Capitan Tempesta. Emilio Salgari
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Название: Capitan Tempesta

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ era cessato da una parte e dall’altra. Nel campo nemico si udivano le voci dei muezzin a recitare la preghiera mattutina, che terminava sempre con una incitazione a sterminare i giaurri, ossia i cani cristiani; sugli spalti di Famagosta i veneziani facevano colazione con un po’ d’olive e qualche pezzo di pane quasi immangiabile, poichè le provviste erano diventate ormai così scarse, ed i poveri abitanti, per non morire di fame, si vedevano costretti a cibarsi di erbe cotte e di cuoio bollito.

      La preghiera dei muezzin era appena terminata, quando si vide un cavaliere turco lasciare il campo e spingersi al galoppo verso le mura di Famagosta e più precisamente verso il bastione di San Marco, seguito da un soldato che reggeva un’asta portante, al di sotto della mezzaluna e della coda di cavallo, un fazzoletto di seta bianca.

      Era un bel giovane di ventiquattro o venticinque anni, dalla pelle bianca, i baffi neri, lo sguardo vivo e ardente, e vestito superbamente. Attorno al cimiero aveva una pezzuola di seta rossa, arrotolata come in forma di turbante e sulla cima una lunga penna di struzzo bianca; il petto l’aveva racchiuso in una corazza lucentissima arabescata ed argentata, ai polsi portava bracciali d’acciaio e sulle spalle un lungo mantello bianco infioccato, con una larga striscia azzurra all’estremità inferiore.

      I calzoni, pure di seta, erano invece ampi, alla turca e calzava stivaletti di marocchino che sparivano quasi tutti entro le larghe staffe di acciaio brunito.

      Teneva in pugno una scimitarra e nella fascia che gli stringeva le reni portava un jatagan leggero, colla lama lievemente curva.

      Quando giunse a trecento passi dal bastione, fece segno al suo scudiero di piantare in terra l’asta come per segnalare agli assediati che si presentava sotto la protezione della bandiera bianca e dopo d’aver fatto caracollare per qualche minuto, con maestria impareggiabile, il suo magnifico cavallo arabo, tutto bianco, con una criniera lunghissima adorna di nastri e di fiocchi, gridò con voce maschia:

      – Muley-el-Kadel, figlio del pascià di Damasco, sfida per la terza volta i capitani cristiani, ad armi bianche. Se non accettano ancora io li tratterò da vili sciacalli, indegni di combattere contro i forti guerrieri della Mezzaluna.

      Vengano dunque a misurarsi, uno alla volta, se hanno nelle vene del vero sangue.

      Muley-el-Kadel aspetta.

      Il capitano Laczinki, che finalmente si era accomodata la corazza, si fece innanzi, salì sull’orlo del bastione e con un vocione che parve il muggito di un toro rispose, sguainando nel medesimo tempo, con un gesto tragico il suo spadone:

      – Muley-el-Kadel non tornerà a sfidare i capitani cristiani, perchè fra cinque minuti io lo inchioderò sul suo cavallo come una scimmia. Siamo in due che abbiamo giurato di farti la pelle, cane d’un miscredente.

      – Che vengano,– rispose il turco, continuando a far caracollare il suo bianco cavallo, come per dimostrare quale abile cavaliere egli fosse, – e si misurino con me uno alla volta.

      – Siamo pronti tuonò il polacco.

      Poi, volgendosi verso Capitan Tempesta, che stava per salire sul proprio destriero, gli disse con una certa ironia che non isfuggì alla giovine duchessa:

      – È vero che noi lo uccideremo?

      – Sì, – rispose freddamente la capitana.

      – Giuochiamo prima a chi tocca affrontare quel mascalzone.

      – Come volete, capitano.

      – Ho ancora uno zecchino in tasca: testa o croce?

      – Scegliete voi.

      – Preferisco la testa: sarà un buon augurio per me, pessimo pel turco. A chi toccherà la croce sarà colui che si misurerà con quel cane.

      – Gettate.

      Il polacco lanciò in aria lo zecchino e mandò una bestemmia.

      – Croce, – disse – giuocate voi.

      Capitan Tempesta prese la moneta ed a sua volta la lanciò.

      – Testa disse colla sua solita voce fredda. – Tocca a voi, capitano, affrontare pel primo il figlio del pascià di Damasco.

      – Lo infilerò come un gufo rispose il polacco, – Se io sbaglierò, spero che voi mi vendicherete per l’onore dei capitani di Famagosta e della cristianità, quantunque dubiti assai del vostro coraggio e del vostro braccio.

      – Ah! Davvero? esclamò Capitan Tempesta, con accento beffardo.

      – Non mi fido che della mia spada.

      – Ed io della mia: andiamo.

      Il polacco montò sul suo cavallo, la saracinesca del bastione fu alzata per ordine del comandante degli artiglieri, ed i due valorosi uscirono, galoppando per la pianura.

      Tutti i difensori di Famagosta e anche gli abitanti, già avvertiti che due capitani cristiani avevano deciso di raccogliere la sfida del turco, si erano affollati sulle diroccate mura, ansiosi di assistere a quel tragico duello.

      Le donne pregavano a mezza voce, invocando dalla Madonna la vittoria per i due campioni cristiani, mentre i guerrieri veneziani e schiavoni alzavano i loro elmetti ed i loro morioni di ferro sulle punte delle spade e delle alabarde, gridando a piena voce:

      – Datele al turco!

      – Mostrate all’infedele il valore delle spade dei capitani veneti!

      – Infilzate quel prepotente!

      – Viva Capitan Tempesta!

      – Viva il capitano Laczinki!

      – Portateci la testa dell’infedele! Viva Venezia! Viva i figli della Repubblica!

      La giovane duchessa e il polacco cavalcavano l’uno presso l’altro, muovendo verso il figlio del pascià di Damasco, che li aspettava a pié fermo, provando il filo della sua scimitarra.

      La prima serbava un sangue freddo ed una calma assolutamente meravigliosa in una donna. Il capitano di ventura, invece, malgrado le sue rodomontate, pareva più inquieto che mai e sagrava contro il cavallo che non gli pareva troppo ben bardato, nonostante le cure minuziose del signor Perpignano, nè sufficientemente scaldato con della biada per cimentarsi in un simile combattimento.

      – Sono sicuro che questo stupido animale mi giuocherà qualche brutto tiro, nel momento in cui infilerò il turco come un gufo. Che cosa ne dite, Capitan Tempesta?

      – Che mi sembra che il vostro cavallo si comporti come un vero destriero di battaglia rispose la giovine.

      – Voi non ve ne intendete di cavalli; non siete un polacco.

      – Può darsi rispose asciuttamente la duchessa. – Io m’intendo meglio di colpi di spada.

      – Uhm! Se io non vi sbarazzassi di quella testa di legno, non so come ve la cavereste. Tuttavia farò il possibile per mandarlo all’altro mondo, per salvare, insieme alla vostra, la mia pelle, tenendoci a conservarmela il più che mi sarà possibile.

      – Ah! fece semplicemente la duchessa.

      – Se però mi ferirà solamente…

      – Allora?…

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