Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI. Botta Carlo
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Название: Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI

Автор: Botta Carlo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ e de' suoi potenti alleati, fia novellamente Italia in se stessa felice, fia da altri rispettata: avrà novellamente il capo della religione i suoi stati, avrà la sua libertà. Una constituzione alla natura stessa, al vero stato politico vostro consentanea, sarà per prosperare le italiche contrade, e per allontanar da loro ogn'insulto di forza forestiera. Promettevi Francesco sì fortunate sorti: sa l'Europa, essere la sua fede tanto immutabile, quanto pura; il cielo, il cielo vi parla per bocca di lui. Accorrete, Italiani, accorrete: chiunque voi siate, o qual nome v'aggiate, o qual setta amiate, purchè Italiani siate, senza temenza alcuna a noi venite. Non per ricercarvi di quanto avete fatto, ma per soccorrervi e per liberarvi siamo in cospetto dell'Italiane terre comparsi. Consentirete voi a restarvi, come ora siete, disonorati e vili? Sarete voi da meno che gli Spagnuoli, eroica gente, che altamente dissero, e che più altamente fecero che non dissero? Meno che gli Spagnuoli amino, amate voi forse i vostri figliuoli, la vostra religione, l'onore e il nome della vostra nazione? Abborrite voi forse meno ch'essi, il vergognoso giogo a cui v'han posti coloro, che con belle parole v'ingannarono, che con tristi fatti vi lacerarono? Avvertite, Italiani, e negli animi vostri riponete ciò, che ora con ragione e con verità vi diciam noi, che questa è la sola, questa l'ultima occasione che a voi si scopre di vendicarvi in libertà, di gettar via dai vostri colli il duro giogo che su tutta Italia s'aggrava: avvertite, e negli animi vostri riponete, che se voi ora non vi risentite, e se neghittosi ancora vi state ad osservare, voi vi mettete a pericolo, quali dei due eserciti abbia ad aver vittoria, di non essere altro più che un popolo conquistato, che un popolo così senza nome, come senza diritti. Che se pel contrario con animi forti vi risolvete a congiungere con gli sforzi dei vostri liberatori anco i vostri, e se con loro andate a vittoria, avrà l'Italia novella vita, avrà suo grado fra le grandi nazioni del mondo, e risalirà fors'anche al primo, come già il primo si ebbe. Italiani, più avventurose sorti or sono nelle mani vostre poste, in quelle mani che in alto alzando le faci indicatrici di dottrina, di civiltà, di arti tolsero il mondo alla barbarie, e dolce, e mansueto, e costumato il renderono. Milanesi, Toscani, Veneziani, Piemontesi, e voi tutti popoli d'Italia, sovvengavi dei tempi andati, sovvengavi dell'antica gloria: e tempi e gloria potranno rinstaurarsi, e rinverdirsi più prosperi e più splendidi che mai, se fia che voi un generoso cooperare ad un pigro aspettare anteponiate. Volere, fia vittoria; volere, fia tornarvi più lieti e più gloriosi, che gli antenati vostri ai tempi del maggiore splendor loro non furono».

      A questo modo l'arciduca spronava gl'Italiani, acciò non avessero a disperarsi di vedere la patria loro rimanere in altro grado che d'ignominiosa e perpetua servitù. Ma le sue esortazioni non partorirono effetti d'importanza, perchè coloro che avevano le armi in mano, parteggiavano, come soldati, per Napoleone: gl'inermi odiavano bensì la signoria Francese, ma non si fidavano di quella dell'Austria, nè che la vittoria di lei fosse per essere la libertà d'Italia pareva lor chiaro: tutti poi spaventava la ricordanza ancor fresca del caso di Ulma. Nè appariva che fosse per nascere alterazione tra Napoleone ed Alessandro, la quale sola avrebbe potuto dare speranza probabile di buon successo.

      Addì dieci d'aprile la tedesca mole piombava sull'Italia. L'arciduca, varcata la sommità dei monti al passo di Tarvisio, e superato, non però senza qualche difficoltà per la resistenza dei Francesi, quello della Chiusa s'avvicinava al Tagliamento. Al tempo stesso, con abbondante corredo di artiglierìe e di cavallerìa passava l'Isonzo, e minacciava con tutto lo sforzo de' suoi la fronte dei Napoleoniani. Fuvvi un feroce incontro al ponte di Dignano, perchè quivi Broussier combattè molto valorosamente. Ma ingrossando vieppiù nelle parti più basse gli Austriaci, che avevano passato l'Isonzo, Broussier si riparò per ordine del vicerè sulla destra; che anzi, crescendo il pericolo, andò il principe a piantare il suo alloggiamento in Sacile sulla Livenza, attendendo continuamente a raccorre in questo luogo tutte le schiere, sì quelle che avevano indietreggiato, come quelle che gli pervenivano dal Trevisano e dal Padovano. Stringevano i Tedeschi d'assedio le fortezze di Osopo e di Palmanova. Eugenio, rannodati tutti i suoi, eccetto quelli che venivano dalle parti superiori del regno Italico e dalla Toscana, si deliberava ad assaltar l'inimico, innanzi che egli avesse col grosso della sua mole congiunto le altre parti che a lui si avvicinavano. Del quale consiglio, non che lodare, biasimare piuttosto si dovrebbe il principe; poichè sebbene l'arciduca non avesse ancora tutte le sue genti adunate in un sol corpo, tuttavia sopravvanzava non poco di forze, e non che fosse dubbio il cimento, era da temersi che gli Austriaci sarebbero rimasti superiori; che se conveniva all'arciduca, siccome fornito di maggior forza, il dar dentro, non conveniva al principe, che l'aveva minore: doveva Eugenio in questo caso anteporre la prudenza all'ardire.

      Erano i Francesi ordinati per modo nei contorni di Sacile, che Seras e Severoli occupavano il campo a destra, Grenier e Barbou nel mezzo, Broussier a sinistra: le fanterìe e le cavallerìe del regno Italico formavano gran parte della destra. Fu quest'ala la prima ad assaltar i Tedeschi, correva il dì sedici aprile: destossi una gravissima contesa nel villaggio di Palsi, da cui e questi e quelli restarono parecchie volte cacciati e rincacciati: i soldati Italiani combatterono egregiamente. Pure restò Palsi in potestà dell'arciduca: e già i Tedeschi minacciosi colla loro sinistra fornitissima di cavallerìe, insistevano; la destra dei Francesi molto pativa; Seras e Severoli si trovavano pressati con urto grandissimo, ed in grave pericolo. Sarebbero anche stati condotti a mal partito, se Barbou dal mezzo non avesse mandato gente fresca in loro ajuto. Avuti Seras questi soldati di soccorso, preso nuovo animo, pinse avanti con tanta gagliardìa, che pigliando del campo scacciò il nemico, non solamente da Palsi, ma ancora da Porcia, dove aveva il suo principale alloggiamento. L'arciduca, veduto che il mezzo della fronte Francese era stato debilitato pel soccorso mandato a Seras, vi dava dentro per guisa che per poco stette, che non lo rompesse intieramente. Ma entrava in questo punto opportunamente nella battaglia Broussier, e riconfortava i suoi, che già manifestamente declinavano: Barbou eziandìo si difendeva con molto spirito. Spinse allora l'arciduca tutti i suoi battaglioni avanti: la battaglia divenne generale su tutta la fronte. Fu la zuffa lunga, grave e sanguinosa, superando i Tedeschi di numero e di costanza, i Francesi d'impeto e d'ardire. Intento sommo degli Austriaci era di ricuperar Porcia; ma contuttochè molto vi si sforzassero, non poterono mai venirne a capo. In quest'ostinato combattimento rifulse molto egregiamente la virtù del colonnello Giflenga, mentre guidava contro il nemico uno squadrone di cavalli Italiani. Fuvvi gravemente ferito il generale Teste, guerriero molto prode. Durava la battaglia già da più di sei ore, nè la fortuna inclinava. Pure finalmente rinfrescando sempre più l'arciduca con nuovi ajuti la fronte, costrinse i Napoleoniani a piegare, non senza aver disordinato in parte le loro schiere, e ucciso loro di molta gente. Patì molto la cavallerìa di Francia; fu anche danneggiata fortemente la schiera di Broussier, che servendo di retroguardo alle altre mezzo rotte e ritirantisi, ebbe a sostenere tutto l'impeto del nemico vincitore. Se la notte, che sopraggiunse, non avesse posto fine al perseguitare del nemico avrebbero i Francesi e gl'Italiani pruovato qualche pregiudizio molto notabile. Perdettero in questa battaglia di Sacile i Napoleoniani circa due mila cinquecento soldati tra morti, feriti e prigionieri: non mancarono dei Tedeschi più di cinquecento. Dopo l'infelice fatto non erano più le stanze di Sacile sicure al principe vicerè. Per la qual cosa si ritrasse, seguitato debolmente dai Tedeschi, sempre lenti perseguitatori dei nemici vinti, e perciò perdenti molte buone occasioni, sulle sponde dell'Adige. Quivi vennero a congiungersi con lui i soldati di Lamarque, che già stanziavano nelle terre Veronesi, e quelli che sotto Durutte dalla Toscana erano venuti. Nè piccola cagione di dare novelli spiriti ai Napoleoniani fu l'arrivo di Macdonald. Fu egli veduto con allegra fronte, ma con animo poco lieto da Eugenio, che stimava aver a passare in lui la riputazione di ogni impresa segnalata. Passò l'arciduca la Piave, passò la Brenta, tutto il Trivigiano, il Padovano e parte del Vicentino inondando. Assaltava in questo mentre Palmanova, ma con poco frutto: tentò con un grosso sforzo il sito fortificato di Malghera per aprirsi la strada alle lagune di Venezia; ma non sortì effetto. Si apprestava non ostante ad andar a trovar il nemico sulle rive dell'Adige, sperando di riuscire nella superiore Lombardìa, dominio antico dei suoi maggiori. Non trovò nelle regioni conquistate quel seguito che aspettava. Vi fu qualche moto in Padova, ma di poca importanza; si levarono anche in arme gli abitatori di Crespino, terra del Polesine; e fu per loro in mal punto; perchè Napoleone tornato superiore per le vittorie di Germania, fortemente sdegnatosi, gli soggettò all'imperio militare, ed alla pena del bastone per le trasgressioni. Supplicarono di perdono. Rispose, perdonare, ma a prezzo di sangue; gli dessero, per essere СКАЧАТЬ