Le Straordinarie Avventure Di Joshua Russell E Del Suo Amico Robot. Antonio Tomarchio
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Le Straordinarie Avventure Di Joshua Russell E Del Suo Amico Robot - Antonio Tomarchio страница 4

СКАЧАТЬ Aspettarono insieme l’arrivo dei genitori di Joshua, definendo nel frattempo alcuni dettagli e seppellendo il corpo del piccolo alieno nel terreno vicino al capanno per evitare che potesse essere trovato da qualcuno. Lucas era riuscito a strappargli la promessa che, se ce ne fosse stata la possibilità, avrebbe procurato anche a lui un robot alieno.

       Quando il padre del piccolo genio giunse al capanno per cercare suo figlio, i ragazzi gli raccontarono la storia che avevano inventato. Il genitore non ebbe difficoltà a credergli, anzi ringraziò Lucas per il pensiero gentile e gli chiese di ringraziare anche suo padre che aveva acconsentito al prestito. Sembrava contento per suo figlio che dopo tante umiliazioni aveva finalmente un buon robot per il torneo.

       Joshua ordinò mentalmente a Raptor di mettersi in modalità riposo e uscì dal capanno insieme al padre e all’amico, si salutarono e ognuno si diresse verso la propria abitazione. Giunto in casa raccontò anche alla madre la storiella del prestito. La donna, che era più smaliziata del marito, era perplessa e cominciò a fare un sacco di domande. Voleva sapere per quale motivo la famiglia di Lucas avesse acconsentito al prestito, considerando che la possibilità della distruzione del robot non era per niente remota. Il ragazzo spiegò che il giocattolo del suo amico era fortissimo e che mai sarebbe stato distrutto e se malauguratamente ciò fosse accaduto, lo avrebbe ripagato lui con i suoi soldi.

       I genitori che erano stati dei poveri operai e che dovevano al proprio figlio l’improvvisa ricchezza, di fronte a quelle parole si ammutolirono riconoscendo che Joshua non era uno sprovveduto, ma aveva dato sempre dimostrazione di avere la testa ben piantata sulle spalle nonostante la giovane età.

       Cenarono e andarono a letto. Joshua non riusciva a prendere sonno, continuava a ripensare a ciò che era accaduto, alla responsabilità che si era preso nel non avvertire le autorità. Pensava alle conseguenze anche penali che il suo gesto comportava e a cosa poteva accadere se fosse stato scoperto, ma era troppo tardi per tornare indietro e soprattutto non voleva rinunciare al senso di potere che il suo nuovo robot gli trasmetteva.

       Provò a mettersi in contatto con lui, sentiva che la connessione era ancora attiva nonostante la distanza.

       <<Raptor, stai dormendo?>> domandò.

       Subito la voce cavernosa del robot risuonò dentro la sua testa.

       <<No, comandante, io non dormo mai.>>

       <<Quanti ce ne sono come te sulla terra?>>

       <<Io sono il primo, ma ben presto ce ne saranno altri.>>

       <<Da dove venite?>>

       <<Io sono stato costruito sulla terra.>>

       <<Chi sono quegli esseri simili a lucertole che ti hanno costruito?>>

       <<Non lo so Comandante, tutte le informazioni su di loro sono state cancellate al momento della disconnessione.>>

       <<Come ci si disconnette?>>

       <<Solo la morte del comandante può consentire la disconnessione o un’eccessiva distanza tra le nostre menti.>>

       <<Qual è la distanza massima?>>

       <<Con il comandante precedente la connessione non era buona, la sua mente non gli consentiva di allontanarsi oltre i venti centimetri.>>

       <<Per questo l’alieno era costretto a stare dentro il robot, non poteva pilotarlo da più distante a causa della poca potenza delle sue onde celebrali>>, pensò il ragazzo.

       <<Tra di noi qual è la distanza massima?>> domandò, sempre più incuriosito.

       <<La tua capacità telepatica è enorme, le tue onde celebrali sono fortissime, la connessione è eccellente, posso stimare oltre il centinaio di chilometri circa.>>

       <<Tu mi sei fedele, o sei ancora legato ai tuoi costruttori?>>

       <<La mia mente è un’estensione della tua, io non esisto senza connessione, tu sei il comandante, i tuoi nemici sono anche i miei.>>

       <<Grazie Raptor, adesso proverò a dormire. Buonanotte.>>

       Avrebbe voluto continuare a fare domande, ma si rese conto che aveva tutto il tempo a disposizione per chiarire ogni dubbio, mentre la necessità di elaborare le informazioni ricevute era più impellente.

       Continuò a riflettere sulle risposte ricevute dal robot. Lui era il primo ma ce ne sarebbero stati altri, ne dedusse che li stavano ancora costruendo. Era stato fabbricato sulla terra, quindi gli alieni dovevano avere una base sul nostro pianeta in cui potevano costruire dei robot.

       Pensò che, in effetti, per trasportare degli automi così grandi avrebbero avuto bisogno di astronavi enormi, facilmente individuabili dai radar militari, mentre per le loro dimensioni, gli alieni potevano scendere sulla Terra in piccolissime navicelle passando inosservati. Potevano essere arrivati sul nostro pianeta da parecchi anni senza essere mai stati visti da nessuno. C’erano luoghi inesplorati in cui potevano rifugiarsi e vivere senza mai entrare in contatto con l’essere umano.

       <<Allora perché costruire i robot? Quali sono le loro intenzioni? Di sicuro non sono buone>>, pensò.

       <<Costruiscono i robot per affrontare gli umani, altrimenti la lotta sarebbe ìmpari. Forse non si accontentano più di essere degli ospiti, vogliono dominare il pianeta, eliminare il principale concorrente per il cibo. Io rappresento quindi una minaccia per loro, sono l’unico che sa della loro esistenza e solo con la mia morte potrebbero riprendersi il robot.>>

       Nonostante tutti questi pensieri e un filo di paura per l’incertezza sul proprio destino, alla fine cadde stremato in un sonno profondo.

       L’indomani si svegliò di buon’ora e corse subito dal suo nuovo amico per giocare con lui. Sapevano fare le stesse cose, lo sfidò nella pallacanestro, nel football, ma purtroppo non c’era nessuna possibilità di batterlo, conosceva lo sport come il suo comandante ma aveva doti fisiche immensamente superiori. Lo sfidò quindi a una partita di scacchi e dopo diversi pareggi riuscì a vincere.

       Trascorsero così diversi giorni, l’amicizia tra i due cresceva e si rafforzava. Il ragazzo si affezionava sempre di più al robot e Raptor ricambiava sentendosi sempre più legato al suo nuovo comandante. Joshua si dimenticò degli alieni, smise di preoccuparsi del pericolo per la sua vita e soprattutto smise di chiedersi come mai non si fossero ancora fatti vivi.

       Venne il giorno del torneo. Joshua calzò i controller per fingere che il robot fosse telecomandato e con la mente gli ordinò di salire sull’auto del padre. Lucas non era potuto venire perché era ancora impegnato con la scuola, ma promise che appena fosse stato possibile l’avrebbe raggiunto.

       Furono accompagnati fin davanti all’ingresso del palazzetto. Joshua consegnò al personale addetto l’iscrizione ai giochi e un documento di riconoscimento, gli fu quindi consegnato il badge per potersi muovere liberamente. Il ragazzo notò subito alcuni robot avversari, alcuni erano davvero impresentabili, altri invece erano molto belli.

       Negli anni precedenti il successo nella competizione era stato sempre appannaggio dei soliti robot. Quello giapponese ne aveva vinte più edizioni di tutti, ma anche i cinesi, i tedeschi, gli italiani, i canadesi, i russi e gli inglesi non avevano sfigurato, finendo sempre tra i primi dieci.

СКАЧАТЬ