Il Terrore Privato Il Terrore Politico. Guido Pagliarino
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Название: Il Terrore Privato Il Terrore Politico

Автор: Guido Pagliarino

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Полицейские детективы

Серия:

isbn: 9788873043195

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СКАЧАТЬ nervoso, a dire poco, per colpa di satanisti che l’avevano aggredito”.

      “Spuntano di nuovo fuori le sette demoniache, in qualche modo”.

      “Già, però, fin a prova contraria, io non penso che don Colamonti abbia ancora a che fare con quella gente, credo che da decenni faccia il parroco e basta. Un’altra cosa: gli ho telefonato un paio d’ore fa, presentandomi come questore senza dirgli che sono ormai in pensione, e gli ho chiesto di ricevermi; lui ha accettato: cercherò di sapere cosa sappia del suo parrocchiano Corona, poi cercherò di parlare suo tramite al medesimo”.

      Vittorio aveva ancora un discreto passo, nonostante i suoi ottantun anni sonati, e il mattino dopo s’era recato a piedi all’incontro.

      Com’egli m’avrebbe riferito, insospettito nel vedersi innanzi un uomo in evidente età di pensione il sacerdote gli aveva chiesto: “È lei il questore D’Aiazzo?” calcando la voce sulla parola questore e non invitandolo a sedersi, nonostante tre cassapanche correnti, l’una dietro l’altra, lungo una delle pareti dell’anticamera quadrangolare, al piano terreno, dove l’aveva accolto.

      “Sì, precisamente sono un questore emerito, cioè in pensione, ma sempre attivo come consulente della Polizia”.

      “Ah, ecco”.

      “Come le avevo detto al telefono, sono stato inviato per avere informazioni sul dottor Attilio Corona, suo parrocchiano, e possibilmente per essergli in seguito presentato”.

      “Lei a quale dirigente fa riferimento in Questura?”.

      “Al sostituto commissario Sordi”.

      “Capito. Solo un momento per favore, e intanto s’accomodi, se vuole”.

      Vittorio, piuttosto stanco per la passeggiata, aveva accolto l’invito. Aveva capito che l’altro intendeva verificare la sua identità in Questura, e aveva sperato che il Sordi fosse in ufficio, dispiacendosi di non averlo avvisato prima.

      Il parroco era tornato una decina di minuti dopo e s’era seduto sorridente accanto al mio amico. Evidentemente Evaristo, o qualcuno del suo ufficio, aveva sostenuto la tesi di Vittorio. Il prete non ne aveva però detto nulla, aveva riferito piuttosto d’aver chiamato al telefonino Attilio Corona suggerendogli di venire a parlare direttamente col questore, dato che viveva nei paraggi: doveva aver stimato preferibile che fosse direttamente l’interessato a colloquiare, riservandosi lui, come padrone di casa, d’intervenire, all’evenienza, in veste di arbitro.

      Nell’attesa, forse solo per far passare i minuti necessari ma apparendo a Vittorio un po’ indiscreto, don Colamonti gli aveva rivelato ch’egli stesso aveva fatto dono al Corona del cellulare, scegliendolo fra rimanenze, ormai obsolete perché di notevole dimensione, in liquidazione presso un vicino negozio, e ch’era sempre lui a pagargli le ricariche, essendo l’architetto uno dei membri del Consiglio Pastorale e della San Vincenzo e venendo utili, a volte, contatti telefonici. Il parroco aveva poi preso a parlare banalmente del tempo e, poco dopo, avevano sonato alla porta.

      Come ci s’aspettava, era Attilio Corona.

      Il mio amico s’era alzato e Don Giulio aveva fatto le presentazioni. Vittorio s’era un poco stupito della vigorosa stretta di mano dell’architetto e aveva pensato che il passato ictus si fosse sostanzialmente risolto, sebbene restasse sul Corona, quale testimonianza dell’insulto cerebrale, una smorfia fissa sull’estremo sinistro della bocca.

      Don Giulio aveva preso la parola: “Ora, questore D’Aiazzo, lei potrà chiedere personalmente all’amico Attilio; se però non le spiace, solo alla mia presenza”.

      “Certo, reverendo; come le avevo anticipato ero venuto anche per essere introdotto all’architetto, e la ringrazio per aver stretto i tempi”.

      Il parroco aveva fatto un cenno d’approvazione col capo e aveva invitato i due a sedersi, quindi s’era scostato d’alcuni metri, restando in piedi a portata d’orecchio: “Prego, parlino liberamente”.

      “Senta, architetto…”

      “…solo dottore, lo preferisco, questore D’Aiazzo: non sono mai stato iscritto all’albo, perché per la mia attività d’impresa non sarebbe servito”.

      Capisco. Senta, dottor Corona, la domanda potrebbe apparirle un po’ personale, ma può riguardare la nostra ricerca: mi pare che lei sia abbastanza in forze, però non ci risulta che abbia mai più lavorato dopo l’ictus, sebbene lei viva piuttosto… mi perdoni… dimessamente”.

      Silenzio.

      “Mi scusi ancora, come mai non aveva pensato d’intraprendere, con la sua laurea, la libera professione, quando s’era rimessa in salute? Magari anche solo come assistente in uno studio tecnico: così, tanto per arrotondare”.

      “Non avrei potuto”.

      “Sì, dottor D’Aiazzo, è così”, s’era messo di mezzo don Colamonti, temendo forse chi sa quali sospetti verso quel suo parrocchiano che doveva sentire come amico e protetto. S’era rivolto al Corona: “Posso dire io, Attilio?”

      L’altro aveva fatto sì con la testa.

      Il parroco aveva proseguito: “L’ictus ha lasciato postumi, anche se non evidenti, e proprio per questi Attilio ottenne la pensione d’invalidità: gli capita, ancor oggi, di perdere conoscenza, senz’avvisaglie. Può succedere in due modi, come ho constatato io stesso: o che egli semplicemente svenga, rischiando di contundersi se non c’è nessuno accanto a trattenerlo dallo stramazzare, oppure che per un certo tempo resti in istato di estraniazione, pur rimanendo in piedi e continuando a interagire col mondo”.

      “Vale a dire senza perdere i sensi, ma non essendo presente a sé stesso”.

      “Sì, e non avendone poi alcuna memoria, come se fosse caduto in trance. I casi peggiori sono forse proprio questi, perché potrebbe farsi anche più male, persino restare ucciso se, per esempio, essendo in strada finisse sotto un’auto o un tram”.

      “I medici cosa ne dicono?”

       “Nessuna cura”, aveva ripreso la parola l’interessato.

      Gli aveva chiesto Vittorio: “Dopo che torna in sé, lei non rammenta nemmeno qualcosina, che so, anche solo un flash d’immagini o un quid di suoni?”

      “Dopo esser tornato dal rapimento, come lo chiamo io, non ricordo assolutamente niente. Lei capisce che mi sarebbe impossibile conservare un lavoro; ci avevo provato, sa? dopo la morte di mia madre, impiegandomi presso un geometra, ma… insomma, era stato un dramma. M’ero dimesso io stesso, per non mettere in imbarazzo il principale e i colleghi. A parte queste cose personalissime, questore D’Aiazzo” – aveva calcato su personalissime mentre, per un attimo, gli occhi gli erano divenuti non belli – “io non so quanto possa servire, a loro della Polizia, parlare con me dei delitti di quell’assassino seriale: quello che so sulle vittime, l’ho già detto al pubblico ministero. Comunque, sono disposto a risponderle, ma lei mi chieda con precisione”: aveva parlato in tono deciso, come l’uomo abituato a dar ordini che doveva essere stato ai tempi della sua attività d’impresa.

      “Com’erano i vostri rapporti col personale?”

      “Non erano soddisfacenti. Come avevo già detto al giudice, il personale era negligente, sebbene noi facessimo appieno il nostro dovere di legge”.

      “Quei СКАЧАТЬ