La tigre della Malesia. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу La tigre della Malesia - Emilio Salgari страница 20

Название: La tigre della Malesia

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ marcia fra fitti cespugli.

      – Oh! troverò bene io qualche cavolo palmista o qualche sagù, che abbia a sfamarmi – mormorava egli continuando a strisciare fra erbe taglienti e acute spine. – Animo, non lasciamoci abbattere finché l’energia non viene meno, e le forze mi sorreggono, sono ancora Sandokan, la Tigre della Malesia.

      Attraversò i cespugli in mezzo a centinaia e centinaia di tronchi, che si innalzavano in mille guise, gli uni più alti degli altri, inclinati o diritti o torti e lisci, frondosi o semi-spogli, e si arrestò dinanzi un piccolo albero, di tre o quattro metri di altezza, le cui foglie erano ricoperte di una fina polvere biancastra. Lo conobbe subito.

      – Un sagù! – esclamò egli.

      Infatti il prezioso albero, così comunemente sparso in tutta la Malesia, faceva capolino fra tutti gli altri, circondato da erbe gigantesche e da cespugli spinosi. È una delle piante più utili che oltre crescere spontaneamente nelle foreste viene con premura coltivata dagli indigeni, somministrando essa una fecola nutritiva al sommo grado che fa le veci della farina.

      Non viene molto alta, tre o quattro metri al più, fa parte della gran famiglia delle palme, alle quali occorrono ben sette anni per giungere al loro pieno sviluppo e che amano i luoghi paludosi o almeno umidicci. Il sagù, la sostanza farinosa e piacevole che essa dà e che viene smerciata in gran quantità su tutte le isole della Malesia, non è che la midolla della pianta, bianca di colore, umida, nicchiata fra gl’interstizi di una fitta rete fibrosa, che si taglia a pezzetti rammollendola nell’acqua ottenendone ben un cento o centocinquanta chilogrammi.

      Era una vera fortuna pel ferito l’incontro di un albero sì prezioso. La polvere biancastra sparsa sulle foglie indicava che la fecola era giunta a perfetta maturanza; nulla di più facile che cibarsene.

      Sandokan, adoperando il kriss, si mise all’opera febbrilmente. Tagliò a pezzetti la parte fibrosa tanto da poter bastare per alcuni giorni, la tuffò per pochi minuti nel ruscello, poi si mise a morderla per calmare la fame che cominciava tenagliarlo trovando un po’ di sollievo in quel magro pasto.

      Non bastava. Aveva un organismo di una robustezza eccezionale; bisognava trovare qualche cosa da aggiungere a quel pasto, della carne se fosse stato possibile. Impotente di abbattere qualche capo di selvaggina, si rivolse al mare cercando qualcuna di quelle enormi ostriche che quattro individui di non comune appetito sono imbarazzati a divorare. Il mare non era troppo lontano; lo udiva muggire e frangersi sulle rupi e sulle scogliere. Raccolse la sua provvista, bagnò ancora una volta la piaga e facendo sforzi da gigante camminò o meglio si trascinò fino alla spiaggia.

      – Posso trovare qualcuna di quelle ostriche giganti – mormorò egli. – Il mio sangue è povero, bisogna rinnovarlo. La guarigione verrà dopo. Tagliò un bambù di quindici piedi d’altezza e ne aguzzò una delle estremità col kriss, fatto ciò si spinse nell’acqua vicino alle scogliere, scandagliando i crepacci, sostenendosi a mala pena contro l’impeto della risacca che si faceva sentire con qualche violenza.

      Perlustrò ad una ad una le fessure facendone uscire frotte di pesciolini, troppo agili per venire afferrati, mosse le alghe in mezzo alle quali si appiattavano lunghe anguille, frugò sui banchi di sabbia rimescolando ostriche piccole e granchi, e continuò ad avanzarsi coll’acqua fino alle ginocchia, avvicinandosi a un banco sabbioso di pochi piedi sott’acqua.

      – L’ostrica non deve mancare là, su quel banco, che si presenta a sì buon punto – pensava egli.

      E infatti il marinaio non s’ingannava. Vide una di quelle ostriche colossali chiamate di Singapura, a metà seppellita nelle sabbie, capace di nutrire per lo meno due uomini. La raggiunse tuffandosi fino alle anche, si curvò, e con uno sforzo che gli costò più di un gemito, la strappò dalle sabbie.

      – Ecco ciò che io cercava; che importa ora se sono ferito quando accanto a me ho un ruscello e dei viveri? Non andrò no, a battere la porta delle giacche rosse finché le forze mi resteranno; vivrò nei boschi come una tigre, e una volta guarito saprò ben io trovare la via per ritornare a Mompracem. Del resto, i miei uomini non mi hanno dimenticato.

      Raggiunse la riva affranto, dove sostò, sedendosi sulla grande ostrica, che aveva rinchiuso prudentemente i suoi bivalvi. Occorreva del fuoco per farli riaprire; il kriss per quanto fosse di una tempra eccezionale non sarebbe riuscito a nulla contro il guscio di uno spessore notevole.

      Gettò uno sguardo attorno, andò a raccogliere una bracciata di legne secche, sparse in gran quantità nei dintorni, colle dovute precauzioni per non trovare qualche velenoso rettile nel cavo di esse, o dei ragni se non del tutto pericolosi almeno cagionanti la febbre, e tagliando due pezzi di legno dalla tinta biancastra e lucente, si mise a strofinarli vigorosamente l’un contro l’altro finché ne trasse una fiammella. Non ci voleva altro. Le legne presero fuoco come esca, mettendo in fuga insetti, ragni e qualche serpentello innocuo, e quando furono semi-consumate, gettò la colossale ostrica sui carboni ardenti.

      L’effetto fu istantaneo: i due gusci si apersero lasciando uscire un solleticante profumo. Ritiratala dal braciere, il pirata sedendosi in mezzo alle erbe e dimenticando per un istante e la ferita e la situazione disperata in cui si trovava, assalì la colossale ostrica aiutandosi colla lama del kriss.

      Non aveva ancor inghiottito venti bocconi che l’abbaiar di un cane venne a ferire le sue orecchie.

      Abbandonò per un momento l’ostrica e tese le orecchie, per nulla contrariato dell’abbaiar di quell’animale, che forse poteva guidare qualche cacciatore, e chi sa, forse qualche indigeno.

      – Ah! se fosse un indigeno della costa o un barcaiuolo che possedesse un canotto! – esclamò egli. – Saprei ben io trascinarlo fino a Mompracem per caricarlo poi d’oro, a meno che non diventasse un pirata. Possa non essere una giacca rossa, alla quale io nulla chiederò. Ferito, pur morente, finché l’energia e l’odio per la loro razza maledetta mi sosterrà, rifiuterò i loro aiuti, i loro veleni. Tutti ignorano su questo lembo di terra chi io mi sia; il selvaggio potrà ospitarmi senza paure.

      Dopo di aver ascoltato alcuni istanti, Sandokan credette bene di aspettar la comparsa del cane o del cacciatore, terminando il pranzo, la cui carne molle ed eccellente gli solleticava l’appetito. Ad onta della ferita, sbarazzò mezzo guscio.

      – Aspettiamo – disse egli distendendosi mollemente sulle erbe. – Forse l’uomo o il cane si mostreranno.

      Gli abbaiamenti continuavano, talvolta avvicinandosi e talvolta allontanandosi. Pareva che l’animale seguisse qualche pista. Sandokan già s’impazientiva, quando udì una detonazione in lontananza.

      – È una giacca rossa! – esclamò egli rizzandosi sulle ginocchia. – Che la tigre la divori!

      Non si occupò più né del cane né del cacciatore, che d’altronde parevano allontanarsi e si coricò sotto un arecche. Rimase tutto il dì là sotto, conservando una immobilità completa, l’unica medicina occorrente per la ferita già pericolosamente infiammata per gli sforzi incontrati nella pesca e nella passeggiata sotto le foreste. Con tutto ciò la febbre tornò ad assalirlo con nuovo vigore, e prima che il sole tramontasse, batteva i denti, provava ancora atroci dolori e cominciava a delirare.

      Quell’uomo che non avea mai saputo che fosse paura, l’ebbe a provare quando il sole calò al ponente e le tenebre cominciarono a invadere la foresta. Ebbe paura della notte, e, deciso a tutto affrontare anziché addormentarsi, raccogliendo le ultime forze si ripose in cammino, aggravando il male. Dove andava? Egli nol sapeva. Vagava sotto i grandi alberi provando brividi interminabili come fosse nelle regioni polari, con un vulcano nel cervello, cogli occhi di bragia e il kriss convulsivamente stretto. Avrebbe fatto paura al più coraggioso isolano se avesse avuto la sfortuna d’incontrarlo.

      A СКАЧАТЬ