Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI. Botta Carlo
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Название: Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI

Автор: Botta Carlo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ le censure coloro, che accettassero quegl'impieghi ed uffizi, i quali tendessero a ruina delle leggi di Dio e della Chiesa; gli altri fosse lecito accettare per dispensa del vescovo. Ma Napoleone, seguitando la sua volontà inflessibile ed arbitraria, ed a lei posponendo ogni altro rispetto, voleva che i vescovi pubblicamente dichiarassero, esser lecito per le leggi della Chiesa servire in qualunque carica od impiego il governo, e che a chi il servisse, amministrerebbero i sacramenti. Non obbedirono: affermavano, che se l'imperatore diceva sue ragioni per impadronirsi delle provincie, il papa diceva anche le sue per conservarle, e che alla fine a loro non s'apparteneva il definire sì gran contesa: che però senza taccia d'infamia e di prevaricazione, non potevano dichiarare lecito indistintamente ogni ufficio ed impiego; che l'amministrazione de' sacramenti, e nominatamente l'assoluzione dei peccati e delle censure ecclesiastiche, intieramente dipendevano dall'autorità superiore del pontefice; che se i subordinati oltrepassassero i termini posti da lei, l'assoluzione sarebbe nulla e di niun valore, non solamente nel foro esteriore, ma ancora a cospetto di Dio; che queste non erano opinioni che potessero ancora venir in controversia, ma dogmi inconcussi, dogmi di quella religione che dominava nel reame d'Italia per confessione stessa dell'imperatore; che se il papa era stato spogliato di una parte del suo dominio temporale, rimaneva intiera e piena la sua potestà spirituale; che a lui solo spettava la facoltà di definire in queste materie il lecito e l'illecito, e di allargare o di restringere la giurisdizione dei prelati inferiori; che pertanto sarebbe attentato scismatico e distruttivo dell'unità cattolica, il contraddire pubblicamente i suoi giudizi; essere parati, attestavano, a promuovere e mantenere con tutti i mezzi, che fossero in facoltà loro, la quiete dello stato, ma non voler arrogarsi una giurisdizione che a loro non competeva, e che non potrebbero, se non se sacrilegamente ed inutilmente usare. Così era nelle quattro province un conflitto tra armi ed opinioni, armi forti ed opinioni inflessibili: gli uomini distratti tra la coscienza e gl'interessi non sapevano più dove volgersi: prigioni a chi s'allontanava dalle armi, maledizioni a chi s'allontanava dalle opinioni, discordia, dolore e miseria per tutti. Tal era la condizione delle Marche, una volta sì prospere e sì felici, ora cadute ed infelici. Quanto al papa bene aveva operato Pio settimo col protestare, come fece, con tanta energia contro la usurpazione della sua sovranità: ma nel restante avrebbe dovuto imitare la prudenza, e la paterna sopportazione di Pio sesto, suo glorioso antecessore. L'usare inflessibilità, mentre era inutile, contro Napoleone, esponeva i sudditi a calamità innumerabili. Il protestare contro l'usurpatore era ufficio indispensabile di sovrano, ed anche bastava per conservar incolumi i suoi diritti; il sopportare con agevolezza e mansuetudine la faccenda dei giuramenti era ufficio di padre verso i suoi figliuoli.

      Pubblicava Pio una solenne protesta:

      «Il decreto pubblicato, diceva, d'ordine dell'imperatore e re Napoleone, che subitamente ci spoglia del dominio libero ed assoluto delle province della Marca d'Ancona, dominio, di cui per consentimento di tutti, durante dieci secoli e più, hanno sempre i nostri predecessori goduto, non solamente contro di noi fu fatto, contro di noi per tanti anni da tanti dolori trafitti, da tante tempeste battuti per cagione di colui, che con quella maggiore amorevolezza che per noi si è potuto, abbracciato abbiamo, ma ancora contro la Chiesa Romana, contro la Sedia apostolica, contro il patrimonio del principe degli apostoli. Nè sappiamo, se in questo decreto sia maggiore l'oltraggio della forma, o la iniquità del fatto. Per certo, se in così grave accidente tacessimo, ciò fora meritamente a mancanza del nostro apostolico dovere, a violazione dei giuramenti nostri imputato. Che se poi vogliamo por mente ai motivi del decreto, facilmente ci persuaderemo, maggiore obbligo legarci a rompere il silenzio, perciocchè ingiuriosi sono, e contaminano la purità e l'integrità delle nostre deliberazioni. L'oltraggiare ed il mentire sonsi aggiunti all'ingiustizia. Che un principe inerme e pacifico, che non solo non dà cagione di dolersi di lui ad alcuno, ma che ancora allo stesso imperatore dei Francesi ebbe con tanti manifesti segni la sua affezione dimostrato, i propri interessi e quelli de' suoi sudditi anche offendendo, sia spogliato de' suoi dominj per non aver creduto, che gli fosse lecito di obbedire agli ordini di colui, che gl'ingiungeva di abbandonare la sua neutralità con tanta fede e scrupolo conservata, e di far lega di guerra contro coloro, che a modo nissuno turbato nè offeso l'avevano, già per se sarebbe una grandissima ingiustizia; che se poi un principe, che fosse signore di un grande impero avesse giustissime cagioni di ricusare una lega nemica, qual cosa si dovrebbe dire, e pensare del sommo pontefice, vicario in terra dell'autor primo di pace, obbligato in forza del suo apostolato supremo al ministerio di padre comune, ad un uguale amore verso tutti i fedeli di Gesù Cristo, ad un eguale odio contro tutte le nimicizie? Passa il decreto per dissimulazione artifiziosa sotto silenzio questi obblighi nostri, queste voci della coscienza nostra, obblighi e voci, che tante volte, e per lettere nostre, e per bocca dei nostri legati, candidamente e sinceramente all'imperator Napoleone rappresentammo. Ma l'ingiustizia sua procede anche più oltre, posciachè ci rimprovera l'esserci noi da quest'alleanza astenuti, per non essere obbligati a volgere le armi contro gl'Inglesi esclusi dalla comunanza cattolica. Nella quale ingiustizia contiensi una grande ingiuria: poichè sa egli, quantunque il taccia, quante volte gli protestammo, non poter entrare in una lega perpetua per non essere costretti a guerra contro tanti principi cattolici, a quanti a lui piacesse di far guerra ora e per sempre. Dogliamoci inoltre, come di offesa grave ed odiosa, ch'ei ci accusi di rifiutar l'alleanza, affinchè la penisola resti facilmente esposta agli assalti dei nemici. Sallo, e chiamiamo in testimonio e giudice tutta l'Europa, che vede da tanti anni le Italiane spiagge occupate da soldati Francesi, sallo, e chiamiamo in testimonio e giudice l'imperatore stesso, che tace la condizione da noi offerta, ch'ei mettesse in tutt'i porti ed in tutti i lidi nostri i suoi presidj. Havvi in questo silenzio più ingratitudine ancora, che menzogna, posciachè ei non ignora punto, quanto danno ridonderebbe ai sudditi nostri dalla chiusura dei porti, e quanto sdegno contro di noi ne prenderebbero i suoi nemici. Ma se per onestare la sua usurpazione, offende la verità del pari che la giustizia, incredibile da un altro canto è la maraviglia da noi concetta, che pel fine medesimo non gli abbia ripugnato l'animo al servirsi della donazione di Carlomagno. Noi non possiamo restar capaci, come l'imperatore, dopo lo spazio di dieci secoli, s'attenti di risuscitare, e di attribuirsi la successione di Carlomagno, nè come la donazione di Carlomagno risguardi i dominj usurpati della Marca d'Ancona.

      «Stante adunque che per le ragioni finora raccontate egli è chiaro e manifesto, che per forza di un attentato enorme i diritti della Romana Chiesa sono stati dall'ultimo decreto di Napoleone violati, e che una ferita ancora più profonda è stata a noi ed alla santa sede fatta, acciocchè tacendo non paja ai posteri, che noi l'iniquissimo delitto commesso con violazione di tutte le regole della rettitudine e dell'onore, quanto pure merita non abbiamo (il che sarebbe perpetua vergogna nostra) a sdegno ed abborrimento avuto, di nostro proprio moto, di nostra certa scienza, di nostra piena potenza dichiariamo, e solennemente, ed in ogni miglior modo protestiamo, l'occupazione delle terre, che sono nella Marca d'Ancona, e la unione loro al reame d'Italia, senza alcun diritto e senza alcuna cagione per decreto dell'imperator Napoleone fatte, ingiuste essere, usurpate, nulle: dichiariamo altresì, e protestiamo, nullo essere, e di niun valore quanto sino al giorno d'oggi si è fatto per esecuzione del detto decreto, e quanto potrà essere d'ora in poi sulle terre medesime da qualunque persona fatto e commesso: vogliamo inoltre e dichiariamo, che anche dopo mille anni, e tanto quanto il mondo durerà, quanto vi si è fatto, e quanto sarà per farvisi, a patto niuno possa portar pregiudizio o nocumento ai diritti sì di dominio, che di possessione sulle medesime terre; perchè sono, e debbono essere di tutta proprietà della nostra santa Sedia apostolica».

      Così Pio venuto in forza altrui parlava a Napoleone, e contro di lui protestava. Così ancora Napoleone, dopo di avere carcerato i reali di Spagna, carcerava anche il papa, e dopo di aver usurpato la Spagna, usurpava anche Roma. Alessandro di Russia in questo mentre appunto lasciava a posta la sua imperial sede di Pietroburgo per girsene a visitarlo in Erfurt, Francesco d'Austria vi mandava il general San Vincenzo per accarezzarlo.

      LIBRO VIGESIMOQUARTO

SOMMARIO

      Nuova guerra coll'Austria. L'arciduca Giovanni generalissimo degli Austriaci, il principe Eugenio, vicerè, generalissimo dei Francesi in Italia. Loro manifesti agl'Italiani. L'arciduca vince a Sacile, e s'avanza verso Verona. Mossa generale dei Tirolesi contro i Francesi e i Bavari; qualità di Andrea СКАЧАТЬ