La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari
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Название: La riconquista di Monpracem

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ a cambiar fronte.

      Le grida e le invettive erano cessate. Tutti gli spettatori, in piedi sui banchi, assistevano all’impressionante lotta, senza quasi più respirare.

      Il toro s’incolleriva.

      Batté parecchie volte i larghi zoccoli, come per provocare uno scatto da parte dell’avversario, poi non avendo ottenuto alcun effetto, caricò all’impazzata colla testa quasi rasente al suolo.

      La tigre, sorpresa nell’agguato, spiccò quattro o cinque salti, poi con una magnifica volata piombò fra le corna dell’avversario, mordendogli ferocemente la testa e strappandogli le spalle.

      Il povero animale che perdeva sangue in gran copia, era partito a galoppo furioso, tentando di schiacciare la belva contro le palizzate del recinto.

      Un nuvolone di polvere li aveva avvolti, togliendoli agli occhi degli spettatori, i quali apparivano in preda ad un entusiasmo veramente delirante.

      Compì due volte il giro dell’aloun-aloun, poi si arrestò bruscamente sotto il palco reale e con una scossa irresistibile scagliò in aria l’avversario.

      Un grande urlo di spavento si alzò fra gli spettatori.

      La tigre non era più ricaduta al suolo, ma si teneva fortemente aggrappata ai bambù che si piegavano verso il palco, minacciando di scagliarsi addosso ai grandi dignitari del sultanato.

      L’attacco pareva quasi certo, poiché la bestia maligna aveva già posate le zampe anteriori sul palco, quando Yanez d’un balzo si alzò e si gettò dinanzi al Sultano.

      Impugnava le sue magnifiche pistole indiane. Rintronarono quattro spari e la belva, fulminata dall’infallibile bersagliere, stramazzò nell’arena, mandando un urlo spaventevole.

      Il toro, vedendola cadere le si era scagliato prontamente sopra, piantandole nel petto le sue aguzze corna. La sollevò di peso e la trascinò fra la polvere sfondandole il petto.

      Il Sultano, che era diventato grigiastro per lo spavento, ossia pallido, si era voltato verso Yanez, il quale teneva ancora in mano le pistole fumanti.

      – Milord, – gli disse con voce tremante – voi mi avete salvata la vita.

      – Non mi dovete nulla, Altezza, perché ho salvata anche la mia – rispose il portoghese.

      – Che polso fermo avete!

      – Ah, ba’! A venti passi colle mie pistole posso spengere delle candele.

      – Dovete essere anche un gran tiratore di carabina.

      – Certo, Altezza. Volete una prova dell’abilità degl’inglesi? Fatemi portare qui due fucili dai vostri rajaputi e preparatevi a gettare in aria una rupia.

      – A quale scopo?

      – Per bucarla al volo. —

      Il Sultano fece segno ad uno dei suoi segretari, e pochi istanti dopo il portoghese si trovava in possesso di due bellissime carabine di fabbrica indiana, colle canne abbronzate ed il calcio pesantissimo perché laminato in ferro.

      – Quando volete, Altezza… – disse, dopo d’aver provato i grilletti.

      Il Sultano aveva tratto da una borsa a maglia d’oro una rupia e si era alzato in piedi per lanciarla più lontana che fosse stato possibile.

      Il disco argenteo brillò per qualche istante fra i raggi del sole, poi fu portato via e scaraventato all’opposta estremità del recinto.

      Yanez aveva fatto il suo primo colpo, ma aspettava l’occasione di farne un altro più strabiliante.

      Aveva lasciata cadere la carabina scarica ed aveva presa l’altra, puntandola verso il centro del recinto.

      Si udì un altro sparo ed il toro cadde sulle ginocchia, colla testa attraversata da una palla conica.

      Un gran grido d’entusiasmo si alzò fra gli spettatori, i quali non si aspettavano quell’aggiunta al programma.

      – Milord, fate paura – disse il Sultano. – Se tutti gl’inglesi tirano così, non sarò certamente io che impegnerò i miei rajaputi.

      – Cadrebbero falcidiati come spighe mature – rispose Yanez sorridendo.

      – Volete che continuiamo lo spettacolo?

      – Se può far piacere a Vostra Altezza, sia pure. —

      Ad un segnale di tromba, venti uomini armate di lance si erano avanzati nell’arena su una fila compatta, mentre dall’altra parte si scagliavano fuori dalla capanna un’altra tigre ed una superba pantera nera, dal pelame leggermente chiazzato con delle sfumature magnifiche.

      I due animali, appena liberi, si guardarono l’un l’altro come per chiedersi perché li avevano rimessi in libertà; poi la pantera, meno paziente della compagna ed anche più sanguinaria, si mise a strisciare verso gli uomini i quali aspettavano a piè fermo l’attacco, tenendo una linea di lance in direzione obliqua ed un’altra verticale.

      Abituati, come i lottatori indiani, a quegli spettacoli sanguinari, non manifestavano nessuna apprensione.

      Il Sultano d’altronde era là sempre, pronto ad incoraggiarli con un gesto.

      La tigre, vedendo la compagna muovere all’attacco, dopo una breve esitazione a sua volta si mise in moto, spiccando una serie di balzi altissimi, come per ben assicurarsi prima della elasticità dei muscoli.

      Un grand’urlo di gioia aveva accolto la decisione della fiera.

      Lo spettacolo doveva diventare estremamente interessante e anche pericoloso pei lanceri.

      Per qualche minuto la pantera s’avanzò a zig-zag, come se fosse indecisa sulla via da scegliere, poi si scagliò all’attacco con velocità fulminea, mandando un grido sordo.

      I lanceri avevano fatto un passo innanzi, mostrando le lunghissime ed aguzze punte delle loro armi.

      La belva, vedendo balenare dinanzi ai suoi occhi tutte quelle punte minacciose, tentò di arrestarsi, ma ormai era troppo tardi.

      I lanceri si erano a loro volta gettati innanzi e l’avevano ricevuta sulle estremità delle terribili aste, bucandola in diverse parti del corpo.

      Una pioggia di sangue fumante cadde su di loro, ma tennero fermo finché il corpo cessò di agitarsi.

      La tigre, vedendo l’accoglienza fatta alla sua compagna, quantunque spaventata da urli e da oltraggi d’ogni specie, aveva battuto in ritirata, scattando come se tutta l’arena fosse coperta di molle.

      Pezzi di banchi, bastoni, frutta, le piovevano addosso, ma senza deciderla.

      – È una paurosa, – disse il Sultano, volgendosi verso Yanez. – Volete mostrarmi uno dei vostri meravigliosi tiri, milord?

      – Se lo desiderate sarò ben contento di soddisfarvi ancora, Altezza, – rispose il portoghese.

      – Date un fucile a milord. —

      Un sergente dei rajaputi portò un paio di carabine.

      Yanez ne prese una, СКАЧАТЬ