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facilmente i corridori dell'esercito regio; ma quando più oltre si fu spinto, si accorse, che per lui, nè pe' suoi altro scampo non restava, se non quello di tornarsene prestamente là, dond'era venuto. Il suo ritorno in Napoli costernava le genti: per ultima speranza aspettavano quello che fosse per partorire il valore di Schipani; ma ebbero tosto le novelle, ch'egli, che per aver udito la ritirata di Mantoné, si era condotto alla torre dell'Annunziata, combattuto quivi aspramente dai Russi, dai regj, e da una parte de' suoi soldati medesimi mutatisi a favore del re, era stato preso, dopo di aver veduto lo sterminio quasi intiero de' suoi compagni. Sentissi a questo momento ancora, che Roccaromana aveva bene levato ed ordinato, siccome dal ministro ne aveva avuto il carico, il reggimento di cavalli, ma che invece di farlo correre in ajuto dei repubblicani, l'aveva condotto al cardinale, dal quale aveva avuto le grate accoglienze. Il precipizio era evidente: tolta tutta la campagna, ed insultando già da ogni parte le genti del cardinale vincitore, tutta la difesa della repubblica, e di tanti uomini che avevano seguitato la sua fortuna, era ridotta nella sola città di Napoli, non sicura, nè per concordia di cittadini, nè per nervo di soldati. Non si trattava più di vincere, ma solo di conseguir patti, onde, sfuggita la morte, si acquistasse facoltà di andar esulando per terre inconsuete e lontane. Decretava il direttorio, essere la patria in pericolo. Ritiravasi col corpo legislativo ai castelli Nuovo, e dell'Uovo: quel di Sant'Elmo più forte, e che dominava Napoli, era in mano del presidio Francese lasciatovi da Macdonald: un terrore senza pari occupava le menti. La legione Calabra sola non si spaventava, perchè dal vivere al morire, purchè si vendicasse, non faceva differenza. Parte stanziava in Napoli, parte presidiava il castello di Viviena, per cui Ruffo doveva passare per venir a dar l'assalto alla città dal lato del ponte della Maddalena. Si risolvevano i repubblicani a morire da uomini forti: Spartani volevano essere, e Spartani furono: ma gli Spartani avevano uno stato ed una patria, essi non avevano più nè l'una ne l'altra. Perciò perirono senza frutto, in ciò molto più da ammirarsi, che gli Spartani non furono, perchè erano sicuri, che quell'invitta virtù non solamente non sarebbe proseguita con laude nel paese loro, ma ancora vi avrebbe incontrato il biasimo. Udissi tutt'ad un tratto nella spaventata Napoli un romore, come di tuono; tremò la terra; pure il Vesuvio non buttava: veniva dal forte di Viviena. Lo aveva il cardinale con tutte le sue forze assaltato: vi si difenderono i Calabresi, non come uomini, ma come lioni. Pure i regj, combattendolo da tutte parti con le artiglierìe, l'avevano smantellato, e non una, ma più brecce, e piuttosto una ruina di tutte le mura apriva l'adito ai vincitori. Entraronvi a forza ed a furia: gente disperata ammazzava gente disperata, nè solo i vinti perivano. Nissuno s'arrendè, tutti furono morti: date, a chi gli uccideva, innumerevoli morti. Restavano una mano di pochi: la rabbia gli trasportava; feriti ferivano, minacciati ferivano, ammoniti dello arrendersi ferivano. Pure l'estrema ora giungeva. Anteponendo la morte di soldato alla morte di reo, nè sofferendo loro l'animo di venir in forza di coloro, che con tanta rabbia abborrivano, un Antonio Toscano, che gli comandava, e che già stava con mal di morte per le ferite e pel sangue sparso, strascinossi a stento, e carpone al magazzino delle polveri, e con uno stoppaccio acceso postovi fuoco, mandò vincitori, vinti, e rovinate mura all'aria: atto veramente mirabile, e degno d'eterna memoria nei secoli. Tutti perirono; questa fu la cagione del tuono, e dello spavento di Napoli. Ruffo, espeditosi dall'intoppo del forte, passava, e si accingeva a dar l'assalto alla capitale da tre bande, al ponte della Maddalena, al canto di Forìa, ed a Capodimonte; ma il principale sforzo era alla Maddalena. I repubblicani carcerarono come ostaggi alcuni sospetti, e condussero in castel Nuovo, ed in Castel dell'Uovo un fratello del cardinale, ed i parenti degli ufficiali dell'esercito regio. Passarono per le armi i fratelli Bacher con quattro lazzaroni mescolati in congiure. Poi partiti in tre schiere se ne givano contro Ruffo. Writz gli conduceva alla Maddalena, Bassetta a Forìa, Serra a Capodimonte. Caracciolo con le navi sottili accostatosi al lido, batteva di fianco le genti del re. Animavansi con vicendevoli conforti l'un l'altro: quella essere l'ultima fatica loro, o morte, o vittoria; dover lasciare un testimonio al mondo di quanto possa la virtù, che vuole la libertà; vita di servi non esser vita; non esser morte lo scampare dalla servitù; e se dai fati contrarj era fisso, che l'opera loro non potesse più giovare alla libertà ed alla patria, gioverebbe almeno la memoria. Con queste voci diedero dentro ai regj: sorse una furiosissima zuffa alla Maddalena: repubblicani e regj eleggevano piuttosto il morire, che il cedere. Dalla parte dei primi Luigi Serio, vecchio di sessant'anni, combattendo nella prima fronte con un suo nipote, e con una gioventù indomita, che animava con l'esempio e coi conforti, fu morto, e con lui il nipote ed i giovani. Writz, Svizzero, valorosamente travagliandosi con tutte le sue forze in pro dell'adottiva patria, ora qual generale comandando, ed ora qual soldato combattendo, faceva dubbia la vittoria. Finalmente ferito di piaga mortale, e portato in castel Nuovo, quivi mandava fuori l'ultimo spirito.
I repubblicani, massimamente quei Calabresi inferociti, non punto sbigottitisi alla morte del loro prode e fedele capitano, continuavano a menar le mani, ed a tener lontani dalle dilette mura le genti regie. Dal canto loro Bassetta e Serra ottimamente facevano il debito loro. Non inclinava ancora la sorte da alcun lato, perchè prevalevano i repubblicani di rabbia, ed avevano il vantaggio del luogo: i regj sopravanzavano di numero, e di truppe regolari. Mentre così stava dubbia la lance, ecco sorgere grida di viva il re alle spalle dei democrati. Erano una moltitudine di lazzaroni, che stimolati dai partigiani del governo regio, si levarono a romore. Rivoltaronsi addosso a loro i repubblicani, e gli ammazzarono tutti. Ma Ruffo, usando l'occasione che gli si era aperta, perchè i nemici assaliti alle terga avevano rimesso dalle difese, entrava per viva forza, ed inondava la città, solo a lui contrastando quei Calabresi indomabili. Quivi il raccontare le cose che seguirono, parrà certamente impossibile, se si farà a considerare quella rabbia immensa, le ingiurie fatte, il sangue sparso, il sangue caldo, la natura estrema di quei popoli, l'immanità della più parte dei combattenti, da nissuna civiltà temperata. Primieramente, il castello del Carmine, che domandava i patti, fu preso per assalto, e tutto il presidio senza pietà passato a fil di spada. Carnificina più grande e più orribile si faceva per le contrade. Vi si uccidevano gli uomini a caccia per diletto, come se fossero stati fiere; nè età, nè sesso, nè condizione, nè grado si risparmiavano. Uccidevansi i repubblicani per odio pubblico, i non repubblicani per odio privato; nè quei carnefici si contentavano di uccidere, che ancora volevano tormentare. Varj erano i generi delle morti: il ricco ammazzato sugli atrj de' suoi palazzi, il povero sulle scalee, e sulle porte delle chiese: chi era lacerato, vivente ancora, a brani a brani, chi strangolato, chi arso. Ardevano qua e là orribili roghi, e gli uomini gettati a furia dentro, vi si abbruciavano. Godevano i barbari, a guisa di veri cannibali, e facevano le loro tresche, le loro grida, le loro danze festevoli intorno. Un prete venuto con Ruffo, si vantava di aver mangiato carni di repubblicani abbrustolite. Si spargeva voce ad arte da coloro che si dilettavano degli oltraggi e del sangue, che i repubblicani avevano sui corpi loro stampata l'immagine della libertà. Per questo, prima di uccidergli, i meno impetuosi all'ammazzare, gli spogliavano, e così spogliati in mezzo agl'improperj ed alle battiture gli conducevano per la città. Donne virtuose e pudiche, e pel grado loro ragguardevolissime, furono barbaramente e fra gli scherni di una ignobil plebe condotte a questo supplizio, in cui il manco era il dolore del corpo. Vedeva Ruffo queste cose, e non volle o non potè frenarle. Cercavano e chi era reo, e chi era innocente di repubblica, scampo a furore tanto barbaro. Chi fuggiva in abito di donna, e questo ancora nol salvava; chi fuggiva sotto cenci da lazzarone, e non si salvava. Ma quelli, a cui la fortuna aveva aperto uno scampo per le contrade, gliel toglieva per le case; conciossiachè i padroni ne gli cacciavano, sapendo, che se gli ricettassero, le case loro sarebbero saccheggiate ed incese, ed essi uccisi. Vidersi fratelli chiuder le porte ai fratelli, spose a sposi, padri a figliuoli. Fuvvi un padre, il quale per dimostrare il suo amore pel re, scoperse, e diè in mano il proprio figliuolo alla furibonda plebe, comperando in tal modo la salute propria col sangue della sua creatura. Risospinti dalle case i miseri perseguitati si nascondevano nelle fogne, donde di notte tempo e di soppiatto uscivano, cacciati dalla fame e dalla puzza. Se ne accorsero i lazzaroni; si mettevano in agguato alle bocche, come se aspettassero fiere al varco, e quanti uscivano, tanti ammazzavano. Felice chi moriva senza tormenti. Come se la ferocia di quella plebe senza freno avesse bisogno di maggiore stimolo, le si fe' credere, che i repubblicani avessero risoluto d'impiccare, se avessero potuto, la sera del giorno precedente tutti i lazzaroni. Fu olio a fiamma. Cercarono diligentemente in tutte le case; e sfortunata quella, in cui fosse rinvenuta o corda, o spago, o simili: dicevano, essere i capestri apprestati; onde
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