Название: Sola di fronte al Leone
Автор: Simone Arnold-Liebster
Издательство: Автор
Жанр: Биографии и Мемуары
isbn: 9782879531687
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“Adolphe, hai letto la circolare?”, domandò la mamma. Veniva comunicato che il venerdì l’intera classe, senza alcuna eccezione, avrebbe dovuto fare una doccia. Alle allieve sarebbero stati forniti gratuitamente un costume da bagno e del sapone. Alle dieci tutte le bambine che venivano da famiglie sostenute da sussidi sociali avrebbero ricevuto una scodella di latte e un panino.
“Ai miei tempi non avevamo tutte queste agevolazioni – disse il papà – ma non mi meraviglio. Muhlouse è una città socialista”.
“Papà, che cos’è una città socialista?”
“È una città dove i lavoratori si uniscono per difendere i loro diritti e combattono per ottenere delle condizioni più giuste. Il loro stipendio è così basso che si tratta di un’ingiustizia lampante”.
“Papà, che cos’è un’ingiustizia?”
Il papà additò un quadro a olio alto mezzo metro appeso in salotto. Rappresentava un pastore che recitava l’Angelus a mezzogiorno. Lo aveva dipinto lui a quindici anni, quando frequentava la Scuola di Arti e Mestieri. “Era stato esposto durante una mostra di lavori degli allievi e aveva ottenuto il voto più alto. Ma, quando distribuirono i premi, ricevetti la medaglia d’argento anziché quella d’oro. Il mio patrigno si recò dal direttore della scuola per chiedere spiegazioni”. Il papà si sedette, mi prese in braccio e con tono amareggiato proseguì:
“Simone, non dimenticare mai la risposta del direttore: ‘È semplicemente impensabile dare una medaglia d’oro a un ragazzino che viene dalle montagne e il cui nome non significa niente per nessuno. La medaglia d’oro è già stata assegnata al figlio del signor Tal dei tali, che ci sostiene finanziariamente ed è un uomo conosciuto in città!’” Seguì un lungo silenzio.
“Il direttore aggiunse perfino: ‘Se non le va bene, posso riprendermi la medaglia d’argento’”. Io aprii il cassetto e osservai quella medaglia, mentre il papà ripeteva: “Ingiustizia, ecco contro che cosa si devono battere gli operai. Essere socialisti significa proprio questo”.
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Nel cortile della scuola l’albero di tiglio stava ingiallendo. Il vento gli strappava via le foglie e le sparpagliava qua e là ancor prima che noi stesse riuscissimo ad afferrarle per giocare. Ma Frida non correva mai dietro le foglie. Si limitava a guardarci giocare standosene seduta, mentre mangiava il panino con burro e marmellata che io avevo scambiato col suo pezzetto di pane asciutto. Non mi sentivo a mio agio col grembiule rosa. Non volevo essere considerata una “bambina ricca”.
“Sembri stanca, Frida”, le dissi preoccupata.
“È solo che non mi piace il vento”, rispose tra due colpi di tosse.
“Dove lavora tuo padre?”
“Nel suo giardino”.
“Ma allora non può ricevere un salario, vero?”
“No. È invalido”.
Decisi di indagare su quella strana attività. Nemmeno lei era in grado di spiegarmelo. Era troppo timida. Un lunedì mattina non si presentò a scuola. Quando passai davanti a casa sua, le persiane delle finestre che davano sulla strada erano chiuse come sempre. Fortunatamente quel pomeriggio Frida venne a scuola. Mi era mancata tanto e avevo offerto la mia merenda a un’altra ragazzina. Con quale coraggio avrei potuto mangiare il mio panino col burro davanti a tante bambine così povere?
Il lunedì seguente ricominciò a piovere e Frida era nuovamente assente. “È fatta di zucchero?”, mi domandai. Perché mai aveva paura della pioggia? Le mantelline col cappuccio, i capelli bagnati e le scarpe inzuppate diffondevano nell’aula un odore di stalla. Quel mattino dalle quattro grandi finestre non riusciva a penetrare sufficiente luce. E durante il rituale appello le lampadine sotto i paralumi di porcellana ci rischiaravano a malapena.
Venendo a scuola avevamo visto i pompieri, l’ambulanza e la polizia, e ora Blanche e Madeleine ne parlavano animatamente. “Sta arrivando la signorina!”, avvertì qualcuno. Ci precipitammo tutte ai nostri posti per riporre il materiale in ordine sui banchi: la lavagnetta di ardesia con la cornice di legno bianco ben lucidata, la spugna pulita e il fazzoletto piegato accuratamente. Anche le nostre dieci dita dovevano allinearsi alla perfezione sul banco. All’arrivo dell’insegnante piombò improvvisamente il silenzio, come quando si spegne una radio. L’ispezione richiese parecchio tempo perché la signorina esaminava tutto: le scarpe, le gonne e perfino le orecchie!
Quel giorno non riuscivo a togliermi dalla mente l’agghiacciante spettacolo osservato nello Steinbächlein, il fiume che scorreva dietro casa nostra per poi sparire sotto terra. Qualcosa di azzurro veniva trasportato dalla corrente e due uomini cercavano di tirarlo fuori con dei ganci. “Simone, presto, entra in casa!”, mi aveva ordinato la mamma. Più tardi avevo sentito i vicini commentare la scomparsa di due gemelli di tre anni. Il corpo di uno era stato ritrovato, mentre quello dell’altro era stato inghiottito da un mulinello gorgogliante.
“Mamma, dove sono ora i gemelli?”
“Si trovano in cielo, sono degli angioletti”.
Mentre camminava tra le file, la signorina ci avvisò dei pericoli del fiume. “La riva può essere traditrice. Il suolo può cedere sotto i vostri piedi”. Comprendemmo subito che quel giorno non ci avrebbe parlato come il solito dei santi, della loro vita o dei loro sacrifici, ma dell’annegamento e della morte. Ero molto dispiaciuta di perdere la lezione di religione.
Quando tornavamo da scuola nel tardo pomeriggio, ero sempre triste di lasciare Frida davanti a casa sua. Non aveva la mamma ad aspettarla, né una dolce musica di benvenuto, niente tè per riscaldarla né una bevanda fresca per dissetarla, neppure un cagnolino che l’accogliesse festoso. Invece io avevo la mia mamma ad attendermi al ritorno. Nelle giornate di pioggia mi faceva sempre trovare il catino con l’acqua calda per un pediluvio e una deliziosa fetta di pane con della marmellata.
Mi piacevano anche le conversazioni confidenziali tra noi due. Potevo aprirle il mio cuore e rivelarle tutto, o quasi. Avevo un piccolo segreto: provavo un’ammirazione travolgente anche per un’altra donna, ma, siccome temevo di farla ingelosire, avevo deciso di non parlargliene. Una giovane signora si era trasferita nel nostro quartiere. Ammiravo la sua bellezza e la sua eleganza. Divenne il mio modello. Ogni giorno, alla stessa ora, passava sotto casa nostra e io mi precipitavo alla finestra col batticuore per scorgerla. Quanto avrei voluto vederla da vicino!
Il papà prendeva molto sul serio i miei compiti. Non accettava nessuno scarabocchio e se ce ne erano mi faceva ricominciare il lavoro, anche se mettevo il broncio. Amava ripetere: “So che puoi fare di meglio. Non dimenticare che porti il mio nome”. Esercitava la sua autorità in maniera dolce e piacevole. I rari momenti di ribellione mi facevano sprofondare dalla vergogna. Allora dicevo fra me: “Perché tenere testa a un papà così tenero?”
CAPITOLO 2
Riflessioni sulla morte e sull’inferno
Le giornate si stavano accorciando. Coltri di nebbia si stendevano sopra i prati e le dalie reclinavano il capo. Noi bambini rincorrevamo le foglie morte sospinte dal vento e raccoglievamo anche le castagne che i maschi utilizzavano per bombardare le femminucce, costrette a nascondersi per scansarle. Quanto li detestavo!
Era il periodo di Ognissanti e molte persone in visita ai cimiteri spingevano carriole ricolme di crisantemi bianchi e СКАЧАТЬ