Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon
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СКАЧАТЬ d'Omero la vite cresceva inculta in Sicilia, e forse ancora nel vicin continente: ma non era perfezionata dall'arte degli abitanti selvaggi, i quali non sapeano estrarre un liquore soave al gusto199. Mille anni dopo, l'Italia potè vantarsi, che delle ottanta specie dei vini più generosi e celebri, più di due terzi eran prodotti dal proprio suolo200. Questa pianta preziosa s'introdusse nella provincia narbonese della Gallia; ma al tempo di Strabone il freddo nella parte settentrionale delle Sevenne era così eccessivo, che si credeva impossibile di farvi maturare le uve201. Questa difficoltà, non pertanto, a poco a poco fu superata; e vi è qualche ragione di credere che le vigne di Borgogna sieno d'antichità eguale al secolo degli Antonini202. III. L'olivo, nel Mondo occidentale, era il compagno ed il simbolo della pace. Due secoli dopo la fondazione di Roma, questo utile albero era sconosciuto e all'Italia ed all'Affrica; ma vi fu poi naturalizzato, e finalmente portato nel cuore della Spagna e della Gallia. La timida ignoranza degli antichi, i quali pensavano, che gli fosse necessario un certo grado di calore, nè potesse crescere che nelle vicinanze del mare, fu insensibilmente distrutta dall'industria e dall'esperienza203. IV. La coltivazione del lino passò dall'Egitto nella Gallia ed arricchì l'intero paese, per quanto potesse impoverire le terre particolari nelle quali era seminato204. V. L'uso dei prati artificiali divenne familiare all'Italia e alle province, e specialmente l'erba medica, ossia il trifoglio, che deve alla Media il nome e l'origine205. Le sicure provvisioni di un cibo sano ed abbondante pel bestiame nel verno moltiplicarono il numero delle mandrie, le quali a vicenda contribuirono alla fertilità del terreno. A tutti questi vantaggi si può aggiungere un'assidua attenzione alle pesche ed alle miniere, le quali impiegando una moltitudine di mani laboriose, servivano ad accrescere i piaceri del ricco, e la sussistenza del povero. Columella, nel suo elegante trattato, descrive il florido stato dell'agricoltura spagnuola sotto il regno di Tiberio; ed è da osservarsi, che quelle carestie, dalle quali fu così spesso angustiata la Repubblica nella sua infanzia, raramente o non mai si sentirono nell'Impero esteso di Roma. La casuale scarsezza in una provincia, era immediatamente riparata dall'abbondanza dei suoi più fortunati vicini.

      L'agricoltura è il fondamento delle manifatture; giacchè le produzioni della natura sono i materiali dell'arte. Sotto l'Impero di Roma, la gente ingegnosa ed industre s'impiegava diversamente, ma continuamente in servizio dei ricchi. Questi favoriti della fortuna univano ogni raffinamento di comodo, di eleganza, e di splendore negli abiti, nella tavola, nelle case e nei mobili; e volevano tutto ciò che poteva o lusingar il fasto, o soddisfare il senso. Questi raffinamenti, sotto l'odioso nome di lusso, sono stati severamente condannati dai moralisti d'ogni secolo; e forse sarebbe più conveniente alla virtù, ed alla felicità degli uomini, se ciascuno possedesse i beni necessarj alla vita, e niuno i superflui. Ma nella presente imperfetta condizione della società, il lusso, sebben conseguenza del vizio o della pazzia, sembra esser l'unico mezzo di correggere l'ineguale distribuzione dei beni. Il diligente meccanico e l'abile artista, i quali non ebbero parte alcuna nelle divisioni della terra, ricevono una tassa volontaria dai possessori dei terreni; e questi sono eccitati dal sentimento dell'interesse a migliorare quei beni, col prodotto dei quali possono procurarsi nuovi piaceri. Questa operazione, i cui particolari effetti si provano in ogni società, esercitava un'energia molto più estesa nel Mondo romano. Le province avrebber ben presto perduto la loro opulenza, se le manifatture ed il commercio del lusso non avessero insensibilmente restituite ai sudditi industriosi le somme, che da loro esigevano le armi e l'autorità di Roma. Finchè la circolazione fu confinata nei limiti dell'Impero, essa imprimeva alla macchina politica un nuovo grado di attività, e le sue conseguenze, talvolta benefiche, non potevano mai divenire perniciose.

      Ma non è facil cosa di contenere il lusso dentro i limiti di un Impero. I paesi più remoti del Mondo antico furono saccheggiati per supplire al fasto ed alla delicatezza di Roma. Le foreste della Scizia fornivano alcune preziose pelli. L'ambra si portava per terra dai lidi del Baltico al Danubio, ed i Barbari stupivano del prezzo, che essi ricevevano in cambio di una merce sì inutile206. I luppoli di Babilonia e le altre manifatture dell'Oriente erano ricercatissime. Ma il ramo più considerabile e ricco di straniero commercio si faceva con l'Arabia e con l'India. Ogni anno, verso il solstizio d'estate, una flotta di cento venti vascelli partiva da Mioshormos, porto dell'Egitto sul mar Rosso. Con l'aiuto dei venti periodici traversavan l'Oceano quasi in quaranta giorni. La costa del Malabar, o l'isola del Ceylan207 era il solito termine della loro navigazione, ed i mercanti delle più remote contrade dell'Asia aspettavano il loro arrivo in quegli scali. Il ritorno della flotta egiziana era stabilito nel mese di Dicembre o di Gennaio. Ed appena il suo ricco carico era stato trasportato su i cammelli dal mar Rosso al Nilo, ed era calato per quel fiume fino ad Alessandria, si spargeva senza indugio nella capitale dell'Impero208. Gli oggetti del traffico orientale erano splendidi, ma di poca utilità; la seta209 che si vendeva a peso d'oro, le pietre preziose, tra le quali la perla aveva il primo posto dopo il diamante210; ed una moltitudine di aromati, che si consumavano nel culto religioso, e nelle pompe dei funerali.

      La fatica ed il pericolo del viaggio venivano ricompensati da un profitto quasi incredibile; ma questo profitto si faceva sopra i sudditi Romani, e pochi individui si arricchivano a spese del pubblico. Come i nazionali dell'Arabia e dell'India si contentavano delle produzioni e manifatture del loro paese, così l'argento per parte dei Romani era il principale, se non il solo strumento di commercio. Il Senato giustamente si lagnava, che per femminili ornamenti si mandassero tra le nazioni straniere e nemiche211 le ricchezze dello Stato, che più non ritornavano. La perdita annuale si fa ascendere da uno scrittore esatto e critico a più di un milione e seicento mila zecchini212. Questo era lo stile di uno spirito mal contento, e sempre occupato dal malinconico aspetto di una vicina povertà. E ciò non ostante se si paragoni la proporzione tra l'oro e l'argento, quale era nel tempo di Plinio, e qual fu determinata nel regno di Costantino, si scoprirà in quel periodo un considerabilissimo aumento213. Non vi è la minima ragion di supporre, che l'oro fosse divenuto più raro: è perciò evidente che l'argento era divenuto più comune, e che per grandi che fosser le somme trasportate nell'India e nell'Arabia, erano ben lungi dall'esaurire l'opulenza del Mondo romano; ed il prodotto delle miniere suppliva abbondantemente alle esigenze del commercio.

      Non ostante l'inclinazione degli uomini ad innalzare il passato, e ad avvilire il presente, sì i provinciali che i Romani sentivano veramente, e di buona fede confessavano lo stato prospero e tranquillo dell'Impero. «Essi conoscevano che i veri principj della vita sociale, le leggi, l'agricoltura e le scienze, già inventate dalla saggia Atene, erano allora solamente stabilite dalla potenza romana, la quale con felice influenza aveva uniti i barbari più feroci sotto un governo eguale ed un linguaggio comune. Affermavano che con i progressi delle arti la specie umana era visibilmente moltiplicata. Celebravano l'accresciuto splendore delle città, il ridente aspetto della campagna, tutta coltivata ed adorna come un immenso giardino, e le feste di una lunga pace, che si godeva da tante nazioni, dimentiche delle loro antiche animosità, e libere dal timore d'ogni futuro pericolo214.» Qualunque dubbio possa nascere dall'accento rettorico e declamatorio, che sembra dominare in questo passo, esso nell'essenziale perfettamente combina con la verità della storia.

      Era quasi impossibile che l'occhio de' contemporanei scoprisse nella pubblica felicità le nascoste cagioni della decadenza e della corruzione. Quella lunga pace, ed il governo uniforme dei Romani, introducevano un veleno lento e segreto nelle parti vitali dell'Impero. Le menti degli uomini si ridussero a poco a poco al medesimo livello, si estinse il fuoco del genio, e svanì fin lo spirito militare. Gli Europei erano coraggiosi e СКАЧАТЬ



<p>199</p>

Ved. Omero Odiss. l. IX v. 358.

<p>200</p>

Plinio Stor. Nat. l. XLV.

<p>201</p>

Strab. Geog. l. IV p. 223. Il freddo eccessivo di un inverno Gallo era un proverbio tra gli antichi.

<p>202</p>

Nel principio del quarto secolo l'Oratore Eumene Panegir. veter. VIII 6 edit. Delph. parla dei vini di Autun, che avevano perduto la qualità loro per l'antichità; ed allora s'ignorava affatto il tempo, nel quale le vigne erano per la prima volta state piantate nel territorio di quella città. M. d'Anville pone il Pagus Arebrignus nel distretto di Beaune, celebre ancora adesso per la bontà de' suoi vini.

<p>203</p>

Plinio Stor. Nat. l. XV.

<p>204</p>

Plinio Stor. Nat. l. XIX.

<p>205</p>

Il bel saggio di Harte sull'agricoltura; egli ha unito in quest'opera tutto ciò che gli antichi e i moderni han detto del trifoglio.

<p>206</p>

Tacito German. c. 45. Plinio Stor. Nat. XXXVII 11. Osserva egli graziosamente che la moda stessa non avea ancor potuto insegnare l'utilità dell'ambra. Nerone mandò un cavaliere romano ne' luoghi ove la raccoglievano (che sono le coste della Prussia moderna) a comprarne una gran quantità.

<p>207</p>

Chiamata Taprobane dai Romani, e Serendib dagli Arabi. Quest'Isola fu scoperta sotto il regno di Claudio, e divenne insensibilmente la sede principale del commercio dell'Oriente.

<p>208</p>

Plinio Stor. Nat. l. VII. Strab. l, XVII.

<p>209</p>

Stor. Augusta p. 224. Una veste di seta era considerata come un ornamento femminile ed indegna di un uomo.

<p>210</p>

Le due gran pesche di perle erano le medesime dei nostri tempi, Ormuz, e il Capo Comorino. Per quanto noi possiamo paragonare la Geografia antica colla moderna, Roma ricavava i suoi diamanti dalla miniera di Jumelpur nel Regno di Bengala; se ne trova una descrizione nel tom. II. Viaggi di Tavernier pag. 281.

<p>211</p>

Tacito Annali III 5 in un discorso di Tiberio.

<p>212</p>

Plin. Stor. Nat. XII 18. In un altro luogo calcola la metà di questa somma; quingenties H. S. per l'India, senza comprender l'Arabia.

<p>213</p>

La proporzione che era da uno a dieci, e dodici e mezzo salì a quattordici e due quinti per una legge di Costantino. Ved. le tavole di Arbuthnot sopra le monete antiche c. V.

<p>214</p>

Oltre diversi altri passi ved. Plinio Stor. Nat. III 5 Aristide De urbe Roma, e Tertulliano De anima c. 30.