Napoli a occhio nudo: Lettere ad un amico. Fucini Renato
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СКАЧАТЬ cerchi, e osservi pure a suo piacere, assolutamente non le troverà.

      Il temperamento di questa gente è troppo nervoso, è troppo adusto da poter la linfa concorrere efficacemente insieme col clima a spossarli del tutto, per cui quando hanno da lavorare lavorano, e la loro opera è intelligente e produttiva al pari di quella di qualunque altra popolazione della penisola. – Mi sarò anche ingannato, ma non lo credo.

      Date Caesari quod Caesaris est, c'insegnò il Cianchi bon'anima maestro di rettorica, e giacchè sono entrato nello sdrucciolo delle eresie, mi scappa la voglia di seguitare e seguito. La seconda eresia la comincerò in forma di preghiera, pregandoti che, quando capiterai in questo paese benedetto dalla Provvidenza, in questa terra privilegiata del canto e del sentimento musicale, tu sfoderi gli orecchi, tu giri nei quartieri del popolo e tu ascolti. Principierai la tua peregrinazione immaginandoti di dover inciampare ad ogni svoltata di via in comitive di giovani spensierati, i quali se ne vadano rallegrando la poesia della notte coi loro canti, con le loro armonie di chitarre, di flauti e d'organini, come ti accadrà ad ogni passo in Toscana, e come ci accadeva incontrare tanto spesso a Milano, a Venezia e su i laghi, ma tutte le illusioni presto ti spariranno. Non ti parrà d'affacciarti a una vasca per sentir cantare i pesci, ma poco meno. Qualche truppa di suonatori e cantatori la incontrerai verso le locande o intorno ai caffè, dove vengono per danaro, anzi dove vengono in troppi e troppo spesso, ma chi canti per solo piacere di cantare le stupende e poetiche ariette che questi maestri di musica compongono a tavolino e non il popolo lungo la marina, come generalmente si crede, non lo incontrerai mai o molto, molto di rado. Una plebe che si diletta quasi esclusivamente del cembalo e della caccavella, due strumenti che dànno rumore monotono e non armonia, a mio parere, non può nè deve avere quello squisito sentimento musicale che da tutti, e senza rendersi conto del perchè, le si è voluto sempre attribuire. Un mezzo secolo addietro, quando l'Italia era da vero la terra del canto, la plebe di Napoli sarà stata per la musica tutto quello che si racconta; ma ora che questa terra del canto è diventata la terra degli urlacci, può darsi benissimo che anche quaggiù le cose vadano diversamente. Avrò preso un granchio anche questa volta? Speriamo di sì.

      Tutte le volte che ripenso a questa specie di disinganno procuratami da un pregiudizio che è universale, forse perchè i suonatori e cantatori napoletani (che non sono di Napoli) inondano i trivj della Terra, mi torna in mente la leggenda del cigno. Tutti i poeti hanno esaltato a cielo le dolcissime note e il canto melodioso di questo taciturno abitatore dei laghi, senza averne mai udita la voce. Bugiardi! Io l'ho sentita questa voce incantevole, l'ho udito davvero il canto di questo voluttuoso amico di Leda, e non ho saputo somigliarlo ad altro che allo strepito roco d'una canna secca stroncata bruscamente.

      Ma tutto questo non tolga nulla ai lati pregevoli di queste disgraziate ed allegre creature; anzi, dopo aver trovati martiri della fatica dove non credevo trovare che sbadiglianti bighelloni, voglio accennarti altre buone qualità che ho notate con piacere fra costoro, e gentili passioni portate qualche volta fino all'eccesso dalla loro natura meridionale.

      L'amore e gli affetti di famiglia li sentono con violenza; si soccorrono in caso di sventura e sono fra loro ospitali e caritatevoli fino al sacrifizio; hanno venerazione pei vecchi e li rispettano e li accarezzano affettuosamente; contentabili in modo che è raro udire un lamento dello stato di miseria più che bestiale, nella quale la maggior parte languiscono; non dediti all'ubriachezza; non punto turbolenti, almeno nei periodi di calma sociale, e questo lo prova il fatto che spesso l'Arsenale e l'officina di Pietrarsa hanno messo fuori cinquecento ed anche mille operai e la città non si è accorta minimamente di questo avvenimento; non facili alla rissa ed al coltello, sono dotati poi di molte altre qualità che non voglio rammentare, sebbene appaiano buone, perchè figlie troppo spontanee di quel fango morale, in cui sono tenute sommerse queste misere scimmie a due mani.

      Ma sotto quale enorme farragine di difetti restano soffocate le loro poche virtù! – Con la più feroce usura si strozzano fra loro. La passione per il giuoco in genere ed in specie per il Lotto giunge fino alla frenesia, e forse il desiderio di soddisfare a questa sfrenata libidine, se si volessero ricercare le cause di ciò che asserivo poco fa, è quello che gli agita, che gli accapiglia e li porta a lavorare rabbiosamente, per poi più rabbiosamente che mai correre a gettare i loro miseri guadagni in quel baratro d'immoralità, che insieme colla usura concorre a spolpare questi iloti e a mantenerli nel puzzo delle loro tane, dove come porci s'imbragano e gavazzano.

      Dissimulatori esimii, scaltri come volpi, timidi come lepri e bugiardi come cacciatori, la loro esistenza è una continua scherma di piccole frodi e d'inganni. Sudici un po' per necessità e molto per istinto, manca loro assolutamente il senso della nettezza. Il dare un'occhiata alle cucine della plebe, alle loro pietanze ed alle mani, con le quali se le portano alla bocca, basterebbe a travagliare uno stomaco che non fosse d'acciaro. Pròvati a far loro qualche osservazione, e vedrai. Ti guardano e ridono credendo che tu scherzi.

      Una sera passando presso allo scalo di Santa Lucia, mi dette nell'occhio un gruppo di persone non indecentemente vestite che, sedute su panche disposte intorno ad un piccolo pozzo senza spallette e scoperto, stavano a bere, frescheggiando, bicchieri d'acqua che mi parve vedere attingere da quel pozzo. Spinto dalla curiosità, scesi e domandai. Il pozzo era quello della sorgente d'acqua ferruginosa, della quale mezza Napoli si abbevera ai mille tabernacoli d'acquajoli posti su quasi tutte le cantonate delle vie. Assistei a questo attingimento e con me vi assisterono anche gli amatori del piccolo Montecatini. Ed ecco come si attinge quest'acqua. Si levano le scarpe, tirano fuori un par di piedi come sono, ma veramente come non dovrebbero essere; si calano nel pozzo mettendo questi piedi in buchette scavate nelle sue pareti, finchè non giungono ad avere l'acqua a mezza gamba, tuffano allora l'anfora ficcandola sotto con le relative mani e dopo escono fuori a dispensare in giro 'u refrisch (il rinfresco). Il concorso degli attingitori è giornalmente di qualche centinaio ed il sistema è sempre il medesimo. A te, come a me, correrà subito al pensiero questa domanda: una tromba? o, per lo meno, una secchia, un brandello di fune, una carrucola, un ammenicolo qualunque, non renderebbe l'operazione e l'acqua più pulite, anzi meno ributtantemente laide? Io direi di sì, ma va' a dirlo a loro. Ne ricusai un bicchiere che mi venne offerto e dissi le mie ragioni, ma fu lo stesso che pestar l'acqua nel mortaio. – Si nun facimmo accussì, comm'avimmo a fà, neh, signurì? – Ecco quel che mi fu risposto.

      Addentrandosi poi ad osservare più da vicino e più minutamente le condizioni morali, il disordine delle idee di questa gente e le sue conseguenze, il senso che si prova, dopo averne ammirate le fiacche virtù e sorriso su i piccoli difetti, è davvero di profondo sconforto, quando siamo arrivati a convincerci che il sentimento della dignità umana è lettera morta per costoro. Per arrivare a levarti un soldo di tasca, son capaci perfino di scendere a leccarti le scarpe, senza mostrare di sentirsi minimamente umiliati da questo atto di ultima degradazione.

      Un giorno, mentre me ne stavo seduto su la marina presso Piedigrotta, leggendo un giornale, mi si accostò un giovinetto col solito: – Signurì, u soldo. – Io che conoscevo un poco l'insistenza degli accattoni, mi proposi, non avendo altro da fare, di metterla a prova con questo disgraziato. Gli dissi, in modo da lasciarlo sperare, la sacramentale parola vattènn! – e seguitai a leggere. Allora lui, per muovermi al riso o alla compassione, cominciò a far capriole, a gonfiare il torace e ad imitare voci d'animali, eppoi: – Signurì, u soldo – Ed io: – Vattènn! – e lui daccapo alla mozione degli affetti. Tirò fuori la lingua che lasciava ciondolare fuori della bocca come un cane trafelato, si arrovesciò le palpebre degli occhi, si mise a corrermi d'intorno con le mani e coi piedi e di nuovo: – Signurì, u soldo – E io daccapo: – Vattènn! – Dopo tre quarti d'ora (avevo guardato scrupolosamente l'orologio) mi alzai annoiato, ma sempre insistendo nel negare la elemosina. Non si perse di speranza. Mi si mise dietro per qualche ventina di passi, rinforzando la dose delle capriole e delle smorfie; e io: no! A che cosa ricorse questo miserabile, quando vide esaurito ogni mezzo per muovermi a tenerezza? Mi si buttò inginocchiato ai piedi, mi spolverò le scarpe col suo berretto e cominciò a baciarmele ed a leccarmele, abbracciandomi strettamente le gambe. Mi balenò l'idea di dargli un calcagno sulla testa, ma poi pensai: Perchè debbo СКАЧАТЬ