La regina dei Caraibi. Emilio Salgari
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Название: La regina dei Caraibi

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ arrivare!» aveva esclamato uno di loro. «A bordo preparano le àncore!»

      «Fuggiamo!» gridarono gli altri. «Sono i corsari della Tortue.»

      I pescatori, senza aspettare altro, partirono di corsa, scomparendo in mezzo alle viuzze della piccola città o meglio della borgata, poichè in quell’epoca Puerto Limon era ancora meno popolata di quella d’oggidì. Il sergente ed i suoi soldati, dopo una breve esitazione, avevano seguito l’esempio, dirigendosi verso il fortino che si trovava all’opposta estremità della gettata, sulla cima di una rupe dominante la baia. A Puerto Limon si trovava una guarnigione di centocinquanta uomini, armati di due soli pezzi, era quindi impossibile impegnare una lotta contro quella nave che doveva possedere numerose e potenti artiglierie. Ai difensori della cittadella non rimaneva altra speranza che quella di rinchiudersi nel fortino e lasciarsi assediare.

      La nave intanto, malgrado la furia del vento e le ondate tremende che l’assalivano, era entrata audacemente nel porto ed aveva gettate le àncore a centocinquanta metri dalla gettata. Era uno splendido brik, di forme svelte, dalla carena strettissima, dall’alberatura molto alta, un vero legno da corsa. Dieci sabordi, dai quali uscivano le estremità di altrettanti pezzi d’artiglieria, s’aprivano ai suoi fianchi, cinque a babordo e cinque a tribordo e sul cassero si vedevano due grossi pezzi da caccia. Sul corno di poppa, ondeggiava una bandiera nera, con in mezzo un grande V dorato, sormontato da una corona gentilizia. Sul castello di prora, sulla tolda, sulle murate e sull’altissimo cassero, numerosi marinai si tenevano schierati, mentre a poppa alcuni artiglieri stavano puntando i due pezzi di caccia verso il fortino, pronti a scatenare contro le sue mura uragani di ferro.

      Imbrigliate le vele e gettate due altre àncore, una scialuppa venne calata in mare dalla parte di sottovento, dirigendosi subito verso la gettata: la montavano quindici uomini, armati di fucili, di pistole e di sciabole corte e larghe, molto usate dai filibustieri della Tortue.

      Nonostante l’urto incessante delle onde, la scialuppa, abilmente guidata dal suo timoniere, si gettò dietro ad un vecchio vascello spagnuolo che finiva di spezzarsi su di un banco di sabbia e che colla sua mole opponeva una buona barriera all’impeto dei flutti; poi, filando lungo alcune piccole scogliere, giunse felicemente sotto la gettata.

      Mentre alcuni filibustieri, puntando i remi, tenevano ferma la scialuppa, un uomo, salito sulla prora, con uno slancio straordinario, degno d’una tigre, era balzato sulla gettata. Quell’audace che osava, da solo, sbarcare in mezzo ad una città di duemila abitanti pronti a sollevarsi contro di lui ed a trattarlo come una bestia feroce, era un bell’uomo sui trentacinque anni, di statura piuttosto alta e dal portamento distinto, aristocratico.

      I suoi lineamenti erano belli, quantunque la sua pelle fosse d’un pallore cadaverico. Aveva la fronte spaziosa, solcata da una ruga che dava al suo volto un non so che di triste, un bel naso diritto, labbra piccole e rosse come il corallo e gli occhi nerissimi, d’un taglio perfetto e dal lampo fierissimo. Se il volto di quell’uomo aveva un non so che di triste e di funebre, anche il vestito non era più allegro: infatti era vestito di nero da capo a piedi, però con una eleganza piuttosto sconosciuta fra i ruvidi corsari della Tortue. La sua casacca era di seta nera, adorna di pizzi d’egual colore; i calzoni, la larga fascia sostenente la spada, gli stivali e perfino il cappello erano pure neri. Anche la grande piuma che gli scendeva fino sulle spalle era nera, e del pari lo erano le sue armi.

      Quello strano personaggio, appena a terra, si fermò guardando attentamente le case della cittaduzza, le cui finestre erano chiuse, poi si volse verso gli uomini rimasti nella scialuppa e disse:

      «Carmaux, Wan Stiller, Moko! Seguitemi!»

      Moko, un negro di statura gigantesca, un vero ercole, armato d’una scure e d’un paio di pistole, balzò a terra; dietro di lui scesero Carmaux e Wan Stiller due uomini bianchi, entrambi sulla quarantina, piuttosto tarchiati, colla pelle abbronzata, i lineamenti angolosi, duri, resi più arditi da folte barbe: erano armati di moschetti e di corte sciabole e vestiti di semplici camicie di lana ed in calzoni corti che mostravano gambe muscolose, coperte di cicatrici.

      «Eccoci, capitano,» disse il negro.

      «Seguitemi.»

      «E la scialuppa?»

      «Che ritorni a bordo.»

      «Scusate, capitano,» disse uno dei due marinai, «mi pare che non sia prudenza l’avventurarci in così pochi, nel cuore della città!»

      «Avresti paura, Carmaux?» chiese il capitano.

      «Per l’anima dei miei morti!» esclamò Carmaux. «Voi non potete supporre questo, signore. Parlavo per voi.»

      «Il Corsaro Nero non ha mai avuto paura, Carmaux.»

      Si volse verso la scialuppa, gridando agli uomini che la montavano:

      «Tornate a bordo! Direte a Morgan di tenersi sempre pronto a salpare.»

      Quando vide la scialuppa riprendere il largo, lottando contro le onde che si precipitavano, muggendo, attraverso la piccola baia, si volse verso i suoi tre compagni, dicendo:

      «Andiamo a trovare l’amministratore del duca.»

      «Mi permettete una parola, signor cavaliere?» chiese colui che abbiamo udito chiamare Carmaux.

      «Parla e spicciati.»

      «Noi non sappiamo dove abiti quell’eccellente amministratore, capitano.»

      «E che cosa importa? Lo cercheremo.»

      «Non vedo anima viva in questa borgata. Si direbbe che gli abitanti, scorgendo la nostra Folgore, siano stati presi dalla tremarella e abbiano lavorato di gambe.»

      «Ho veduto laggiù un fortino,» rispose il Corsaro Nero. «Se nessuno ci dirà dove potremo trovare l’amministratore, andremo a chiederlo alla guarnigione.»

      «Per le corna di Belzebù!… Andarlo a chiedere alla guarnigione? Non siamo che in quattro, signore.»

      «Ed i dodici cannoni della Folgore, non li conti? Andiamo innanzi a tutto a esplorare queste viuzze. «Non lo credo, capitano.»

      «Armate i moschetti e seguitemi.

      Mentre i suoi marinai ubbidivano, il Corsaro Nero doppiò il mantello nero che teneva su di un braccio, si calò il feltro sugli occhi, poi snudò, con un gesto risoluto, la spada che pendevagli al fianco, dicendo:

      «Avanti, uomini del mare! Io vi guido!

      La notte era calata e l’uragano, anzichè calmarsi, pareva che aumentasse. Il ventaccio s’ingolfava nelle strette viuzze della borgata con mille ululati, cacciando innanzi a sè nembi di polvere, mentre fra le nubi, nere come l’inchiostro, guizzavano lampi abbaglianti seguiti da tremendi scrosci.

      La cittadella pareva sempre deserta. Nessun lume brillava nelle vie e nemmeno attraverso le stuoie che coprivano le finestre.

      Anche le porte erano tutte chiuse e probabilmente sbarrate.

      La notizia che i terribili corsari della Tortue erano sbarcati doveva essersi sparsa fra gli abitanti e tutti si erano affrettati a rinchiudersi nelle proprie case.

      Il Corsaro Nero, dopo una breve esitazione, si cacciò in una via che pareva la più larga della città.

      Di quando in quando delle pietre, smosse dal vento, precipitavano nella via, sfracellandosi, e qualche camino, poco saldo, rovinava, ma i quattro uomini non se ne СКАЧАТЬ