Il re del mare. Emilio Salgari
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Название: Il re del mare

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ minuti dopo, la flottiglia, le cui scialuppe facevano per la maggior parte acqua, scompariva entro il fiume.

      – Se ne sono andati, – disse Yanez. – Speriamo che ci lascino tranquilli.

      – Ci aspetteranno nel fiume, signore, – disse Sambigliong.

      – E vi daranno nuovamente battaglia, – aggiunse Tangusa, che ai primi colpi di cannone era pure salito in coperta per prendere parte alla difesa, quantunque esausto di forze.

      – Lo credi? – chiese il portoghese.

      – Ne sono certo, signore.

      – Daremo loro un’altra lezione che leverà loro, e per sempre, la voglia d’importunarci. Troveremo acqua sufficiente per spingerci fino alle scale del kampong?

      – Il fiume è profondo per un tratto lunghissimo e purchè il vento sia favorevole non troverete difficoltà a salirlo.

      – Quanti uomini abbiamo perduto? – chiese Yanez a Kickatany, il malese che funzionava da medico a bordo.

      – Ve ne sono otto nell’infermeria, signore, fra cui due gravemente feriti e quattro morti.

      – Che il diavolo si porti quei maledetti selvaggi ed il loro pellegrino! – esclamò Yanez. – Orsù, così è la guerra, – aggiunse poi con un sospiro.

      Quindi volgendosi verso Sambigliong che pareva aspettasse qualche ordine:

      – La marea sta per raggiungere la sua massima altezza. Cerchiamo di trarci da questo maledetto banco.

      3. Sul Kabatuan

      L’acqua già da cinque ore continuava a montare nella baia e a poco a poco aveva coperto interamente il banco, su cui la Marianna si era incagliata.

      Era quindi quello il buon momento per cercare di liberarsi e la cosa non sembrava dovesse essere molto difficile, poichè i marinai avevano rimarcato un leggero spostamento della ruota di prua. Il veliero non galleggiava ancora; tuttavia nessuno disperava di riuscire a levarlo da quel cattivo passo, aiutandolo con qualche sforzo.

      Sbarazzata la coperta dei cadaveri che la ingombravano, essendo molti dayaki caduti sul castello di prora sotto le micidiali scariche delle spingarde ed a mezza nave, e, ricollocate nelle casse le pericolosissime palle d’acciaio, che avevano arrestato così bene l’attacco dei bellicosi isolani, i Tigrotti di Mompracem si misero alacremente all’opera sotto la direzione di Yanez e di Sambigliong.

      Furono gettati due ancorotti a sessanta passi dalla poppa, su un buon fondo e le gomene passate all’argano onde trarre indietro la nave ed aiutare l’azione della marea, poi le vele furono girate in modo che la spinta del vento avvenisse non più verso la prora.

      – All’argano, ragazzi! – gridò Yanez, quando tutto fu pronto. – Noi ci leveremo presto di qui.

      Già qualche scricchiolo si era udito sotto la ruota, segno evidente che l’acqua tendeva, aumentando sempre, a sollevare la carena.

      Dodici uomini si erano precipitati verso l’argano, mentre altrettanti si erano gettati sulle funi collegate ai due ancorotti, affinchè lo sforzo fosse maggiore, e, al comando del portoghese, i primi avevano cominciato a spingere energicamente le aspe.

      Avevano dato appena quattro o cinque giri all’argano, quando la Marianna scivolò, per modo di dire, sul banco su cui s’appoggiava, virando lentamente sul tribordo, per l’azione del vento che gonfiava fortemente le due immense vele.

      – Eccoci liberi! – aveva esclamato Yanez, con voce giuliva. – Forse sarebbe bastata la sola marea a trarci di qui. Che bella sorpresa pel pilota, quando si risveglierà. Salpate gli ancorotti, contrabbracciate le vele e avanti, diritti verso il fiume.

      – Lo imboccheremo senza attendere l’alba? – chiese Sambigliong.

      – È largo e profondo, mi ha detto Tangusa, e non è interrotto da banchi, – rispose Yanez. – Preferisco attraversare la foce ora e sorprendere i dayaki, che non s’aspettano di certo di vederci così presto.

      Con uno sforzo poderoso i marinai dell’argano avevano strappati dal fondo i due ancorotti, mentre i gabbieri avevano orientato rapidamente le due vele e i fiocchi del bompresso. Tangusa, che non aveva lasciata la tolda, si era messo alla barra del timone, essendo il solo che conoscesse la foce del Kabatuan.

      – Conducici solamente entro il fiume, mio bravo ragazzo, – gli aveva detto Yanez. – Poi penseremo noi a guidare la Marianna e tu andrai a riposarti.

      – Oh signore, non sono già un fanciullo, – aveva risposto il meticcio, – per aver bisogno d’un immediato riposo. Quel balsamo prodigioso, sparso sulle mie ferite da Kickatany, mi ha calmato i dolori.

      – Ah! – esclamò ad un tratto Yanez, mentre la Marianna, girato prudentemente il banco, s’avanzava verso il fiume, – tu non mi hai ancora narrato come sei caduto nelle mani dei dayaki e il perchè ti hanno martirizzato.

      – Non mi avevano lasciato il tempo, quei furfanti, di finire di raccontarvi la mia triste avventura, – rispose il meticcio forzandosi a sorridere.

      – Venivi dal kampong di Tremal-Naik, quando ti catturarono?

      – Sì, signor Yanez. Il mio padrone mi aveva incaricato di raggiungere le rive della baia per guidarvi sul fiume.

      – Era certo dunque che noi non avremmo indugiato ad accorrere in suo aiuto.

      – Non ne dubitava, signore.

      – Dove sei stato sorpreso?

      – Sulle isolette della foce.

      – Quando?

      – Due giorni or sono. Alcuni uomini che avevano lavorato nelle piantagioni del kampong mi avevano subito riconosciuto, sicchè assalirono senza indugio il mio canotto e mi fecero prigioniero. Dovevano essersi immaginati che Tremal-Naik mi aveva mandato alla costa per attendere qualche soccorso, perchè mi sottoposero ad un lungo interrogatorio, minacciando di accopparmi se non rivelavo loro lo scopo della mia gita. Siccome rifiutavo ostinatamente di rispondere, quei miserabili mi gettarono in una buca che era prossima ad un formicaio, mi legarono per bene, poi mi fecero sul corpo alcune incisioni onde il sangue uscisse.

      – Briganti!

      – Voi sapete, signor Yanez, quanto sono avide di carne le formiche bianche. Attirate dall’odore del sangue non tardarono ad accorrere a battaglioni e cominciarono a divorarmi, vivo, pezzetto a pezzetto.

      – Un supplizio degno di selvaggi.

      – E che durò un buon quarto d’ora facendomi provare tormenti spaventevoli. Fortunatamente quegli insetti si erano gettati anche sulle corde che mi legavano le braccia e le gambe e non tardarono a rosicchiare anche quelle, essendo state spalmate d’olio di cocco onde, disseccandosi, mi stringessero vieppiù.

      – E tu, appena libero, scappasti? – disse Yanez.

      – Ve lo potete immaginare, – rispose il meticcio. – Essendosi i dayaki allontanati, mi gettai nella vicina foresta, raggiunsi il fiume e avendo trovato sulla riva un canotto munito d’una vela, presi senza indugio il largo, avendo già scorto in lontananza il vostro veliero.

      – Sei stato però ben vendicato!

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