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sino alla sua missione, si legge in Abulfeda (in Vit., c. 3-7) e negli scrittori Arabi, autentici o supposti, citati dall'Hottinger (Hist. orient., p. 204-211), nel Maracci (t. I, p. 10-14) e nel Gagnier (Vie de Mahomet, t. I, p. 97-134).
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Abulfeda (in Vit. c. 65, 66), Gagnier (Vie de Mahomet, t. III, p. 272-289). Le tradizioni più verosimili sulla persona e i discorsi del Profeta vengono da Ayesha, da Alì e da Abu Horaira, soprannomato il padre d'un gatto (Gagnier, t. II, p. 267; Ockley, Hist. of the Saracens, t. II, p. 149), e che morì l'anno dell'egira 59.
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Que' che credono che Maometto sapesse leggere e scrivere, non hanno adunque esaminato ciò ch'è scritto d'altra mano che la sua ne' suras, o cap. del Corano 7, 29 e 96. Abulfeda (in vit., c. 7), Gagnier (Not. ad Abulfeda, p. 15), Pocock (Specimen, p. 151), Reland (De Religione Mohammed., p. 236) e Sale (Disc. prélim., p. 43) ammettono senza contrasto que' testi e la tradizione della Sonna. Il Sig. White è presso che il solo che neghi l'ignoranza del profeta, per accusarne l'impostura. Ma le sue ragioni sono tutt'altro che soddisfacenti. Due viaggi non lunghi alle fiere di Siria non bastavano certamente ad acquistare cognizioni sì rare fra i cittadini della Mecca; nè mai alla sottoscrizione d'un trattato, che si fa con animo quieto, avrebbe Maometto lasciata cadere la maschera. Niuna conseguenza può dedursi da ciò che si narra della sua malattia e del suo delirio. Prima che s'avvisasse di spacciarsi profeta, avrebbe dovuto nella vita privata mostrar di sovente che sapeva leggere e scrivere; e i suoi primi proseliti, i membri della sua famiglia, sarebbero stati i più pronti a riconoscere ed accusare la sua scandalosa ipocrisia. (White, Sermons, p. 203, 204; Notes, p. 36-38.)
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Il conte di Boulainvilliers (Vie de Mahomet, p. 201-228) fa viaggiare Maometto come il Telemaco del Fénelon e il Ciro di Ramsay. La sua andata alla Corte di Persia è probabilmente una fola, nè posso capire io stesso donde venga quella esclamazione: «I Greci peraltro son uomini!» Quasi tutti gli scrittori Arabi, Musulmani e Cristiani parlano dei due viaggi nella Siria (Gagnier, ad Abulfeda, p. 10.)
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Mi manca il tempo d'esaminare le favole e le congetture poste in mezzo sul nome di que' forestieri accusati, o presunti dagl'Infedeli della Mecca. (Corano, c. 16, p. 223; c. 35, p. 297, colle note del Sale; Prideaux, Vie de Mahomet, p. 22-27; Gagnier, Not. ad Abulfeda, p. 11-74; Maracci, t. II, p. 400). Il Prideaux medesimo ha osservato che queste intelligenze saranno state secrete, e che la scena succedette nel cuor dell'Arabia.
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Abulfeda (in vit., c. 7, p. 15; Gagnier, t. I, p. 133-135.) Abulfeda (Geogr. arab., p. 4) indica il sito del monte Hera. Eppure Maometto non aveva mai udito parlare della grotta della ninfa Egeria, ubi nocturnae Numa constituebat amicae; non del monte Ida, ove Minosse conversava con Giove, ec.
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Basta leggere il Decalogo, che contiene le volontà di Jehovah, vale a dire di Dio, considerato nella sua essenza, siccome intendevano, ed intendono con quel vocabolo di esprimere gli Ebrei, per conoscere la concordanza dei di lui attributi morali colle virtù sociali; se poi si trovano nella Scrittura sacra alcune espressioni, ed alcuni epiteti, che sembrano sulle prime non potersi concordare coll'idea dell'Essere supremo, siccome sarebbero quelli di iracondo, di furioso, di geloso, determinanti passioni umane, essi, siccome dicono i teologi, devono considerarsi siccome modi figurati di dire de' sacri scrittori, i quali si servivano di cotali espressioni per usare un linguaggio inteso dagli uomini. Se la Scrittura per esempio ci dice, che Dio si riposò dopo l'opera della creazione, chi penserà che l'Essere supremo abbia avuto bisogno di riposarsi, egli ch'è un'attività immensa ed eterna? (Nota di N. N.)
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Corano, c. 9, p. 153. Al-Beidawi e gli altri commentatori citati dal Sale, ammettono questa accusa; io non so vedere come possa acquistare verosimiglianza dalle tradizioni oscure ed assurde de' Talmudisti.
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Leggasi la nostra annotazione (p. 248) fatta al T. IX, e vedrassi distesamente, che non era nel settimo secolo, nè è presentemente, un'idolatria il culto che i Cristiani, o per meglio dire i Cattolici, prestano alle immagini, ed alle reliquie. Se poi i cristiani detti Collidiani, e ch'erano eretici, prestavano a Maria un culto che a ragione era un'idolatria, ciò nulla offende il cattolicismo. (Nota di N. N.)
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Hottinger, Hist. orient., p. 225-228. L'eresia de' Colliridii fu recata di Tracia in Arabia da varie donne, e il nome procede dal vocabolo Κολλυρις, ossia focaccia, ch'esse offerivano alla Dea. Questo esempio, non che quello di Berillo, vescovo di Bostra (Eusebio, Hist. eccles., l. VI, c. 33) e di parecchi altri, ponno scusare quel rimbrotto, Arabia haereseon ferax.
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Quando il Corano parla di tre Dei (c. 4, p. 81, c. 5, p. 92), è chiaro che alludea Maometto al nostro mistero della Trinità; ma i commentatori Arabi non vedono in que' passi che il Padre, il Figlio e la Vergine Maria, Trinità ereticale, sostenuta, dicesi, da alcuni Barbari nel Concilio niceno (Eutych. Annal., t. I, p. 440). Ma l'esistenza de' Marianiti è contestata dal sincero Beausobre (Hist. du Manichéisme, t. I, p. 532); e per dare spiegazione allo sbaglio, dice che viene dalla parola rouah (Spirito Santo), che è del genere femminino in vari idiomi dell'Oriente, e che è in senso figurato la madre di Gesù Cristo nell'Evangelo de' Nazareni.
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La spiegazione soddisfa anche sufficientemente la ragione, e non porge l'idea di pluralità di Dei, ossia di politeismo, ch'era la religione di quasi tutti i popoli antichi, eccettuato specialmente l'Ebreo, e lo è di moltissimi anche oggidì, ed al quale la religione cristiana si opponeva, e si oppone. E poi finalmente cotal mistero non è contrario alla ragione, ma solamente è superiore alla ragione, siccome con buoni ragionamenti sostengono i teologi: la natura è piena di misterj superiori alla ragione, siccome sanno i fisici, ed i metafisici; vorressimo noi negarli perchè non li intendiamo, perchè superano le facoltà della nostra ragione, mentre sono in fatto? perchè non ne ammetteremo noi dunque parlando teologicamente del di lei Autore? Il Gibbon si dichiarò già Teista, cioè pensa rettamente contro gli atei, se pur veramente ve ne furono, e ve ne sono, esservi un Esser supremo, dicendo p. 51, e che così comprende una verità eterna, confermando ciò da filosofo Teista anche in altri luoghi, e specialmente p. 56, il Dio della natura ha posto in tutte le sue opere la pruova della sua esistenza, e ha scolpito la sua legge nel cuore dell'uomo. Perchè mai sembra egli qui opporsi all'idea della Trinità di quest'Essere supremo, siccome fece Maometto, il quale nell'atto che predicava e sosteneva con grande entusiasmo, ed anche coll'armi, contro il politeismo degli Arabi del suo tempo, esservi un Essere supremo, un Dio solo, non ammetteva la Trinità delle Persone, e quindi veniva a negare la divinità di Cristo, ed a riguardarlo soltanto come un uomo ottimo e sapiente, la quale divinità coi motivi della di lei credibilità è il fondamento della credenza dei cristiani? (Nota di N. N.)
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Questo sistema d'idee filosoficamente si svolge nell'esempio d'Abramo, che nella Caldea si oppose alla prima introduzione della idolatria (Corano, c. 6, p. 106; d'Herbelot, Bibl. orient., p. 13.)
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V. il Corano, e soprattutto i capitoli 3 (p. 30), 57 (p. 437), 58 (p. 441) che annunciano l'onnipotenza del Creatore.
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Pocock (Specimen, p. 274, 284-292), Ockley (Hist. of the Saracens, v. 2, p. 82-95), Reland (De relig. Mohamm., l. I, p. 7-13) e Chardin (Voyages en Perse, t. IV, p. 4-28) hanno tradotto i simboli più ortodossi dell'Islamismo. A questa grandissima verità, che niente v'ha di simile a Dio, Maracci (Alcoran., t. I, part. III, p. 87-94) oppone goffamente, che Dio fece l'uomo ad immagine sua.
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V. Reland (De relig. Moham., l. I, p. 17-47).
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