La Macchina Per Scrivere. Andrea Lepri
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Название: La Macchina Per Scrivere

Автор: Andrea Lepri

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Эзотерика

Серия:

isbn: 9788873042815

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СКАЧАТЬ ancora intensa del sole morente, guarda avanti sé. Stagliata contro la palla rossa, la scala del camion dei Vigili del Fuoco è salita in alto. Adesso sta calando dritta verso di lui, senza fretta, scotendo le fronde dei pini. Per un attimo Franco la trova invitante, gli viene da pensare che forse sta sbagliando tutto. Si dice che magari sarebbe sufficiente che si lasci aiutare e che aspetti l’arrivo di sua moglie. Magari i mostri che ha nella testa scompariranno, improvvisamente come sono venuti, e lui potrebbe riabbracciare i suoi figli. Non li vede da appena pochi giorni ma gli mancavano già terribilmente. L’uomo sulla scala indossa una tuta di colore arancione bordata di strisce fluorescenti, è ancora lontano ma sta già tendendo un braccio verso di lui. Franco scuote la testa, deciso, si sente come avvolto in un invisibile bozzolo di ovatta grigia che lo tiene separato dal resto del Mondo e gli impedisce di vedere chiaramente le cose.

      «Vattene, lasciami in pace! Andatevene tutti, ormai è tardi!» grida sbracciandosi, si sbilancia e scivola in avanti. Un capogiro lo fa sporgere eccessivamente, ma un attimo prima di precipitare nel vuoto riesce ad agguantarsi alla ringhiera, rimanendo sospeso nel vuoto, mentre i fogli che ha appena letto vengono portati via da un vento leggero.

      «Stai calmo!» gli urla l’uomo sulla scala dopo aver ringraziato il Cielo, lo aveva già visto schiantarsi al suolo. «Tieniti forte e non agitarti, tra un momento sarò lì!»

      Un mormorio trepidante si leva dalla strada per salire fino a lui, per un attimo Franco prova la tentazione di lasciarsi andare per cadere addosso a quei maledetti curiosi e spiaccicarne più che può. Ormai sono radunati lì sotto da un pezzo, immobili, attendono come avvoltoi che lui si schianti al suolo oppure che il pompiere lo salvi, per poi applaudire come tanti idioti al circo. Franco li invidia, sa che comunque andranno le cose, per loro ogni soluzione sarà buona. In ogni casa, tornando a casa avranno qualcosa da raccontare e un video da mostrare sullo smartphone. Guardando di sottecchi verso il salone vede la macchina per scrivere, appoggiata sul tavolo. Bella. Immobile. Lucida. E’ maledetta si dice per l’ennesima volta, poi comincia a ricordare.

CAPITOLO II

      L’INCIDENTE AL LAVORO

      Fine Luglio. Faceva caldo, nel cantiere. Troppo. Gocce scintillanti di sudore si riunivano in rivoli per scendere lungo i dorsi bronzei degli operai, e sulle loro fronti. Da lì scivolavano negli occhi, e bruciavano, e confondevano la vista. Era da poco terminata la pausa pranzo, un panino e una birra consumati all’ombra dei tubi prefabbricati di cemento che trasmettevano un tenue e illusorio senso di freschezza. L’aria era immobile, nonostante ci fossero ovunque uomini indaffarati, il saltuario crepitare del martello pneumatico rompeva un silenzio quasi innaturale. Franco Amore era il consulente tecnico di una azienda che installava infissi e la sua vita scorreva sui binari della tranquillità, senza troppe salite né facili discese. Aveva una moglie giovane con la quale fare ancora progetti e due figli con cui giocare, credeva nel bene e nell’amore, nella forza dei sogni e della fantasia. Per lui erano qualcosa di speciale, era convinto che l’amore sia l’unica cosa che rende veramente libero un uomo, che gli permette di essere sé stesso e di vivere le sue passioni. E ne aveva soprattutto una, di passione: la corsa. Amava correre a piedi nudi sulla sabbia come sull’erba, perché il contatto con il terreno morbido gli dava la sensazione di essere parte di quel mondo, a volte incomprensibile, che gli girava intorno. Il profumo dell’aria salmastra o dell’erba bagnata, respirato la mattina presto, erano per lui inebrianti almeno quanto un buon bicchiere di vino in compagnia degli amici. Come tutti i giorni Franco era sul ponteggio, a controllare che i lavori procedessero secondo le direttive impartite, ma quel pomeriggio percepiva nell’aria qualcosa di strano: il Sole cocente sembrava aver seccato esageratamente le tavole sporche di cemento, i tubi innocenti arrugginiti dell’impalcatura, tenuti insieme dai bulloni di ottone lucido, bruciavano più del solito.

      Ancora pochi giorni, poi finalmente sarò al mare. Mi sento un po’ diverso dal solito, ma deve essere per via di questo caldo spietato. Devo resistere ancora un poco, stava pensando per darsi forza, ma appena ebbe terminato di formulare questa riflessione ebbe un giramento di capo. Mise un piede in fallo e cadde giù dal ponteggio.

      «Avete preso tutto?» domandò Franco al più grande dei figli mentre li aiutava a caricare le valigie in auto.

      «Stai tranquillo,» intervenne sua moglie Silvia anticipando il bambino, «abbiamo controllato tutto almeno dieci volte. È tutto a posto, possiamo dare il via al count-down…»

      «E allora perché continuate a perdere tempo? Non voglio che siate ancora per strada quando farà buio!» la rimproverò Franco, lei distolse lo sguardo e sospirò.

      «La stiamo tirando in lungo perché lasciarti qui da solo non ci piace, siamo convinti che ti annoierai a morte» gli spiegò leggermente preoccupata lei mentre i figli annuivano.

      «Ma quale noia e noia, potete stare certi che qualcosa mi inventerò! E poi intendo approfittare di questi giorni per riposare, gli ultimi tempi al lavoro sono stati davvero duri» replicò lui, ma notò che la sua risposta non li aveva convinti affatto. Allora sfilò dal portabagagli un retino da pesca e mimò la camminata di un vecchio col bastone. «In qualche modo me la caverò, anche se convalescente non sono ancora da casa di riposo» concluse, e finalmente i suoi figli risero. «Forza ora, entrate in macchina e partite!»

      «Riguardati, e non fare sforzi, ricorda cosa ti ha detto il dottore» gli ripeté Sissi per l’ennesima volta.

      «Stai tranquilla. Appena mi consegneranno i risultati delle analisi salterò sul primo treno e vi raggiungerò.»

      «Verrai davvero?» gli domandò Giorgio, il figlio più piccolo.

      «Certo che verrò! Cercate di divertirvi e non fate arrabbiare la mamma, e soprattutto non state in pensiero per me» rispose Franco. Poi tornò a rivolgersi alla moglie. «Fai la brava anche tu, vedi di non fare troppe conquiste, al mare. Guida con prudenza e chiamami appena arrivi.»

      Un bacio attraverso il finestrino della macchina, una strizzata d’occhio e via. Dopo averli accompagnati con lo sguardo fino alla curva, Franco rientrò in casa.

      Dunque, vediamo un po’: da mangiare e da bere ci sono, libri e giornali pure. Il frigorifero è ben fornito e le pile del telecomando sono nuove di zecca… dovrei essere a posto per un pezzo. Dopotutto stare un po’ da soli ogni tanto fa bene, chissà quando mi capiterà di nuovo si disse convinto Franco, sforzandosi di trovare l’aspetto positivo della situazione. Ma malgrado tutte le sue buone intenzioni, non ricordava più cosa volesse dire passare un’intera giornata senza scambiare una sola parola con qualcuno. E anche se non osava confessarselo, la cosa lo spaventava un po’. Infatti, proprio come aveva temuto, trascorsi appena due giorni cominciò ad accusare la noia. Era stufo di leggere riviste e aveva fatto il pieno di televisione, era un uomo attivo e non era abituato a stare fermo, specialmente se qualcuno o qualcosa lo aveva costretto. Più di una volta fu tentato di indossare canottiera e pantaloncini per farsi una corsetta, ma i medici glielo avevano decisamente sconsigliato e lui rinunciò, seppure a malincuore. Tentò una serie di telefonate agli amici, ma queste andarono tutte a vuoto perché in piena estate la città si era trasformata in un grande deserto, così la solitudine iniziò a farsi davvero pesante. Una sera, dopo un’altra intera giornata trascorsa a sonnecchiare davanti alla tivù scese in cantina e la mise sottosopra, alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a trascorrere un po’ di tempo. Di colpo notò una macchina per scrivere, era seminascosta in un angolo basso di uno scaffale dietro un mucchio di cose inutili e coperta da un drappo di velluto di colore viola. Era tutta polverosa ed era tanto vecchia che le lettere sui tasti erano ormai quasi completamente cancellate.

      Antica com’è deve avere un valore. Chissà come ci è finita, in questa cantina, magari era già qui quando abbiamo acquistato la casa… chissà se funziona ancora.

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