Eva. Giovanni Verga
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Название: Eva

Автор: Giovanni Verga

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ a faccia a faccia, l’arte; e in fondo a tutto questo, un amaro rammarico di trovarmi in quel meschino posto di platea e senza guanti. Poi tutta quella visione scomparve in un lampo di luce e in un’onda di musica. Tutto tornò buio. Rimasi ancora sognando, con quei suoni negli orecchi e quelle larve davanti agli occhi. Mi alzai quando gli altri si alzavano; uscii barcollando, urtando nel vestibolo tante belle signore, e calpestando tante code, rischiando venti volte di gettarmi sotto i piedi dei cavalli in istrada. Quella notte non potei dormire; mi sentivo come se avessi tutti i nervi agitati; avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo delle mie impressioni, e giacché mi parve che il pennello non avrebbe potuto esprimerle tutte, mi misi a scrivere… un vero delirio, un sogno da febbricitante, però senza pretese, e senza altro scopo che quello di accenderne il fuoco quando avrei avuto freddo.

      Ahimè! la stagione era mite; il caldo del cuore durava ancora troppo per lasciar sentire il freddo alle membra, – ecco perché quello scritto che non raggiunse il suo scopo di comunicare la fiamma alle fascine del caminetto arse il mio cuore e consunse la mia vita.

      Un mio amico, appendicista molto conosciuto, veniva spesso a trovarmi – eravamo giovani, artisti, entusiasti, matti del pari – Si fumava spesso la pipa insieme e digerivamo la gloria di là da venire. Il mio cuore, o piuttosto la mia immaginazione, aveva bisogno di espandersi. Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle leggere il mio scritto e lo trovò bello. «Dammelo,» mi disse «voglio farti amare da quella donna.»

      «Eh?!» risposi come sbalordito da quell’enormità.

      «Che ci trovi d’impossibile? La donna è così vana! E la ballerina ha tanto bisogno di simili entusiasmi che le facciano la reclame e si comunichino agli altri!»

      «Oh! amarmi! Lei… amar me!… Sei matto!»

      «Chi lo sa! E poi mi renderai un servigio; mi risparmierai buona parte dell’appendice teatrale che dovrei scrivere. Il tuo articolo è proprio bello; me ne farò onore.»

      E lo portò via infatti, e la sera dopo trovai in camera il giornale ed una letterina del mio amico.

      « Non te l’avevo detto? « mi scriveva, « il tuo articolo ha fatto furore. Eva desidera conoscerti. Stasera trovati in teatro, ti presenterò. «

      Provai come una fitta al cuore. Presentarmi a lei!… io!… così fatto!… a quella bellezza circondata da tante seduzioni, da tanti splendori, che non aveva nulla di terreno!… proprio io!…E in me successe una lotta di mille pensieri diversi, e l’intima soddisfazione ch’ella avesse letto il mio articolo, avesse scorto una parte del mio cuore, e ne fosse lieta… e la ripugnanza di svelare al pubblico e a lei stessa il segreto delle mie impressioni, e il timore che esse fossero giudicate ridicole… Se ella mi trovasse ridicolo?…

      Non ebbi neanche un istante il coraggio di pensare ad accettare quell’invito. Eppure ero felice, tutto solo nella mia cameretta, fantasticando cogli occhi fissi sulla fiamma del caminetto.

      A un tratto fu suonato il campanello con violenza. Io mi scossi bruscamente. Udii nell’andito la voce di Giorgio. «E così,» mi disse entrando, «che cosa fai? Non hai ricevuto il mio biglietto?»

      «Si, ma…»

      «O dunque?»

      «Ma non verrò… Non posso venire…»

      «Eh! che diavolo! Ora che ho promesso di presentarti! Che figura mi fai fare?»

      «Ma capisci…»

      «Capisco che sei di una timidità ridicola.»

      Così la paura di un ridicolo scacciò l’altra, e mi lasciai condurre. Alle porte del teatro sentii rinascere più vive che mai le ultime esitazioni, e le misi fuori risolutamente. Egli le respinse senza ammettere replica e mi prese pel braccio. Infilammo alcuni corridoi poco illuminati, e ci trovammo quasi improvvisamente in mezzo ad un caos di ordegni, di assi, di tele dipinte, di scale; tutto polveroso, unto, sudicio, dove stavano a chiacchierare alcuni macchinisti in maniche di camicia, e un pompiere faceva la corte ad una figurante lercia, seduta a cavalcioni su di una seggiola zoppa. – Era il rovescio di quel paradiso di tele dipinte e di fiori di carta. Di fuori risuonavano applausi fragorosi che soverchiavano la musica da ballo. Tutt’a un tratto, dalle quinte, entrò correndo un leggiadro folletto, tutto involto in una nube di veli, e rialzando la gonnellina appoggiò il piede su di uno sgabello per allacciare meglio uno degli scarpini.

      «È lei,» mi disse Giorgio; «vieni.»

      Essa levò il capo, ancora tutta rossa e anelante. Ci vide e ci sorrise. – ahimè! un sorriso stanco, distratto, reso sgarbato dalla respirazione accelerata. I capelli le cadevano sul petto senz’arte; alcune stille di sudore rigavano il suo belletto; le sue candide braccia, vedute così da vicino, avevano certe macchie rossastre, e nello stringere i legaccioli vi si rivelavano i muscoli che ne alteravano la delicata morbidezza; le scapule si ravvicinavano sgarbatamente, fin la suola del suo scarpino era insudiciata dalla polvere del palcoscenico. Ti parlo da pittore; ma anche da pittore ne avevo ricevuto la prima impressione. Era la silfide dietro la scena, nel suo momento di prosa, in cui non ha bisogno di essere bella, e non si cura di esserlo. Ora è impossibile esprimerti l’effetto che tutto ciò doveva fare sulla squisita e mobilissima sensibilità mia. La farfalla tornava bruco, ed io ne risentivo un dispetto ed una amarezza indicibili.

      «Ah, il signore!…» diss’ella sorridendo fra un nodo l’altro. «Le sono molto riconoscente del suo articolo.»

      E siccome io non rispondevo, il mio amico stimò conveniente dire qualcosa per conto mio. Ella si rizzò, tutta rossa, ancora anelante, ed aggiustando i suoi capelli e le pieghe del suo gonnellino, mi affissava coi suoi grand’occhi – erano tutt’altri occhi che quelli lampeggianti ebbrezze e seduzioni mentite che avevano sconvolto la mia ragione; ma ci era un’aria d’insistente e quasi ingenua curiosità ch’era stranissima.

      «Rientro in iscena,» disse vivamente e stendendoci le due mani nello stesso tempo. «Mi rincresce non potermi fermare più a lungo. Ma spero che il signore vorrà farmi il piacere di venirmi a trovare…»

      Ci sorrise e con la vivacità piena di grazia spinse all’indietro colle due mani quel fiocco di velo che formava il suo gonnellino; riprese come una maschera il suo sorriso e disparve.

      Rimanevo tristamente là dov’erano svanite le mie illusioni.

      «Che te ne sembra?» domandò Giorgio.

      «In fede mia… non valeva proprio la pena di venir qui a sciupare i bei frutti delle mie tre lire!»

      «Che bel matto! Avresti voluto essere accolto con una piroetta? E credi forse che la prima ballerina della Pergola non debba far altro che sorrisi convenzionali e gesti aggraziati? Puoi essere ben contento, giacché ti ha invitato ad andarla a trovare…»

      «Oh, grazie!»

      «Saresti capace di non andarci!»

      «Tanto capace che non ci andrò.»

      «Eh, via! cotesto si chiama viver nelle nuvole!…»

      «Lasciami pure le mie nuvole così belle, perché tutto il resto è così brutto!»

      «Amen!» rispose Giorgio in tono derisorio. «Non te le invidierò, di certo!»

      «Anzi,» avevo detto a Giorgio un altro giorno, «voglio tornare a vederla, cotesta sirena che abbaglia la ragione collo scintillare delle sue pagliuzze dorate, e che irrita i sensi colle sue vesti vaporose, che mette la febbre nel sangue, e fa scrivere appendici СКАЧАТЬ