra i quali dilettissimo e venerato il signor Giovanni Bertani, che, intrinseco già del padre mio, me lo rappresenta adesso per affetto, per cura, per ogni altra cosa più dolce; e la Istruzione lo sa. Ora può credersi sincero, almeno quello che confidavo a lui: non era destinato a sapersi; dovevano rimanere le mie espressioni riposte nello animo suo. E quando io gli facevo la confidenza dei miei pensieri? Poche ore prima che Niccolini mi annunziasse il successo di Siena, e mi aprisse il disegno di proclamare la Repubblica, e me volere a forza Dittatore. — E come? — Oh! non dubiti l'Accusa: in guisa, che i suoi stessi sospetti rimarranno placati: con lettera, che porta il doppio marchio delle Poste di Firenze e di Livorno. — E che dic'ella cotesta lettera? — Giovanni Bertani, con lettera del 6 febbraio, mi ragguagliava come la città andasse turbata nelle decorse notti con le grida di — Viva la Repubblica! e giorni innanzi un certo tale avere tenuto parlamento al Popolo dalla terrazza della Comunità, in senso repubblicano e comunista. Io così gli rispondeva la sera del 7 febbraio 1849: «Tutto andrà pel meglio, purchè costà non avvengano disordini. Screditate questi mestieranti torbidi e sviscerati della Repubblica per aver pane dal Principato. S... va fischiato. Lo stesso sacramento in bocca sua diventa sacrilegio: vergogna al Popolo che sopporta simili Apostolati.»[146]

      Ma l'Accusa (per adoperare il suo linguaggio) dirà: non sono questi atti univoci, non prove limpidissime; gli è forza che vi scolpiate luminosamente, splendidamente; bisognerebbe conoscere proprio quello che ruminavate tra voi altri Ministri, quello che tenevate giù dentro al profondo del cuore. — Ahimè!

       Facilis descensus Averni.

      . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

       Sed revocare gradum, superasque evadere ad auras,

       Hoc opus, hic labor est.

      Ebbene, voi lo volete sapere? Ve lo dirò. Quando il Presidente del Consiglio partiva per Siena, io gli spediva dietro una lettera in data del 6 febbraio 1849, nella quale, dopo avere dettato al Segretario le notizie pervenute in giornata, di mia mano aggiungevo per poscritto: «P. S. Con Marmocchi e CC. bisogna dare prova sensibile a S. A., che la sua sicurezza impone ch'egli e la sua famiglia tornino subito a Firenze. Bisogna salvarlo anche suo malgrado

      L'Accusa ringhia, ma non lascia presa, e pretende la prova della mia incolpabilità avere ad essere sfolgorante come la faccia di Giove quando comparve a Semele. Cotesto fu mal consiglio; troppo volle costei, e diventò cenere... pur va, Accusa, e cenere diventa. — Avvisato dalla signora Laura Parra, che nella notte del 7 febbraio od ella sarebbe andata, o avrebbe mandato (chè ciò non bene ricordo), a Siena, le confidava, breve ora e forse pochi momenti innanzi che giungesse lo annunzio della partenza del Granduca, la lettera qui oltre impressa. Depositata presso persona di fiducia del presente Governo, mi viene ora restituita, affinchè me ne valga a confondere la impronta Accusa, che arreca ribrezzo e accoramento a quei medesimi, i quali nella mia vita politica mi procederono più avversi. — Pubblicando questa lettera dichiaro, che il giudizio quivi espresso da me intorno alcuni individui, come formato sopra notizie altrui, non già sopra osservazioni proprie, è erroneo, ed ebbi a doverlo riformare più tardi. —

      «A. C.

      «Modena. — Non si verifica, nè si conferma la notizia.

      «Civica. — Bisognerebbe ricorrere alle Camere per Legge speciale. Concerto con D'Ayala se può farsi altrimenti; ingaggierei Volontarii per un anno. Stasera conferiremo. I Circoli si offrono pronti a secondarmi.

      «Mordini. — Anche per le notizie della signora Laura è un cupo ambizioso che ci mina sotto. Credi potertene servire con sicurezza, o vuoi rovesciarlo nella polvere? Pensaci: dimmelo, e fa come vuoi.

      «Andreozzi. — Rimandatemelo subito: ora è necessario a me: nulla giova a voi.

      «Roma. СКАЧАТЬ