Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon
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Abulfeda, Sonnita moderato, espone le varie opinioni sul seppellimento d'Alì, ma s'attiene al sepolcro di Cufa, fama numeroque religiose frequentantium celebratum. Niebuhr fa il conto che si seppelliscono ne' contorni duemila persone all'anno, e che cinquemila sono i pellegrini che vanno a visitarlo (t. II, p. 208, 209).

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Tutti i tiranni di Persia da Adhad-el-Dowlat (A. D. 977; d'Herbelot, pag. 58, 59, 95), sino a Nadir-Shah (A. D. 1743, Hist. de Nadir-Shah, t. II, p. 155), hanno ornato colle spoglie del popolo la tomba d'Alì. La cupola è di rame magnificamente dorato, che brilla a' raggi del Sole in distanza di molte miglia.

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La città di Meshed-Alì, lontana cinque o sei miglia dalle ruine di Cufa, e centoventi al mezzodì di Bagdad, ha l'estensione e la forma dell'odierna Gerusalemme. Meshed-Hosein, più vasta e più popolosa, è lungi trenta miglia.

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Seguo l'energico concetto e la frase di Tacito (Hist. l. I, c. 4): Evulgato imperii arcano posse imperatorem alibi quam Romae fieri.

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Ho abbreviato la bella narrazione d'Ockley (t. II, p. 170-231), assai lunga e piena di minuti particolari, dai quali bene spesso emerge appunto il patetico.

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Il danese Niebuhr (Voyages en Arabiae, etc., t. II, p. 208 ec.) è forse quel solo de' viaggiatori Europei che abbia osato andare a Meshed-Alì, e a Meshed-Hosein. Que' due sepolcri sono in mano de' Turchi, i quali soffrono la devozione degli eretici Persiani, ma l'assoggettano ad un tributo. Il Chardin, che tante volte ho lodato, descrive partitamente la festa della morte di Hosein.

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Il d'Herbelot nota la successione all'articolo generale Iman; e negli articoli speciali per ognuno de' dodici pontefici dà un ristretto della lor vita.

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Parrà ridicolo il nome d'Anticristo, ma i Musulmani hanno attinto da tutte le religioni (Sale, Discours prélimin. p. 80-82). Nella regia scuderia d'Ispahan stanno sempre due cavalli sellati, l'uno per Mahadi, e l'altro pel suo luogotenente, Gesù, figlio di Maria.

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L'anno dugento dell'Egira (A. D. 815). V. d'Herbelot, p. 546.

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D'Herbelot, pag. 342. Cercavano gli avversari de' Fatimiti ogni modo per avvilirli col dar loro un'origine giudaica; ma quelli provavano benissimo d'essere discendenti di Iaafar, sesto Imano; e l'imparziale Abulfeda conviene in questo (Annal. moslem. pag. 238) ch'erano riconosciuti da parecchi, qui absque controversia genuini sunt Alidarum, homines propaginum suae gentis exacte callentes. Cita alcune linee del celebre Seriffo Or-Rahdi, ego ne humilitatem induam, in terris hostium? (Sospetto ch'ei fosse un Edrissita della Sicilia) cum in Egypto fit chalifa de gente Alii, quocum ego communem habeo patrem et vindicem.

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I re di Persia dell'ultima dinastia discendono dallo Sheik Sefi, santo del quattordicesimo secolo, e per lui da Moussa Cassem, figlio di Hosein, figlio d'Alì (Olear. p. 957; Chardin, t. III, p. 288): ma non posso assegnare i gradi intermedii di veruna di queste o vere o favolose genealogie. Se erano Fatimiti, provenivano forse da' principi di Mazanderan che regnavano nel secolo nono (d'Herbelot, p. 96).

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Demetrio Cantemiro (Hist. de l'Empire ottom. p. 94) e Niebuhr (Descript. de l'Arabie: p. 9-16, 317, ec.) descrivono esattamente lo stato odierno della famiglia di Maometto e d'Alì. Peccato che il viaggiator Danese non abbia potuto possedere le cronache dell'Arabia.

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Considerando la religione di Maometto dal solo aspetto dell'unità e delle perfezioni di Dio, vi si trova anzi ogni motivo di propagazione; ed è far troppo torto al genere umano, e specialmente agli Arabi che al momento della predicazione di Maometto erano idolatri, il pensare che per quanta prevenzione cieca avessero a favor dell'idolatria, ossia del politeismo, la loro ragione dovesse a lungo opporsi all'idea, sostenuta da Maometto, e tanto naturale, di un'Esser supremo e delle sue perfezioni.

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Se gli Appostoli S. Pietro e S. Paolo andassero ora nella magnifica, e famosa Basilica del Vaticano, vi vedrebbero professati i medesimi dogmi, ch'essi credettero e pubblicarono; li troverebbero spiegati dai Concilj generali, ed espressi in formule, od Atti di Fede, secondo lo spirito ond'essi medesimi li sparsero. Vi troverebbero a dir vero nuovi metodi, nuove discipline, nuove cerimonie. Ma S. Pietro stesso nel Concilio da lui tenuto in Gerusalemme pose, di consenso cogli altri seguaci di Cristo ch'era già morto, alcune regole, e prese risoluzioni convenienti, e vantaggiose alle circostanze de' cristiani di quell'epoca, come pure fece S. Paolo nella Grecia; e perciò vedrebbero con piacere i buoni ed utili ordinamenti, e discipline, che secondo le circostanze, e per l'utilità e propagazione del cristianesimo, e l'edificazione de' credenti, furono fatti in Roma, e diffusi nelle province a norma delle decisioni dei Concilj, e delle Decretali e Costituzioni de' Papi; e vedrebbero poi a decoro della religione, e quindi con grande compiacenza, un tempio magnifico eretto dalle idee principesche, e dai tesori di Giulio II, e di Leone X; vedrebbero poi in un colla semplicità del culto protestante di Ginevra l'allontanamento dalla buona dottrina, cui per altro diedero origine le grandi spese, e le publicate Indulgenze di Leone X per la costruzione del Vaticano.

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Non hanno forse anche i Cristiani nel loro intelletto l'immagine pura della Divinità?

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Gli autori della Storia universale e moderna hanno compilato (volume 1 e 2) in ottocentocinquanta pagine in folio la vita di Maometto e gli annali de' Califfi. Ebbero la ventura di leggere e talora correggere i testi Arabi. Ma ad onta delle loro millanterie, io non m'accorgo nella fine di questo passo sull'Islamismo che m'abbiano dato cognizione d'un gran numero di particolarità, se pure me n'han data una sola. Questa pesante massa di cose non è mai ravvivata da una scintilla di filosofia e di buon gusto, e i compilatori si sono nella loro critica abbandonati a tutto l'astio del bigottismo contro il Boulainvilliers, il Sale, il Gagnier, e quanti han palesato qualche parzialità, o qualche sentimento di giustizia per Maometto.

209

V. la descrizione della città e del distretto d'Al-Yemanah in Abulfeda (Descript. Arabiae, p. 60, 61). Nel tredicesimo secolo v'erano tuttavia alcune ruine e poche palme. Oggi quel Cantone medesimo è soggetto alle visioni e alle armi d'un profeta moderno, di cui si conosce la dottrina imperfettamente. (Niebuhr, Description de l'Arabie, p. 296-302).

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Questa profetessa, che si nomava Segjah, ritornò all'idolatria dopo la caduta dell'amante; ma sotto il regno di Moawiyah abbracciò la religione musulmana, e morì a Bassora (Abulfeda, Annal. vers. Reiske, p. 63).

211

V. il testo, che dimostra l'esistenza d'un Dio per l'opera della generazione, in Abulfaragio (Specimen Hist. Arabum pag. 13 e Dynast., pag. 103) e in Abulfeda, (Annal., pag. 63).

212

V. il suo regno in Eutichio (t. II, p. 251), Elmacin (p. 18), Abulfaragio (p. 108), Abulfeda (p. 60 ), d'Herbelot (p. 58).

213

V. sul suo regno Eutichio (p. 264), Elmacin (p. 24), Abulfaragio (pag. 110), Abulfeda (pag. 66), d'Herbelot (p. 686).

214

V. sul suo regno Eutichio (p. 323), Elmacin (p. 36), Abulfaragio (pag. 115), Abulfeda (pag. 75), d'Herbelot (p. 695).

215

V. intorno al suo regno Eutichio (p. 343), Elmacin (p. 51), Abulfaragio (p. 117), Abulfeda (p. 83), d'Herbelot (p. 89).

216

V. sul suo regno Eutichio (p. 344), Elmacin (p. 54), Abulfaragio (pag. 123), Abulfeda (pag. 101), d'Herbelot (p. 586).

217

V. i regni loro in Eutichio (t. II, p. 360-395), Elmacin (p. 59-108), Abulfaragio (Dynast. IX, p. 124-139), Abulfeda (p. 111-141), d'Herbelot (Bibl. orient., p. 691), e gli articoli СКАЧАТЬ