Название: Conferenze tenute a Firenze nel 1896
Автор: Various
Издательство: Public Domain
Жанр: История
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Perchè più lieve sia il danno vostro e minore il pericolo mio, io voglio che il mio ufficio si restringa a disegnare la cornice di questa età o, se più vi piace, a presentarvi il rude canovaccio su cui potrete collocare le figure e le scene che collo svolgersi di questa serie di letture vi passeranno sotto gli occhi.
Quel che dall'Alpi ora discende
D'armi e d'armati inondator torrente
Ceppi a noi reca o libertà ci rende?
Così, “chiaroveggente testimone de' tempi„ domandava in un sonetto Lazzaro Papi, che più tardi della Rivoluzione francese narrò con rara temperanza di giudizio i Commentari. – Reca libertà – già da un pezzo e anticipatamente (appena conquistata la Savoia) aveva risposto per bocca del cittadino Grégoire la nazione francese. – Libertà per tutti i popoli come a fratelli, guerra e morte a tutti i governi come a nemici! E la Convenzione Nazionale, consacrando queste parole del vescovo costituzionale nelle solenni forme di un decreto, aveva promesso “aiuto e fratellanza a tutte le genti che la libertà volessero ricuperare„. Nè da quel dì la promessa era stata ripetuta poche volte; e la repubblica batava era sorta a mostrare come la repubblica francese cominciasse a mantenerla.
Ma questa Libertà che il Presidente della Convenzione già rappresentava “assisa sul Monte Bianco in atto di stendere, sovrana del mondo, le mani trionfali alle nazioni di tutto l'universo risorte a nuova vita al suono della sua voce„, gli Italiani la guardavano con diffidenza, perchè la vedevano venire armata di baionette e di cannoni, perchè temevano che dietro di lei irrompesse anche fra noi, intonando il Ça ira, la turba degli scamiciati energumeni che avevano fatte le loro prove nelle vie di Parigi e nelle sale della Convenzione e dell'Hôtel de la Ville.
Poichè nella maggioranza del popolo italiano la rivoluzione aveva sopratutto destato un senso di orrore e di terrore: gli italiani erano stati colpiti dal suo carattere di irreligiosità, dalla frenesia di ribellione contro tutto e contro tutti che pareva avesse invaso la popolazione francese e dal sempre insaziato bisogno di distruzione che traeva i cittadini furibondi alla strage ed alla rovina di tutte le istituzioni divine ed umane. A chi è avvezzo a scivolare senza scosse lungo la china della vita, adagiandosi pigro e felice nel beato benessere che procura la tranquillità uniforme di uno spirito rassegnato alla nullità della propria sorte e la persuasione che non avrà bisogno neppure di alzare un dito per giungere pari pari fino in fondo, anche la più piccola novità dà ombra e fa paura. Tale era la condizione degli animi nelle moltitudini italiane. L'abitudine ininterrotta di piegare il capo remissivo dinanzi al principio d'autorità, da chiunque o comunque fosse rappresentato, e di lasciarsi guidare, sempre rassegnati, dalla volontà altrui, avevano fiaccato nei più ogni forza di iniziativa, distrutto ogni istinto di azione diretta a mutare in meglio le condizioni della società.
Dio – e per lui migliaia di preti, di frati e di monache forti di dogmi immutabili e di non meno immutabili superstizioni o privilegi – il monarca – e per lui una folla di padroni, tutti armati di leggi e di spade, dal vicerè, dal governatore, dal nobile all'ultimo bravaccio di soldato – avevano in custodia la società per consenso di generazioni e generazioni: e della loro vigilanza, fosse pur prepotente e molesta, le moltitudini non sapevano più fare a meno. Certo vi erano sofferenze, abusi, miserie, dolori, ingiustizie: ma anche il male e la miseria hanno le loro risorse e creano abitudini cui il lungo tempo affeziona, sicchè alla fine spiace lasciarle. Del resto, in tanto volger d'anni, ciascuno aveva trovato – bene o male – il modo di fare il proprio comodo: perchè dunque mutare? perchè rompere, con novità e per desiderio di un meglio incerto, la quiete monotona ma tranquilla di una vita senza cure?
Perciò quando il soffio di idee più liberali e più umanitarie, movendo dalla Francia, aveva commosso tutta l'Europa ed era passato, attraversando anche la nostra penisola, sopra la morta gora di questo popolo beato del suo sonno, i più alti, nobili e colti intelletti avevano bensì aspirato a larghi polmoni questa nuova aura vivificatrice, e d'un tratto v'erano fatti con ardore febbrile e con instancabile attività propugnatori con gli scritti ed esecutori con leggi e decreti di un movimento sociale più conforme al genio dei tempi ed ai bisogni della universalità del popolo; ma nulla aveva potuto scuotere la gran massa, per inerzia sua conservatrice, della popolazione italiana: nè la penna eloquente o la parola persuasiva dei più profondi pensatori, nè il consenso della parte più eletta della borghesia, della nobiltà e del clero; e neppure la volontà risoluta e spesso generosa fino al sacrificio di principi e di ministri.
Indifferente, dapprima essa lasciò fare: poi, quando l'urto fra i diritti laici della società civile ed i privilegi ecclesiastici pose di nuovo a fronte Chiesa e Stato, diventò alle riforme apertamente ostile. Le popolazioni – specialmente quelle delle campagne, fra le quali più radicate e meno razionali sono le consuetudini religiose ed ascoltatissima sempre fu la parola de' parroci – non esitarono a persuadersi che tutte queste novità erano malvagio suggerimento del demonio, che ereticali erano le dottrine che venivan d'oltralpe e pieno di pericoli l'accettarle.
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1
Lombroso e Laschi. Il delitto politico e la rivoluzione. Torino, Bocca, 1890
2
Vedi il mio Uomo di genio, 6.ª ediz., parte IV.
3
Bonfadini, Mezzo secolo di patriottismo, 1888.
4
Les origines de la France Contemporaine, II, pag. 302.
5
Michelet, Hist. de la Revolut. Tom. 3, pag. 413.
6
Vedi il mio Delitto politico, Tomo III.
7
Vedi Uomo delinquente, vol. I, cap. III, 1893.
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