Название: Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1
Автор: Edward Gibbon
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
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Il Generale degli eserciti romani, senza violare in alcun modo i principj della costituzione, poteva ricevere ed esercitare un'autorità quasi dispotica sopra i soldati, sopra i nemici, e sopra i sudditi della Repubblica. In quanto ai soldati, la gelosia della libertà avea, fin dai primi secoli di Roma, ceduto il luogo alle speranze di conquista, ed al sentimento della militar disciplina. Il Dittatore o il Console avea diritto di obbligare la gioventù romana a portar le armi, e di punire una disobbedienza ostinata o codarda con le pene più severe ed ignominiose, scancellando il trasgressore dalla lista dei cittadini, confiscandone i beni, e vendendolo siccome schiavo223. Il servizio militare sospendeva i più sacri diritti della libertà, confermati dalle leggi Porcia e Sempronia. Nel suo campo il Generale esercitava un potere assoluto di vita e di morte, la sua giurisdizione non era vincolata da alcuna formalità legale, e l'esecuzione della sua sentenza era immediata224 e senza appello. I nemici di Roma regolarmente si dichiaravano dalla autorità legislativa. Le più importanti risoluzioni per la pace o per la guerra venivano seriamente dibattute nel Senato, e solennemente ratificate dal Popolo. Ma nei paesi molto lontani dall'Italia, i Generali si prendevan la libertà di portar le armi delle legioni contro qualunque popolo, e come più lor pareva espediente al servizio pubblico. Dal successo e non dalla giustizia delle loro imprese essi aspettavano gli onori del trionfo. Usavano dispoticamente della vittoria, specialmente quando non furono più ritenuti dalla presenza dei Commissarj del Senato. Quando Pompeo comandava nell'Oriente, egli ricompensò i suoi soldati ed i suoi alleati, detronizzò Sovrani, divise regni, fondò colonie, e distribuì i tesori di Mitridate. Ritornato a Roma, ottenne con un sol decreto del Senato e del popolo la ratifica universale di tutta la sua condotta225. Tale era il potere sopra i soldati o sopra i nemici di Roma che veniva concesso ai Generali della Repubblica, o era da loro usurpato. Essi erano nel tempo stesso i governatori o piuttosto i Monarchi delle province conquistate, univano alla civile l'autorità militare, amministravano la giustizia, come pure le pubbliche entrate, ed esercitavano la potenza esecutiva dello Stato, e la legislativa ad un tempo.
Da quanto sì è già osservato noi primo capitolo di quest'opera, si può ricavare un'idea dello stato delle armate e delle province, quando Augusto prese in mano le redini del governo. Ma siccome era impossibile ch'esso potesse in persona comandare le legioni di tante frontiere lontane, gli fu dal Senato, come già a Pompeo, concessa la permissione di delegar l'esercizio del suo potere ad un sufficiente numero di Luogotenenti. Questi uffiziali per grado e per autorità non sembravano inferiori agli antichi Proconsoli ma la dignità loro era dipendente e precaria. Essi riconoscevano il lor potere dalla volontà di un superiore, alla fausta influenza del quale attribuivasi legalmente il merito delle azioni226. Eran essi i rappresentanti dell'Imperatore, ed egli solo era il Generale della Repubblica, e la sua giurisdizione, sì civile che militare, si estendeva sopra tutte le conquiste di Roma. Dava però al Senato almeno la soddisfazione di sempre delegare il suo potere ai membri di questo corpo. I Luogotenenti Imperiali erano di grado consolare o pretorio; le legioni eran comandate da Senatori, e la Prefettura dell'Egitto era l'unico governo importante affidato ad un cavaliere romano.
Sei giorni dopo che Augusto fu forzato ad accettare un dono sì liberale, volle con un facil sacrifizio appagare la vanità dei Senatori. Rappresentò che gli avevano esteso il potere anche al di là del termine necessario all'infelice condizione dei tempi. Essi non gli avevan permesso di ricusare il faticoso comando degli eserciti e delle frontiere, ma insistè che se gli permettesse di rimettere le province più pacifiche e sicure alla dolce amministrazione del civil magistrato. Nella divisione delle province, Augusto provvide alla sua propria potenza, ed alla dignità della Repubblica. I Proconsoli del Senato, e particolarmente quelli dell'Asia, della Grecia e dell'Affrica gioivano una distinzione più onorevole dei Luogotenenti imperiali, che comandavano nella Gallia, o nella Siria. I primi erano accompagnati dai littori, e gli altri dai soldati. Si fece una legge che dovunque l'Imperatore fosse presente, restasse sospesa l'ordinaria giurisdizione del governatore; s'introdusse l'uso che le nuove conquiste appartenessero alla dote imperiale, e presto si scoprì che l'autorità del Principe, l'epiteto favorito di Augusto, era la medesima in ogni parte dell'Impero.
Per ricompensa di questa concessione immaginaria, ottenne Augusto un importante privilegio, che lo rendè padrone di Roma e dell'Italia. Con pericolosa eccezione alle antiche massime, egli fu autorizzato a conservare il suo comando militare, sostenuto da un numeroso corpo di guardie, anche in tempo di pace e nel cuore della capitale. Il suo comando veramente era limitato sopra i cittadini obbligati al servizio dal giuramento militare; ma tale era l'inclinazione dei Romani alla servitù, che i magistrati, i Senatori ed i Cavalieri prestarono volontariamente il giuramento, finchè l'omaggio della adulazione si convertì insensibilmente in una annuale e solenne protesta di fedeltà.
Benchè Augusto considerasse la forza militare come il più saldo fondamento di un Governo, nondimeno prudentemente la rigettò come strumento molto odioso. Era più disposto per natura e per politica a regnare sotto i venerabili nomi dell'antica magistratura, e ad unire artificiosamente nella sua persona tutti i dispersi raggi della giurisdizione civile. Con questa mira permise al Senato di conferirgli a vita la potestà consolare227 e la tribunizia228, che fu nel modo stesso continuata a tutti i suoi successori. I Consoli eran succeduti ai Re di Roma, e rappresentavano la maestà dello Stato. Essi soprintendevano alle cerimonie della religione, levavano e comandavano le legioni, davano udienza agl'Imbasciatori stranieri, e presedevano alle adunanze del Senato e del popolo. La generale amministrazione delle finanze era a loro affidata, e sebbene raramente avesser tempo di amministrar la giustizia in persona, erano tuttavia considerati come i supremi custodi delle leggi, dell'equità e della pubblica pace. Tale era la loro giurisdizione ordinaria; ma questa diveniva superiore a qualunque legge ogni volta che il Senato imponeva ai Consoli di vegliare alla salvezza della Repubblica: allora per difesa della pubblica libertà essi esercitavano un temporaneo dispotismo229. Il carattere dei Tribuni era per ogni riguardo diverso da quello dei Consoli. L'apparenza dei primi era umile e modesta, ma le loro persone erano sacre e inviolabili. Avevan essi più forza per opporsi che per operare. Il loro incarico era di difendere gli oppressi, di perdonar le offese, di accusare i nemici del popolo, e di arrestare con una sola parola, se lo credevano necessario, tutta la macchina del governo. Finchè sussistè la Repubblica, la pericolosa influenza che il Console o il Tribuno tenevano dalla loro giurisdizion rispettiva, fu diminuita da diverse restrizioni importanti. La loro autorità spirava con l'anno, nel quale erano eletti; la prima dignità fu divisa in due, e l'ultima in dieci persone; e siccome questi due Magistrati erano nei pubblici e nei privati interessi fra loro contrarj, così questi scambievoli conflitti contribuivano il più delle volte ad assodare anzi che a distruggere la bilancia della costituzione politica. Ma quando fu riunita alla tribunizia la potestà consolare, quando ne fu a vita rivestita una sola persona, quando il Generale delle armi fu nel tempo stesso ministro del Senato e rappresentante del popolo romano, impossibile divenne il resistere all'esercizio di quella imperiale autorità, alla quale non si potevano facilmente assegnare i confini.
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221
222
Dione l. LIII p. 103 ec.
223
Livio, Epitom. l. XIV. Valer. Mass. VI 3.
224
Ved. nel lib. VIII di Livio la condotta di Manlio Torquato e di Papirio Cursore. Violavano essi le leggi della natura e dell'umanità, ma sostenevano quelle della militar disciplina, ed il popolo, che abborriva l'azione, era forzato a rispettare il principio.
225
Pompeo ottenne dagli sconsiderati, ma liberi suffragi del popolo un comando militare poco inferiore a quello di Augusto. Tra gli atti straordinarj di autorità esercitati dal primo, si può notare la fondazione di ventinove città, e la distribuzione di sei o sette milioni di zecchini alle sue truppe. La ratifica di tali atti trovò qualche opposizione e dilazione nel Senato. Ved. Plut. Appian. Dione Cassio, ed il primo libro delle lettere ad Attico.
226
Sotto la Repubblica il trionfo potea pretendersi da quel Generale soltanto, ch'era autorizzato a prender gli auspicj in nome del popolo. Per una esatta conseguenza derivante da questo principio di politica e di religione, il trionfo era riservato all'Imperatore, ed i suoi più fortunati Generali si contentavano di alcuni segni di distinzione inventati in lor favore sotto nome di onori trionfali.
227
Cicerone,
228
Siccome la Potestà Tribunizia (diversa dall'uffizio annuale del Tribuno) fu inventata a riguardo del Dittatore Cesare (Dione l. XLIV p. 364) essa gli fu data probabilmente come una ricompensa per avere così generosamente sostenuti colle armi i sacri diritti dei Tribuni e del popolo. Vedi i suoi Comment.
229
Augusto esercitò il Consolato per nove anni senza interruzione. Dipoi ricusò artificiosamente quella dignità, non meno che la Dittatura: si allontanò da Roma, e si trattenne fuori finchè gli effetti funesti del tumulto, e della fazione forzarono il Senato a rivestirlo del Consolato perpetuo. Augusto per altro ed i suoi successori affettarono di nascondere un titolo così invidioso.