Название: Poesie scelte
Автор: Giovanni Prati
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
isbn:
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Non le guarda una croce: eppur custodi
Stanno colà d’una progenie estinta.
Eternamente le percote il vento,
Eternamente le flagella il mare,
A ricordar che su quel cener pesa
La sentenza di Dio. Ma l’uom superbo
Guai se calpesta quelle pietre e ride.
Dopo l’ora mortal non ha la creta
Verità di giudizio; e agonizzante
Cristo pregò dalla sua croce a tutti
Il perdono del Padre!
Inculte rose,
Pochi e pallidi gigli erano intorno
A quei nudi sepolcri.
Oh dilicata
E arguta e forte cortesia di donna!
Edmenegarda il piè dei fanciulletti
Rimovea da quei fior seco pensando:
«I figli miei non vi torranno, o meste
Urne, l’unica gioia, onde si mostra
Liberale alle stanche ossa la terra!»
E sospirò come chi pensi al prezzo
D’una cara pietà nei faticosi
Dí del dolore.
Un suo bimbo, seguendo
Con trepido desío per quella costa
Il vol d’una solinga farfalletta,
In una zolla incespicò.
Vi narro
Comuni istorie: ma son questi i lievi
Stami che annodan l’avvenir.
Sorgiunse
Tempestiva la madre e il vispolino
Trepidando garrì. Ma in quelle strette
Paurose dell’anima, non vide
Che disciolto da’ polsi un vezzo d’oro
Nelle morbide zolle era caduto.
Con certo vago non curar dipinta
Su vi splendea l’immagine d’Arrigo,
Bruno, superbo, dispettoso e bello.
Giorno e notte compagno ella si tenne
Quel diletto ornamento! ed or tra l’erbe
Miste d’un giglio egli smarrito giace
Presso l’avel di giovinetta ebrea,
Morta d’amore. Ricomposti alquanto
I conturbati spiriti, s’accorse
Edmenegarda della rea ventura,
E ne tremò come di lungo affetto
Che improvviso si rompa. E il suo fanciullo
Riguardò corrucciata.
– «Oh tu perdesti,
Mamma, il tuo vezzo!»
«E tu cagion ne sei.»
«Si, veramente» (con voce di pianto
Proruppe il bimbo).
«Non turbarti, o caro:
Il troverem. Ma voi vi trastullate
Là su quell’erbe. Cercherollo io sola.
Il buon Iddio già non vorrà che io peni
Più lungamente». —
Spensierati al gioco
Obliarono tutto i due bambini.
Edmenegarda con rotti sospiri
E tormentosa avidità cercava.
Avrìa gemuto ogni più scabro petto
A contemplar quella dolce persona
Di qua, di là gittarsi incertamente,
Curva, carponi, e con le mani bianche
Frugando in mezzo all’erbe e per le spine,
E tra il vel delle lagrime le ardenti
Pupille sulla terra affaticando.
Non lontano da lei terribilmente
Batteva un core a rimirar quegli atti.
«Eccola! E indarno, indarno sempre il sogno
Della mia vita io seguirò! Né un guardo,
Né un sol guardo di lei questa profonda
Febbre, che m’arde, acqueterà! Che spero?…
Vedi iniqua fortuna? Ella ha smarrito
Qualche sua dolce cosa, e gli affannati
Occhi volge alla terra. Oggi soltanto
Le son sì presso… e non mi vede! Oh sia
Maledetta la cosa che a sè tira
Le ostinate pupille e inganna il lungo
Mio desiderio! Mordere le possa
I bei diti una serpe, onde sollevi,
Almen gemendo, quell’amato capo!
Una volta, una volta ella mi veda
Così scarnato e misero per lei!»
In queste voci di dolor proruppe
Il giovine Leoni.
Era di casa
Patrizia nato. Tra follie consunse
L’età ridente. Nelle bische, ai balli
Splendea su tutti e beffeggiava il casto
Sospir dei fidi o non felici amanti.
Ma nel viso gentil d’Edmenegarda
Un dì scontrossi e ne tremò. Del suo
Turbamento si rise, e non pertanto
Anelò rivederla: e una cocente
Torbida fiamma al fatuo cor s’accese.
Da quell’ora solingo egli passeggia;
Non più lieti convegni, orgie notturne,
Riso e feste d’amici. Arde il leggiero
Schernitor degli affetti; arde. La cerca,
La perseguita ovunque, e se per caso
Un lampo de’ suoi belli occhi rapisce,
Gela ed avvampa di convulsa ebbrezza.
A lui la notte, in pria fredda e deserta,
Or tutta è un sogno del celeste viso,
E il giorno un’acre voluttà superba
Di ricomporlo nell’ardente idea.
E come in quell’istante ogni movenza
D’Edmenegarda, e le fuggenti trecce,
E il fluttüar degli scomposti veli
Ei divorava!
– «Quanta cura!… Or dunque
Smarrito ha il paradiso?»
E anch’ei si pose
Sdegnosamente a ricercar. Né appena
L’orme e gli occhi per caso avea sospinti
Presso l’avel della fanciulla ebrea,
Che sotto al gioco dell’obliqua luce
Un lampo uscì dalle non peste zolle,
Il vezzo è già nella sua man. Vi scôrse
Le sembianze d’Arrigo. A Edmenegarda
Volò.
– «Guardate!… Io lo trovai!… Guardate
Aman tutti, – ed io solo, io senza amore
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