Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069834

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СКАЧАТЬ volere i negozi spicci, conobbe che il nodo stava nello abbattere con gli aiuti della Terra del Comune i baroni pomontani; nè riputò disperato lo assunto, conciossiachè, quantunque costoro fossero parecchi, pure, nel modo che gli universi fiumi della Corsica mettono foce nel Golo e nel Tavignano, si riunivano tutti sotto le due case della Rôcca e da Leca. Pel Banco di san Giorgio ogni partito buono, ma sopra gli altri gli piacquero il fuoco, il tradimento, il coltello. Antonio Calvo, governatore, fece una ghiacciata di ventiquattro baroni ad un tratto; gli altri fuggirono via atterriti riparando a Napoli. Beati loro se la volontà o gli anni li persuadevano a starsi in esiglio! E' vollero perfidiare nel cimento delle armi; e su le prime andò bene, chè Vincenzo da Leca, sorpreso Ambrogio Marabotto in quella che stava per entrare in Cinarca, lo tagliò a pezzi con tutti i suoi. Se non che Antonio Spinola, governatore, considerando come a mantenere viva la nuova guerra contribuivano massimamente gli aiuti che cotesti signori cavavano dal contado del Niolo divotissimo a loro, trovò partito più certo essere quello di sterminarlo e così fece: la desolazione e la morte percossero tutto il tratto di paese che giace tra Soana e Calvi: il passeggero che attraversa quel deserto, il quale nel suo silenzio maledice la straniera dominazione più che non potrebbero fare cento predicatori, sente venirsi addosso il ribrezzo della febbre. Ciò fatto, per mezzo di congiunti da bene, fa sapere ai da Leca che, ove si disponessero venire alla obbedienza, li perdonerebbe; chiesto di confermare la promessa con giuramento, giura. Fidasi Vincenzo, ma non si fida Giocante, che la scàpola, conservandosi a tempo men reo. Lo Spinola, avuti nelle mani Vincenzo, Mannone suo padre di ottant'anni vecchio e due bastardi di Renuccio da Leca, senza misericordia macellò; ai quali aggiunse contro la religione dei patti quattro baroni di casa Rôcca, Antonio e il figlio, Arrigo e il figliuolo del conte Polo. Cotesto Spinola indi a poco moriva di un trabocco di sangue; ed era ragione, ne aveva bevuto tanto che non bastava a capirlo. In questa, Genova sciolto un nodo ne lega un altro: dopo avere sperimentato tanti signori paesani, pare che voglia rifarsi la bocca tastando la straniera servitù: cacciati pertanto i Fregosi, si dà in balìa di Francesco Sforza e poi gli porge pecore da tosare di seconda mano. Ecco in Corsica gente insolita, consueti supplizii: il Cotta, vice-duca, per conto di non so quale tumulto, manda di punto in bianco su le forche una brigata di vassalli di baroni; e poichè cane non morse mai Côrso ch'ei non volesse del suo pelo, i popoli di Terra di Comune presero le armi e si elessero a capitano un secondo Sambucuccio di Alando, che fece ritirare le mani a cotesto sollecito Cotta. Anco i duchi di Milano passarono; Francesco Sforza morì; Galeazzo Maria suo figliuolo rimase spento della morte dei tiranni senza che ne approdasse la libertà. Ora San Giorgio ripiglia l'isola, disfà la lega di Tommaso Fregoso e Giampaolo da Leca, cacciando l'uno in prigione, l'altro in esigilo. Sorge vendicatore Renuccio da Leca. Potevano i Genovesi vincerlo in guerra, ma parve caro e gli proferirono uno spediente di molto risparmio. Capitato a sorte un figliuolo di Renuccio a Genova, lo acciuffano, poi, pensando cavarne partito migliore, lo rimandano in Corsica in compagnia di Filippino Fiesco amico vecchio di casa.

      Qui giunti il Fiesco fa sapere a Renuccio che, se ha caro il riscatto del figliuolo, vada per esso. Renuccio, che accivettato uomo era, non si fida e continua a starsi chiuso nel castello di Zirlina: allora Fiesco va a trovarlo e negozia con lui la restituzione del figliuolo e l'accordo con Genova. Renuccio, vergognoso di mostrare diffidenza o paura, si consiglia visitare l'amico; il diavolo lo tira; preso e incatenato, dopo breve spazio di tempo muore nelle prigioni di Genova; gli storici genovesi scrivono di malattia e non hanno torto, perchè anco un capestro al collo è una infermità e di che tinta! In questo modo finiva la potentissima casata dei baroni da Leca; rimaneva adesso l'altra della Rôcca, sbattuta è vero, tuttavia sempre tale, da mettere in suggezione. I Genovesi, prima di venire in essa a mezza spada, spedirono governatore nell'isola Ambrogio di Negri, personaggio rotto alle più sottili arti di governare i popoli. Costui s'ingegnò staccare i Côrsi dall'affezione dei loro signori eccitando la vanità del popolo, blandendo la superbia dei caporali e principalmente saziando la cupidità di tutti: così seminato il terreno da Ambrogio di Negri, il Banco di san Giorgio mandò la falce tagliente a mietere, e la falce fu Nicolò Doria. I Doria stettero un giorno e credo tuttavia durino emoli degli Spinola; e poichè si era poco prima acquistato Nicolò Spinola bella fama tra i suoi per avere menato sterminio del paese tra Calvi e Soana, Nicolò Doria, dopo avere vinto Renuccio della Rôcca, a fine di precidere i nervi ai baroni, delibera condurre all'ultima rovina il Niolo, sul quale essi per ordinario facevano fondamento. Essendosi pertanto il nuovo governatore introdotto nella terra, assai forte su le armi, chiese per pegno di fedeltà sessanta ostaggi delle principali famiglie promettendo averne buona cura: avutili nelle mani, bandisce tutto il popolo esca dalla isola non badati sesso nè età. Un popolo intero ebbe ad esulare disperdendosi per le terre d'Italia; e fu sentenza dove uomo durava fatica a distinguere se la empietà superasse la mattìa, perchè i villani stessi ingrassano l'agnello per ammazzarlo a pasqua, e nol cacciano via dal presepio. Peggio accadde a Talavo, se pure peggio può dirsi la morte in paragone della vita, sofferta lontano dalla patria. Il prode uomo manda a sangue tutto il popolo di cotesto paese alla rinfusa, tranne una donna chiamata Lucrezia delle Vie, la quale ebbe ad ammazzarsi da sè per fuggire vergogna. Grande cosa ella è questa, che il nome di Lucrezia comparisca fatale in Italia; imperciocchè tre Lucrezie ci si ammazzarono per istudio di pudicizia e di carità patria, Lucrezia Mazzanti a Firenze, Lucrezia delle Vie in Corsica e la più antica Lucrezia a Roma. Le prime due, forse le più innocenti, perirono invano; fortunata l'ultima. Di tre, una giovò, e se, come di quelli delle donne, andasse pei sacrifizi degli uomini, avventurosi noi! Quando Renuccio udì coteste nuove, dubitò tutto il mondo gli cascasse addosso: come poteva starsi in Genova tranquillo mentre menavano siffatto scempio dei popoli devoti alla sua casa? La sua quiete non sarebbe stata argomento ch'egli avesse venduto il suo sangue a oncia a oncia? Se lo appellassero Giuda, non gli sarebbe parso che gli dessero il suo avere. Racimola quello che può di genti e di armi, e ricomparisce su i campi. Le arti del Di Negri così partorirono pessimi effetti, chè i Genovesi poterono opporre a Renuccio cavalli côrsi capitanati da un Cacciaguerra côrso. Incontraronsi in campagna, e non appena si videro (chè di ogni odio più bestiale è il fraterno), l'uno si avventò contro l'altro, si annodarono, nè si sciolsero prima che Cacciaguerra cadesse in terra sbranato. Poichè i Côrsi per mutue ferite si fecero scemi di sangue, Nicolò cauto con molta brigata si presenta a disperdere Renuccio della Rôcca stremo di forze; impresa copiosa di sicurezza, vuota di gloria; ma che importava al Genovese la gloria! Qui fu che apparve intera la virtù di Renuccio; imperciocchè, essendogli morto sotto il cavallo, e trovandosi travolto nella fuga, appena potè districarsi dai suoi, egli tornò addietro solo per tagliare la cinghia della sella, la quale postasi sul capo in mezzo a un turbine di archibugiate nemiche riparò incolume fra i suoi gridando: «Di me Genova non vanti trofeo!»

      La guerra tirava in lungo, e ormai questo Côrso diventava un cattivo affare nelle mani dei mercanti Genovesi: si posero a vedere se ci era verso di finirla a buon mercato, ed anco per questa volta lo trovarono. Renuccio della Rôcca fuggendo da Genova ci aveva lasciato a studio due figliuoletti: Nicolò Doria ordinò glieli mandassero, ed avutili nelle mani, intimò a Renuccio deponesse le armi, altrimenti guai! Questi, ora paventando la sconfinata perfidia del nemico, scingeva la spada; ora, parendogli impossibile che trascorresse a tanto nefanda immanità, ne stringeva l'elsa più forte, e così tra il sì e il no la sua mente tenzonava. Nicolò a rompere le ambagi di lui gl'invia per acconto la testa mozza di un figliuolo con la giunta di quella di un nipote; e siccome Renuccio preso da terrore non si risolveva sollecito come la sua impazienza desiderava, gli ribadisce il chiodo nella testa facendogli assassinare un altro nipote. Allora il barone sbalordito tremando per ogni vena scappa via dalla isola imprecando e supplicando che per l'amore di Cristo non gli ammazzino il figliuolo superstite: però riavutosi dal ribrezzo ritorna cieco di furore a brandire il ferro, niente altro cercando che sbranare od essere sbranato. Per questa volta gli si oppose Andrea Doria, cui non repugnando gli esempii del cugino, mise a ferro e a fuoco terre, case e cristiani: anch'egli intimò a posta sua Renuccio posasse le armi, diversamente gli ammazzerebbe l'altro figliuolo: ma Renuccio, ormai anima e corpo diventato una piaga, non sentiva percosse o non le curava. Dopo varie vicende tutte infelici, ridotto a sostenere la guerra con solo otto compagni, gli tesero insidie e lo lasciarono crivellato di ferite sopra la pubblica strada. Ecco come rimase estinta la schiatta dei baroni nella Corsica, nobile e valorosa gente, fiera, superba, larga del suo, per nulla oppressora, amica del popolo: gli spensero СКАЧАТЬ