Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V. Botta Carlo
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Название: Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V

Автор: Botta Carlo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ Cristoforo macellaro, che per uso del suo mestiere aveva corde in casa, fu straziato con orribili tormenti, poi la sua testa tronca portata a dileggio di popolo sopra la punta di una bajonetta per la città: l'avevano cinta tutta di corde, e gridavano, esser miracolo di sant'Antonio (correva appunto la festa di questo santo) perchè si era dato voce, che il santo fosse stato quello, che avesse rivelato a scampo dei lazzaroni il tradimento dei capestri. Dichiararono sant'Antonio protettore di Napoli, e degradarono san Gennaro come giacobino, e protettor di giacobini. Pensi il lettore quale immagine di città fosse quella, in cui una plebe barbara correva per le contrade e per le case, mescolando gli scherni alle crudeltà, ed in cui si ardevano uomini vivi, e le carni loro si mangiavano. Qualche consolazione arreca all'animo sconfortato dal vedermi un volto simile a quello di queste fiere, il pensare che atti generosi sorsero in mezzo a tale desolazione; perchè non mancarono padroni di casa che a pericolo degli averi e delle persone loro scamparono da morte le vittime destinate. Durò lo stato orribile due giorni. Infine si risolvè il cardinale, o perchè la umanità finalmente il movesse, o perchè volesse attendere all'assedio del castelli, fazione impossibile a tentarsi in tanto scompiglio, a frenare il furore dei suoi; Napoli atterrita per le morti, diventò lagrimosa pei morti.

      Restavano ad espugnarsi i castelli, a questa espugnazione applicò l'animo il cardinale, piantò una batterìa nella contrada di Toledo per battere i repubblicani, che avevano un alloggiamento a San Ferdinando, una all'Immacolata per battere castel Nuovo, ed una terza alla punta di Posilippo per battere quel dell'Uovo, che sebbene sia poco altro che una vecchia casa a guisa di fortezza, è di gran momento pel suo sito; perciocchè chi ne è padrone può battere con vantaggio, ed impadronirsi di castel Nuovo. Veduto il pericolo, i repubblicani che erano dentro a castel dell'Uovo si accordavano con quelli di castel Nuovo, e di Sant'Elmo per fare tutti uniti una fazione notturna contro la batterìa di Posilippo. Accozzavansi le due colonne uscite da castel Nuovo e da castel dell'Uovo, ma quando giunsero alla strada che salendo mette a Sant'Elmo, scambiarono in mezzo all'oscurità della notte per nemici quella dei loro compagni, che scendeva della fortezza. Si diè mano da ambe le parti al trarre, furonvi parecchi morti di qualità dalle due bande: ciò fu cagione di molto spavento. Finalmente riconosciutisi gli amici con gli amici, e riunitisi, e ripreso animo, se ne andarono con incredibile audacia alla fazione. Tanto fu l'ardire e la prestezza loro, che uccise le guardie, e sopraggiungendo improvvisi alla batterìa, la presero, arsero i carretti, chiodarono i cannoni, e tornarono sani e salvi ad incastellarsi. Le truppe di Ruffo sorprese, e spaventate a sì inopinato accidente, si davano alla fuga; già il cardinale aveva messo all'ordine i carri, e la sua carrozza stessa per andarsene. Ma accortosi della pochezza del nemico, e che i repubblicani già si erano riparati ai castelli, se ne rimase, continuando nell'opera dell'espugnazione. Dalla parte loro i repubblicani conobbero, che stante il numero soprabbondante dei nemici che gli combattevano, e le popolazioni contrarie, niuna speranza rimaneva loro della vittoria. Perciò consultarono fra di loro, se dovessero tentar la fuga con aprirsi con le armi in mano il varco fra i nemici. Un Renzi, vecchio ufficiale di molto valore, e il principe de Gennaro altro ufficiale di gran cuore, che s'apparteneva ancor esso alla truppa assoldata, opinava pel tentativo. Una contraria sentenza manifestarono altri, o meno confidenti nella impresa loro, o più nella clemenza del vincitore. Con questi assentiva massimamente Ignazio Ciaja, che solito ad abbellire colla innocente e placida fantasia tutte le umane cose, abbelliva ancora quell'estrema sventura. A costoro non sofferiva l'animo il lasciar fra le mani di un nemico crudele i vecchi, le donne, ed i fanciulli, che avevano in sì lagrimevol caso seguitato la fortuna loro. Prevalse la opinione di questi ultimi, nè si fece più motivo alcuno per iscampare: solo attesero, il meglio che poterono, alla difesa dei castelli, ed a star pazienti ad aspettare che cosa portassero i fati a salute od a rovina loro.

      La fazione della punta di Posilippo, la ferocia dei repubblicani Calabresi, l'atto disperato del comandante di Viviena, ed il coraggio smisurato dimostrato in tutti i fatti dei democrati avevano dato molto a pensare a Ruffo: si era persuaso, che senza molto sangue, e forse senza lo sterminio di tutta la città non avrebbe potuto riuscir a fine della sua impresa. Il castel Sant'Elmo avrebbe potuto, dominando Napoli, ruinarlo da capo in fondo. Questo castello era per verità in mano dei Francesi, e particolarmente del comandante Mejean, col quale il cardinale aveva avuto qualche pratica, e sopra cui se ne viveva con molta sicurtà. Ma vi erano anche non pochi Napolitani, amatori della repubblica, i quali, uomini disperati essendo, ed in caso disperato ritrovandosi, potevano facilmente fare qualche risoluzione molto pregiudiziale a Mejean medesimo, ed alla città. Oltre a ciò avevano i repubblicani in mano loro nei castelli i prossimi congiunti del cardinale, nè poteva restar dubbio, stante la rabbia loro, e le mortali ingiurie corse fra le due parti, che nell'ultimo furore non gl'immolassero, ove l'estremo dei tempi fosse arrivato. Finalmente consideravano gli alleati, massimamente gl'Inglesi, che cooperavano alla conquista di Napoli col cardinale, che si erano ricevute novelle dell'essere uscita al mare la flotta di Brest, e comparsa allo stretto di Gibilterra, donde le era facile navigare nelle acque di Napoli, e condurre a mal partito le navi Inglesi, che stanziavano all'isola di Procida, e nel mare vicino. Considerate, e maturamente ponderate tutte queste cose, stimando, che non si convenisse mettere i repubblicani nell'ultima disperazione, si deliberarono gli alleati ad offerir loro patti, perchè i castelli e la città si conservassero salvi, e fosse rimosso il pericolo, che sovrastava al navilio d'Inghilterra. Il cardinale per mezzo del comandante di Sant'Elmo mandò dicendo ai repubblicani, che se volessero patteggiare, vi si sarebbe volentieri risoluto. Rappresentò loro Mejean quello, che era vero, cioè che oramai ogni difesa era inutile, e che migliore e più savio partito era il serbar la vita a tempi migliori per la repubblica, che il perire senza frutto per lei: accettassero i patti, esortava, che loro si venivano offerendo. I repubblicani, consultato fra di loro, inclinarono l'animo al partito più ragionevole, e risolvendosi al trattare, proposero in un modello scritto le condizioni per mezzo delle quali promettevano di lasciare castel Nuovo, e castel dell'Uovo, non potendo stipulare per Sant'Elmo, come in potestà di Francia. Parvero sulle prime al cardinale le condizioni superbe, penava al ratificarle. Infine strignendo il tempo, temendo vieppiù della vita de' suoi congiunti, e moltiplicando gli avvisi dello avvicinarsi della flotta Francese, con pari consentimento degli alleati si risolvette ad accettarle. Furono quest'esse: fossero Castelnuovo, e castel dell'Uovo dati in potere dei comandanti del re delle due Sicilie, e dei suoi alleati il re d'Inghilterra, l'imperatore di tutte le Russie, e la Porta Ottomana, e così parimente ad essi fossero consegnate le munizioni da guerra e da bocca con le artiglierìe, ed altri arnesi, che si trovassero nei forti; uscisse il presidio onorevolmente a modo di guerra; le persone e le proprietà, sì mobili che stabili, di ognuno che si appartenesse ai due presidj, si serbassero salve ed inviolate; potessero le persone medesime ad elezione loro imbarcarsi sopra bastimenti di tregua, che loro sarebbero forniti, per essere trasportate a Tolone, o potessero ancora rimanersi in Napoli, dove nè esse nè le famiglie loro potessero a modo niuno essere molestate; le medesime condizioni fossero, e s'intendessero concedute a tutti coloro fra i repubblicani che nelle battaglie succedute fra loro, e le truppe del re, o de' suoi alleati fossero stati fatti prigionieri; l'arcivescovo di Salerno, i cavalieri Micheroux e Dillon, ed il vescovo d'Avellino ditenuti nei castelli, si consegnassero al comandante di Sant'Elmo, e vi restassero come ostaggi, insino a tanto che si avessero le novelle certe dell'essere i repubblicani arrivati a Tolone; tutti gli altri ostaggi o prigioni per ragion di stato, si rimettessero in libertà, tosto che la capitolazione fosse sottoscritta; non isgombrassero i repubblicani dai castelli, se non quando ogni cosa fosse presta all'imbarcargli. Fu la capitolazione approvata, e sottoscritta dal cardinal Ruffo in qualità di vicario generale del regno, da un Kerandy per l'imperatore di tutte le Russie, da un Bonieu per la Porta Ottomana, e da un Foote pel re d'Inghilterra. Non s'indugiò a dar mano all'esecuzione dei patti. Da una parte gli ostaggi nominati dai repubblicani si condussero in Sant'Elmo, dall'altra entrarono i regj nei due castelli. Il cardinale, a nome del re, e come vicario generale del regno di qua dal Faro, pubblicò per tutto il reame un editto, per cui perdonava ogni colpa e pena ai repubblicani, promettendo piena ed intiera salute a tutti coloro che restassero, e facoltà d'imbarcarsi per Marsiglia a tutti quelli che amassero meglio, lasciando la patria, andarsi a vivere in lontane e forestiere contrade. Mandava espressamente il trattato a Pescara, in cui tuttavia si teneva Ettore di Ruvo, affinchè cedesse la piazza a Proni, e se ne venisse con tutti i suoi a Napoli, scortato per sua sicurezza dai regj.

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