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СКАЧАТЬ troppo a lungo durante la sua vita. Temetti le domande che avrebbe potuto farmi ma accettai di sottopormi anche a quell’interrogatorio.

      «Sua madre Jane si è tolta la vita nel 1951. Agli atti ci risulta che fu proprio lei a ritrovare il corpo senza vita al suo rientro dal college. Conferma?».

      «Si, confermo. Mia madre mi consegnò il mazzo delle chiavi di casa per la prima volta proprio quel mattino».

      «Quindi è chiaro che sua madre aveva premeditato il suo gesto, non fu solo l’impulso di un momento».

      «Si. Credo di si…».

      Risposa sbagliata, Melanie!

      «Si. Potrebbe parlarmi del rapporto che c’era tra lei e sua madre e tra sua madre e suo padre per favore?».

      Scacco al re. La regina era stata mangiata. Non fiatai, provai a rinchiudermi nel mio guscio cercando la via più breve per entrarci. Ma il guscio era rimasto aperto e l’uomo mi vedeva, mi seguiva, mi brancava e mi tirava fuori. Ogni volta, non avevo scampo. Mentire, meglio continuare a mentire.

      «Mia madre era malata. Non era una madre cattiva, al contrario! Ma era debole e la sua testa molto spesso l’abbandonava. La sentivo spesso piangere la notte ma io ero troppo piccola per aiutarla».

      «Capisco. Agli atti risulta che si sentiva spesso suo padre gridare e che molto spesso rientrava in casa a tarda notte completamente ubriaco, è così?».

      «Si, è capitato».

      «E’ capitato, va bene. Questo ha influito secondo lei sul gesto estremo compiuto da sua madre?».

      «Non lo so, ero troppo piccola, glie l’ho detto».

      «Melanie, quando sua madre è morta lei aveva ventidue anni, non era piccola».

      Si sbagliava. L’animo di mia madre era già morto stecchito parecchi anni prima, quello che restava e che io avevo trovato freddo e immobile immerso nel suo stesso sangue era solo l’involucro del suo fantasma.

      «Agente, sono molto stanca ora», replicai cercando di imboccare l’unica via di fuga che mi rimaneva.

      «Capisco Melanie, capisco. Le chiedo solo di rispondere ad un’ultima domanda per favore. Come sono continuati i rapporti tra lei e suo padre dopo la morte di sua madre, prima che lei lasciasse la casa?».

      Nel letto, a suon di botte nel cuore della notte! Ecco com’erano continuati i nostri rapporti. Le bestie che andavano al macello ricevevano più rispetto di quanto non ne avessi ricevuto io, perché le bestie alla fine venivano uccise e mangiate, quindi scomparivano. Io invece restavo viva, ferita dentro e fuori, obbligata a riguardarmi ogni mattino allo specchio per rilevare i nuovi segni delle percosse, quelli che arricchivano la mia singolare collezione. Un’ultima bugia, ancora una, l’ultima. O forse no.

      «Mio padre cambiò dopo quel giorno, divenne completamente assente. Si sentiva incapace di seguirmi perché pensava di aver totalmente fallito nel tentativo di salvare sua moglie. Me lo confidò una sera, mentre piangeva».

      «Si spieghi meglio».

      «Ciò che riportano gli atti è corretto. Mio padre tornava spesso tardi la notte e il più delle volte aveva bevuto molto. Gridava con mia madre, sfogava su di lei la rabbia per la sua incapacità di aiutarla, di amarla come avrebbe invece dovuto e voluto fare. Le urla risuonavano nella casa e si sentivano anche da fuori, i vicini mi guardavano sempre in modo strano il mattino seguente, come se mi compatissero, come se provassero pietà per me. Quando mia madre morì, mio padre firmò la sua resa. Forse anche lui morì in un certo senso quel giorno insieme a lei. Si staccò completamente da me, passava le sue giornate a leggere seduto in salotto».

      E a pensare a come stuprarmi nuovamente quella stessa sera, pensai. Ma mi guardai bene dal lasciarmelo scappare.

      «Quindi lei, sentendosi abbandonata, decise di andarsene via e di crearsi la sua vita».

      «Si, è così agente».

      Per la prima volta mi ritrovai a galla.

      «Grazie Melanie. Mi scuso per tutte le domande inopportune che le ho fatto in un momento del genere ma come lei può ben immaginare erano necessarie. Ora il quadrò è più completo».

      Mi guardò con affetto, io ricambiai con il mio. Un affetto, il mio, misto a frustrazione. Nascondevo la mia faccia imbrattata dalla menzogna tra le pieghe della mia codardia, là dove era rimasto ancora un po’ di spazio per immergersi completamente e scomparire dalla vista. Avevo tradito mia madre, ancora una volta. Come quel giorno in cui, protetta dal buio di una notte senza luna né stelle, me ne restavo ferma sulla porta della tana ad osservare come l’orco sbranava la sua preda. Come il giorno in cui uscii di casa fiera con le chiavi in mano per la prima volta, disinteressandomi di tutto il resto, soprattutto del motivo che aveva spinto mia madre a lasciarmele. Come tutti i giorni nei quali avrei voluto dire a mia madre che le volevo bene, ma non lo avevo fatto.

      «Dovrebbe venire in centrale per completare il profilo e firmare la deposizione, poi le verrà richiesto di identificare la salma e tutto quanto necessario per la tumulazione».

      «Va bene, lo farò domani mattina».

      Mi sorrise e se ne andò. Rimasi ferma in piedi sulla porta aperta, l’aria satura di pioggia mi inumidiva il viso, confondendosi con le mie lacrime. Il suo collega accese il motore dell’auto, mi guardò e mi lanciò un cenno di saluto con la mano. Ricambiai. L’agente Parker aprì la portiera e incurante della doccia d’acqua che lo bagnava si fermò a guardarmi, a salutarmi. Mi disse qualche cosa che non capii, un tuono lontano aveva coperto il suono della sua voce. Il suo viso era disteso, quindi doveva avermi detto una cosa bella. Io annuii con il capo, mi girai e rientrai in casa chiudendo la porta dietro di me. La luce azzurra lampeggiante era svanito, la casa era ritornata quella di prima ed io con lei. Tornai in cucina, il piatto che avevo riscaldato era ormai freddo. Non avevo più fame, non avevo più sete, non avevo più nemmeno fiato nei polmoni. La gola era strozzata dal pianto che io avevo soffocato per tutto il tempo. “Perché piangere? E per chi?”. Non trovare una risposta a quella domanda demolì le mie barriere, annientò in un lampo tutte le mie difese. Era la mia resa incondizionata, quella in cuor mio tanto attesa. L’orco era morto e non mi avrebbe più fatto del male. Si, l’orco era finalmente morto, ucciso da un altro orco. Sarebbe andato a bruciare nel fuoco dell’inferno, non avrebbe mai più incontrato mia madre perché lei, ne ero sicura, dimorava nel paradiso degli uomini. Ora ne ero davvero certa. Morto, ucciso nell’unica sera in cui non si era ubriacato, che fatto curioso! Forse perché quella sera l’orco era rimasto solo un uomo, non aveva indossato il suo costume di scena, quello che lo rendeva forte, aggressivo. Aveva commesso un grave errore, una fatale leggerezza. Non avrebbe dovuto abbassare la guardia. Quando si sceglie il male come percorso di vita si deve imparare a guardarsi intorno, perché altro male si riceverà. Forse proprio l’uomo, stanco di recitare e stanco di tutto, aveva bruciato il suo costume. Forse voleva essere lui stesso ad uccidere l’orco per trasformarsi in un eroe, denudandosi tra la folla e ponendosi davanti a sui nemici gridando loro “Non mi vedete? Sono qui! Forza rammolliti, cosa aspettate ad ammazzarmi?”. Forse voleva sentire il dolore che si prova quando la pelle viene lacerata, quando il metallo squarcia le carni e ti penetra nel corpo. Forse voleva capire cosa si provava nel sentire il proprio sangue uscire dalle vene, i sensi venire a mancare mentre i suoni si fanno lontani e tutto diventa buio davanti agli occhi sbarrati che fissano l’asfalto, poco lontano dallo sterco lasciato da un cane randagio passato di lì qualche minuto prima. Si, forse era andata proprio così. Buttai il cibo nell’immondizia e andai a dormire. Feci un bel sogno quella notte, ma non lo ricordo.

      Il giorno СКАЧАТЬ