Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12. Edward Gibbon
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Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12 - Edward Gibbon страница 22

СКАЧАТЬ ad imprestito; imitato avevano questo esempio i Baroni della Romania in tempo che l'Imperatore era lontano, perchè abbisognando di un prestito di tredicimila centotrentaquattro piastre d'oro, diedero in ostaggio la Santa Corona per ottenerlo162. Giunto il tempo del pagamento, nè trovandosi all'uopo i danari, Nicola Querini, ricco mercatante veneziano, si offerse a soddisfare i creditori, con che la Corona rimanesse depositata in Venezia, e divenisse poi proprietà personale dello stesso Querini, ogni qualvolta entro un termine corto e pattuito non venisse riscattata. Avendo i Baroni dovuto far noto al Sovrano questo malauguroso contratto, e il pericolo che sovrastava, perchè lo Stato non aveva abilità per una somma maggiore di settemila lire sterline all'incirca, Baldovino trovò che sarebbe stato provvedimento ammirabile in quel frangente il ritogliere dalle mani de' Veneziani questo tesoro, e farlo passare in quelle del Re cristianissimo163. Il qual partito e più onorevole ed utile si dimostrava. Nondimeno la negoziazione trovò alcune difficoltà. Il pio Luigi IX avrebbe riguardata la compera di una reliquia come un delitto di simonia; ma cambiando solamente lo stile del contratto, egli trovò che potea senza scrupolo pagare il debito de' Greci, ricevere la Corona di Spine qual donativo, e dare indi un attestato di gratitudine al donatore. Due Dominicani pertanto vennero inviati a Venezia siccome ambasciadori incaricati di riscattare e ricevere il santo deposito che sottratto si era ai pericoli della navigazione e alle galee di Vatace. Aperta la cassa, vennero verificati i sigilli così del Doge come dei Baroni greci, stati apposti sopra un reliquiario d'argento, prima custodia della scatoletta d'oro, entro cui questo monumento della Passione di Cristo si racchiudeva. I Veneziani cedettero, benchè di mal animo, alla giustizia e alla potenza del Re di Francia; l'imperator Federico diede rispettosamente per li suoi Stati il passaggio alla preziosa reliquia; tutta la Corte di Francia le andò incontro fino a Troyes nella Sciampagna. Il Re co' piedi scalzi, e vestito di una semplice camicia, portò egli stesso la Santa Corona in trionfo per le strade di Parigi; e un donativo di diecimila marchi d'argento consolò Baldovino del sagrifizio cui s'era prestato. Il buon successo di una tal negoziazione allettò questo ad offrire colla medesima generosità gli altri ornamenti della sua imperiale cappella164; un avanzo ragguardevole del legno della vera Croce, il panno di Gesù Cristo, la lancia, la spugna, la catena, attrezzi tutti della Passione, la verga di Mosè, e una parte del cranio di S. Giovanni Battista. Per dar condegno luogo a tutte queste spirituali ricchezze, S. Luigi spese una somma di ventimila marchi nell'edificare la Santa Cappella che la faceta musa di Boileau ha fatta immortale. L'autenticità di tali reliquie, antiche tanto e tratte da paesi così lontani, non può omai essere provata dalla testimonianza degli uomini; ma son costretti ad ammetterle tutti coloro che credono ai miracoli da esse operati. Nella metà dello scorso secolo la santa ferita di una Spina della Corona risanò radicalmente un'ulcera inveterata165; prodigio attestato dai Cristiani i più devoti, ed anche sapienti della Francia, e che non può sì facilmente essere dismentito se non se da coloro che vanno muniti di un antidoto generale166 contro ogni specie di credulità religiosa167.

      A. D. 1237-1261

      I Latini di Costantinopoli168 trovandosi circondati, stretti d'ogni banda, la sola discordia e divisione de' Greci e de' Bulgari tardar ne potevano la rovina; ma la politica e la potenza militare di Vatace Imperator di Nicea, rendè vana quest'ultima loro speranza. Dalla Propontide fino alle rupi della Panfilia l'Asia godea giorni di pace e di prosperità sotto questo Sovrano, che ottenendo a mano a mano nuovi allori ne' campi di battaglia, crescea di preponderanza in Europa. Scacciati i Bulgari dalle Fortezze situate nelle montagne della Macedonia e della Tracia, ridusse il loro reame a que' limiti, fra i quali lungo le rive del Danubio oggidì è contenuto. Allorchè l'Imperatore de' Romani si mostrò stanco di sopportare che un Duca di Epiro, un Principe Comneno dell'Occidente, pretendesse disputargli, di avere comuni seco lui gli onori della porpora; Demetrio, cambiato umilmente il colore de' suoi calzari, accettò, mostrandosi grato, il titolo di despota; il quale atto di abbiezione, oltre alla inettezza nel governare, gli alienò i cuori de' sudditi, che implorarono la protezione del Principe greco, di cui Demetrio era vassallo. Per la qual cosa Vatace giunto ad unire il regno di Tessalonica a quel di Nicea, regnò senza competitori dalle frontiere della Turchia insino al golfo Adriatico. I Principi europei ne rispettavano il merito e la possanza, e probabilmente non gli era d'uopo che risolversi ad abbracciare la Fede ortodossa, perchè il Pontefice abbandonasse senza rincrescimento l'Imperatore latino di Costantinopoli; ma la morte di Vatace, la breve durata del regno turbolento di Teodoro, la minorità di Giovanni, un figlio, l'altro pronipote di Vatace, ritardarono il risorgimento della greca dominazione in Bisanzo. Nel capitolo successivo darò conto delle domestiche vicissitudini che afflissero que' due successori di Vatace; per ora mi basta il notare che l'ultimo di essi soggiacque all'ambizione del suo tutore e collega, Michele Paleologo, uomo in cui si diedero a divedere congiuntamente e quelle virtù, e que' vizj proprj di ordinario ai fondatori di nuove dinastie. L'imperatore Baldovino era caduto nell'abbaglio di credere che una negoziazione non sostenuta da veruna forza, gli basterebbe a ricuperare alcune province o città. Ma gli ambasciatori di lui vennero rimandati da Nicea, ove non ottennero che sprezzi e risposte schernevoli; per ciascuna provincia che domandavano, Paleologo adduceva un pretesto, per cui non gli era lecito, ei diceva, il privarsene; in una di esse era nato, aveva avuto i primi rudimenti della scuola militare nell'altra; in tal provincia avea goduti i piaceri della caccia, e volea continuar lungo tempo a goderli. «In somma qual parte di dominio avete risoluto di cederne?» gli domandarono stupefatti quei messi. «Nessuna, rispose il Principe greco, nè anco una pollice di terra. Se il vostro padrone brama la pace, mi paghi per tributo annuale la rendita delle dogane di Costantinopoli, al qual patto potrò concedergli che continui a regnare; e avrò il suo rifiuto come primo segnale di guerra. A me perizia militare non manca, e gli eventi delle cose confido a Dio e alla mia spada»169. Nella prima prova che ei fece dell'armi sue contra il despota dell'Epiro, riportò vittoria; cui però venne d'appresso una sconfitta: onde i Comneni Angeli continuarono a resistergli nelle montagne della Macedonia, e anche dopo la morte di questo Principe, conservarono la loro autorità. Peggio tornarono le cose ai Latini, i quali, caduto prigioniero Villehardouin, principe di Acaia, rimasero privi con esso del più operoso e possente vassallo dell'agonizzante lor monarchia. Intanto le repubbliche di Genova e di Venezia, venuta per la prima volta l'una contro l'altra a guerra navale, si contendeano l'impero del mare, e il commercio dell'Oriente: e poichè motivi di ambizione e d'interesse teneano affezionati a Costantinopoli i Veneziani, i rivali di questi offersero ai nemici de' Latini soccorso, la qual lega de' Genovesi con un conquistatore scismatico l'indignazione del Vaticano eccitò170.

      Tutto inteso al suo grande divisamento, Michele visitò in persona ciascuna Fortezza della Tracia, e le guernigioni ne accrebbe. Dopo avere scacciati gli avanzi de' Latini dagli ultimi possedimenti che lor rimanevano, diede assalto al sobborgo di Galata, ma infruttuosamente; perchè quel Barone che perfidamente mantenea corrispondenza coi Greci, o non potè, o non volle aprirgli le porte della Capitale. All'apparire della successiva primavera, Alessio Strategopolo, generale favorito di Michele, e insignito da questo del titolo di Cesare, attraversò l'Ellesponto conducendo seco ottocento uomini a cavallo, ed alcune truppe d'infanteria171 che servir doveano ad una spedizione segreta. Gli ordini avuti dal ridetto generale erano di avvicinarsi a Costantinopoli, di esplorare attentamente tutte le cose, e curare le occasioni che si potessero offrire ad ultimi tentativi; però di astenersi da ogni impresa o dubbia, o pericolosa contro della città. Abitava nelle vicinanze della Propontide e del mar Nero una schiatta ardimentosa di villani e di malviventi, avvezzi all'armi e di incerta fede, pure e per linguaggio e religione comuni, e per le viste del momentaneo interesse maggiormente affezionati alla parte de' Greci. Nomati venivano i Volontarj172, e come tali offersero servigio al generale di Michele, il cui esercito, accresciuto dagli ausiliari Comani sommò allora a venticinquemila uomini173. Eccitato СКАЧАТЬ



<p>162</p>

Il Ducange interpreta col vocabolo vago monetae genus le parole perparus, perpera, hyperperum. Dopo avere consultato un passo del Gunther (Hist. C. P. c. 8, p. 10) mi do a credere che il perpera sia il nummus aureus o la quarta parte d'un marco di argento, circa dieci scellini sterlini; se si fosse inteso di marco di piombo troppo tenue sarebbe stata la somma.

<p>163</p>

Intorno al trasporto della Santa Corona da Costantinopoli a Parigi, V. Ducange (Hist. C. P., l. IV, c. 11-14, 24-35) e Fleury (Hist. eccl. t. XVII, p. 201-204).

<p>164</p>

Mélanges tirés d'une grande bibliothèque, t. XLIII, p. 201-205. Il Lutrin di Boileau mostra l'interno, gli uffizj, le consuetudini de' ministri della Santa Cappella; i comentatori Brossette e Saint-Marc hanno uniti e spiegati molti fatti che alla istituzione della medesima si riferiscono.

<p>165</p>

Questa cura venne operata ai 24 di Marzo dell'anno 1656 sopra la nipote del celebre Pascal. Quest'uomo di altissimo ingegno, Arnaud e Nicole erano presenti per vedere ed attestare un miracolo che confuse i Gesuiti e salvò Portoreale, (Oeuvres de Racine, t. VI, p. 176-187, nell'eloquente storia di Portoreale).

<p>166</p>

Se per antidoto s'intende una ragionevole critica intorno ai fatti di questa specie, particolarmente quando non sono stati assoggettati al processo solito a farsi, non sarebbe da condannarsi, bisognava spiegarsi meglio. (Nota di N. N.)

<p>167</p>

Il Voltaire (Siècle de Louis XIV, c. 37, Oeuvres, t. IX, p. 178, 179) mette il suo studio a distruggere la verità de' fatti: ma l'Hume (Saggi, vol. II) con maggiore abilità e buon successo impadronendosi della batteria volta il cannone contra i nemici.

<p>168</p>

Possono vedersi ne' libri 3, 4, 5 della compilazione del Ducange, le perdite successivamente sofferte dai Latini; ma questo storico si è lasciato sfuggire molte circostanze che si riferiscono alle conquiste de' Greci, e che giova il rintracciare nella più compiuta storia di Giorgio Acropolita, e ne' tre primi libri di Niceforo Gregoras, due scrittori della storia bisantina, ai quali è toccata la buona sorte di avere per editori Leone Allazio a Roma, e Giovanni Boivin Membro della Accademia delle iscrizioni a Parigi.

<p>169</p>

V. Giorgio Acropolita, c. 78, p. 89, 90, edizione di Parigi.

<p>170</p>

I Greci, vergognando di avere avuto ricorso agli stranieri, dissimularono la Lega coi Genovesi e gli aiuti che ne ricevettero; ma il fatto è provato dalle testimonianze di Giovanni Villani (Cron. l. VI, c. 71), del Muratori (Script. rer. ital. t. XIII, p. 202, 203) e di Guglielmo di Nangis (Annali di S. Luigi, p. 248, nel Joinville del Louvre); tanto Nangis quanto Joinville, stranieri alla disputa, poteano parlare con imparzialità. Urbano IV minacciò i Genovesi di privarli del loro arcivescovo.

<p>171</p>

Fa d'uopo di non poca diligenza a conciliare le sproporzioni di numero; gli ottocento soldati di Niceta, i venticinquemila di Spandugino (Duc. l. V, c. 24), gli Sciti e i Greci di Acropolita, il numeroso esercito di Michele, quale apparirebbe dalle lettere di Papa Urbano IV (1-129).

<p>172</p>

Θεληματαριοι, Volontarj. Pachimero ne gl'indica e descrive nel medesimo tempo (l. II, c. 14).

<p>173</p>

A che ricercare questi Comani ne' deserti della Tartaria, o anche nella Moldavia? una parte di essa tribù si era sottomessa a Giovanni Vatace, e probabilmente avea posto un vivaio di soldati in qualche deserto della Tracia (Cantacuzeno, l. I, c. 2).