La tigre della Malesia. Emilio Salgari
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Название: La tigre della Malesia

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ ripigliò le ricerche tagliando quello spazio in mille guise, virando da babordo a tribordo colla speranza di incontrare il nuotatore, e di lacerarlo o di stritolarlo sotto le ruote.

      L’equipaggio intero fornito di fanali era sparso sulle murate, sulle griselle o calumato fino alle patte delle âncore per cercare di scoprirlo. Ma la manovra non riuscì benché lo sperone e le ruote passassero a pochi piedi da Sandokan sempre immobile e qualche palla tirata a casaccio facesse rimbalzar l’acqua a pochi pollici dal suo capo.

      Dieci minuti dopo il piroscafo, sicuro che il pirata erasi annegato o era caduto sotto il dente di qualche pesce-cane, si allontanava a tutta forza della sua macchina dirigendosi verso il nord, lasciandosi dietro una scia fosforescente, gorgogliante, in mezzo alla quale ondulava qualche cadavere.

      Sandokan, appena fu sicuro che la distanza e il fragor delle ruote soffocavano più che sufficientemente il rumor dell’onda tagliata dalle sue braccia, dopo di aver passato la cintola sulla ferita per arrestare l’emorragia e d’averla bene stretta, ricominciò a nuotare con tutte le forze che ancor rimanevano nel suo corpo impoverito di sangue. Egli non gemeva ad onta degli atroci dolori che soffriva ma si mordeva le labbra con una specie di furore, alternando fra una battuta e l’altra una bestemmia, un giuramento, comprimendo colle dita la cintola stretta sulle labbra della ferita dalle quali usciva un filo di sangue che si mesceva coi flutti d’inchiostro. Tutta la sua ira, tutta la sua vendetta era là, su quel piroscafo che dopo averlo battuto fuggiva, su quel piroscafo che lo aveva sconfitto per la prima volta in vita sua, su quell’incrociatore che scorrazzava quei mari non suoi, su quel fantasma potente quanto terribile che avea fatto mordere la polvere alla Tigre della Malesia.

      Lottando disperatamente fra le acque sfinito per la perdita del sangue, quell’uomo aveva dei momenti in cui sfuggendo la costa si metteva insensatamente a inseguire il piroscafo che a poco a poco impiccioliva scomparendo fra le tenebre, lo chiamava, bestemmiava, lo sfidava, alzando le mani raggrinzate, frementi, strette come attorno l’impugnatura di un’arma immaginaria, scagliandogli contro mille insulti, mille minacce. Oh! allora sì pareva dar ragione a quel nome di Tigre della Malesia, e come nella pugna digrignava i denti, gli occhi mandavano lampi, e lanciava quel sordo mugolio che lo rassomigliava alla tigre.

      Ma a poco a poco quei deliri, quella collera insensata sparvero, sfumarono, e il formidabile pirata richiamato alla realtà ripigliò il faticoso esercizio, cercando la costa avvolta fra fitte tenebre che non permettevano ancora di scorgerla rimandando in cuor suo quella vendetta, che per lui era la vita.

      Nuotò così parecchio tempo, soffermandosi tratto tratto per ripigliar fiato e per istrapparsi di dosso le vesti onde acquistare maggior libertà nelle mosse, poi cominciò sentirsi spossato. Rallentava le mosse, sentivasi irrigidire le estremità dei piedi e delle mani, e la ferita strappavagli lugubri gemiti. Pure non era uomo da cedere sì facilmente. Voleva vivere per potersi vendicare, per potere un giorno schiacciare alla sua volta il maledetto che lo aveva battuto. Con una mano raggrinzata sulla ferita, facendo sforzi sovrumani, continuò a tirar innanzi deciso a guadagnare le coste di Labuan.

      – È d’uopo che viva! – andava esclamando egli ferocemente fra una battuta e l’altra dei piedi. – Bisogna che io vendichi i miei prodi! Bisogna che ritorni io il padrone del mare. Dove sono queste maledette coste di Labuan? Ah! Perla, quanto mi sei costata! Eppur ti voglio vedere!

      Egli così parlando si animava, mordeva la spume, tendeva i pugni battendoli quasi con furore su quei flutti che egli diceva suoi, quasi volesse far comprendere a loro che egli era il padrone. Si arrestò per la ventesima volta affranto da quegli sforzi erculei, ansante, coll’occhio stravolto, cercando l’isola e coll’orecchio teso per accogliere il fragore della risacca che ne segnalasse la vicinanza.

      Si aggomitolò su sé stesso, gettando rauchi gemiti lasciandosi portare dal flusso che lo spingeva verso la costa. Le membra si irrigidivano per la perdita del sangue e per la spossatezza, il respiro diventava affannoso, gli occhi si velavano sotto ombre sanguinose e mille rumori gli risuonavano nelle orecchie, mille urli disperati, mille chiamate a cui parevano unirsi ruggir di bronzi e detonazioni di moschetti, che la febbre mille volte raddoppiava.

      Il pirata, che vedeva consumarsi quella energia sovrumana che lo sosteneva anche nei più terribili frangenti, rimase là immobile per cinque minuti semi-svenuto, delirante, porgendo orecchio a quelle credute grida che gli parevano dei compagni, poi rompendo quella immobilità che a poco a poco lo perdeva, stese le braccia irrigidite riprendendo, con quella potente volontà in lui abituale, il penoso cammino in mezzo a quei flutti sempre più neri e nella più profonda oscurità.

      Percorse ancora venti passi, poi avvenne fra lui e un oggetto non ancora definibile un urto. Credette in sulla prima di aver da fare con qualche pescecane, e si tuffò cercando fra le vesti lacerate il suo kriss dalla lama serpeggiante ancora infisso nella larga cintola e l’afferrò con moto convulso.

      – Ancora un nemico adunque! – pensò egli con collera concentrata. Ricomparve alla superficie; avvenne un nuovo urto, allungò le braccia e afferrò un rottame che galleggiava in balia dei flutti. Pareva fosse un pezzo di ponte, senza dubbio di uno dei due prahos, e che poteva offrire un valido aiuto alle esauste sue forze. Vi si aggrappò disperatamente uscendo a metà dalle acque e scoprendo la ferita dalla quale usciva ancora qualche goccia di sangue dalle labbra rigonfie.

      Per due ore, quell’uomo che non voleva morire, pericolosamente ferito, lottò contro il sonno e lo svenimento che lo assalivano, sempre a metà immerso, aggrappato al rottame che lo traeva insensibilmente alla costa. Furono due ore di patimento indescrivibile, due ore che parevano due secoli, poi cadde sfinito sul rottame lasciandosi trasportare dal flusso, credendo talvolta di udire il fragor della risacca o le grida di naviganti o lo sbatter di remi o i tuffi dei pesci-cani.

      Alle tre del mattino avvenne un cozzo che il fece tornare in sé. Tese le braccia, allungò le gambe raggrinzate ed irrigidite e gettò uno sguardo all’intorno mentre un fragore insolito rimuggiva attorno. Era a poche braccia dalla costa dove il flusso ve l’aveva tratto. Abbandonò il rottame e traballando come un ubbriaco sui banchi di sabbia, dopo di aver lottato venti volte colla risacca che lo rispingeva, guadagnò con mille stenti una riva bassa, sabbiosa, coronata di fitte foreste dove cadde affranto in mezzo alle alghe.

      CAPITOLO VI. Febbre e delirio

      La ferita poteva essere se non mortale certamente pericolosissima, chiedeva una pronta cura se non fosse stato altro per arrestarne l’emorragia che poteva compromettere la vita del pirata.

      Sandokan non lo ignorava, e appena poté riaversi un po’ dalla spossatezza, pensò subito a medicarsi, con tutte le misere risorse che gli offrivano le piante medicinali della foresta.

      Con sforzo supremo, aiutandosi colle mani e coi piedi, bestemmiando e gemendo egli si trascinò fino ai primi alberi e dopo di essersi appoggiato al tronco di un betel a poca distanza da un rivoletto d’acqua, esaminò a lungo l’orribile ferita.

      Aveva ricevuto una moschettata quasi a bruciapelo a segno che la carne portava ancora le tracce del fuoco; la palla era penetrata nel fianco sinistro al di sotto della quarta costola e dopo di essere sdrucciolata fra le ossa, era andata a perdersi nell’interno senza aver toccato, a quanto pareva, le parti vitali.

      A ogni modo se non era mortale, poteva diventarlo per mancanza di un pronto soccorso; Sandokan non l’ignorava, e ritrovando la sua potente energia anche in quei momenti supremi, dove le ore di vita potevano essere contate, si preparò a medicarsi con tutte le risorse che poteva disporre. Egli appressò le magre dita alla ferita le cui labbra erano gonfie pel continuo contatto dell’acqua marina, e non badando alle orribili sofferenze, l’aprì, l’esaminò con occhio pratico e la premè facendone uscire un rivoletto di sangue, dapprima leggermente tinto e poi di un bel rosso.

      – Bene – mormorò fra i denti. СКАЧАТЬ