Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon
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Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6 - Edward Gibbon страница 15

СКАЧАТЬ contraddittorj (non voleva egli dissimulare gli errori della sua propria famiglia) s'erano procurati dall'intercession di Serena. La tenera pietà di sua moglie troppo era stata profondamente commossa dalla discordia dei fratelli reali, figli dell'adottivo padre di lei; ed i sentimenti della natura troppo facilmente avevan prevalso ai forti dettami del pubblico bene». Queste speciose ragioni, che debolmente mascheravano gli oscuri intrighi del palazzo di Ravenna, furono sostenute dall'autorità di Stilicone, ed ottennero, dopo un forte contrasto, la ripugnante approvazione del Senato. Si acchetò il tumulto della libertà e del valore, e fu accordata, sotto nome di sussidio, la somma di quattrocento libbre d'oro per assicurar la pace dell'Italia, e conciliar l'amicizia del Re dei Goti. Lampadio solo, uno dei più illustri membri di quell'assemblea, continuò a persistere nel suo sentimento; esclamò ad alta voce: «questo non è un trattato di pace, ma di servitù165» ed evitò il pericolo d'un'opposizione sì audace con ritirarsi immediatamente nell'asilo d'una Chiesa Cristiana.

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      Ma il regno di Stilicone andava a finire, ed il superbo Ministro potè ravvisare i segni della sua imminente disgrazia. S'era fatto applauso al generoso ardir di Lampadio; ed il Senato, che aveva con tanta pazienza tollerato una lunga servitù, rigettò sdegnosamente l'offerta d'un'odiosa ed immaginaria libertà. Le truppe, che sempre assumevano il nome e le prerogative di legioni Romane, erano inasprite dal parziale affetto di Stilicone pei Barbari; ed il popolo imputava alla cattiva politica del Ministro le pubbliche disgrazie, che erano la natural conseguenza della propria degenerazione. Pure Stilicone avrebbe potuto continuare a sprezzare i clamori del popolo, ed ancor dei soldati, se avesse potuto mantenere il proprio dominio sulla debole mente del suo pupillo. Ma il rispettoso attaccamento d'Onorio si convertì in timore, in sospetto ed in odio. L'artificioso Olimpio166, che nascondeva i suoi vizi sotto la maschera di Cristiana pietà, segretamente avea rovesciato il benefattori, pel favore del quale era stato promosso agli onorevoli ufizi del Palazzo Imperiale. Olimpio manifestò al credulo Imperatore, il quale era giunto al ventesimo quinto anno della sua età, che egli non aveva peso o autorità veruna nel proprio governo; ed artificiosamente commosse il timido ed indolente suo naturale mediante una viva pittura dei disegni di Stilicone, che già meditava la morte del proprio Sovrano, coll'ambiziosa speranza di porre il diadema sul capo d'Eucherio suo figlio. L'Imperatore fu instigato dal nuovo favorito ad assumere il tuono d'un'indipendente dignità, ed il ministro restò sorpreso in vedere, che nella Corte e nel Consiglio si formavano segrete risoluzioni, contrarie al suo interesse od alle sue mire. Invece di risedere nel palazzo di Roma, Onorio dichiarò che era sua volontà di tornare alla sicura fortezza di Ravenna. Alla prima notizia, che ebbe della morte d'Arcadio suo fratello, si preparò a visitare Costantinopoli, ed a regolare, coll'autorità di tutore, le Province del fanciullo Teodosio167. La rappresentanza della difficoltà e della spesa d'una spedizione sì distante, frenò quello strano e subito impeto di attiva diligenza; ma il pericoloso progetto di far vedere l'Imperatore al campo di Pavia, ch'era composto di truppe Romane, nemiche di Stilicone, e de' suoi Barbari ausiliari, rimase fisso ed inalterabile. Il Ministro fu stimolato dal consiglio del suo confidente Giustiniano, Avvocato Romano di vivo e penetrante ingegno, ad opporsi ad un viaggio così dannoso alla sua riputazione e salvezza. I vigorosi, ma inefficaci, suoi sforzi confermarono il trionfo di Olimpio; ed il prudente Legale si sottrasse all'imminente rovina del suo Signore.

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      Nel passare che fece l'Imperator da Bologna, fu suscitato e quietato un ammutinamento delle guardie per la segreta politica di Stilicone, il quale dichiarò le istruzioni che aveva, di decimare i colpevoli, ed attribuì alla propria intercessione il merito del perdono. Dopo questo tumulto, Onorio abbracciò per l'ultima volta il Ministro, ch'ei risguardava allora come un tiranno, e proseguì il suo viaggio verso il campo di Pavia, dove fu ricevuto con le fedeli acclamazioni delle truppe, che v'erano adunate pel servizio della guerra Gallica. La mattina del quarto giorno ei recitò, come era istruito, un'orazion militare alla presenza dei soldati, i quali dalle caritatevoli visite e dagli artificiosi discorsi d'Olimpio erano stati disposti ad eseguire una sanguinosa e nera cospirazione. Al primo segnale, che fu dato, trucidarono gli amici di Stilicone, che erano gli Ufficiali più illustri dell'Impero, vale a dire i due Prefetti Pretoriani della Gallia e dell'Italia, i due Generali della Cavalleria e dell'Infanteria, il Maestro degli Uffizi, il Questore, il Tesoriere, ed il Conte dei domestici. Molti altri furono uccisi; si saccheggiaron più case; la furiosa sedizione continuò fino alla sera, ed il tremante Imperatore, che fu veduto per le strade di Pavia senza le sue vesti e senza il diadema, cedè alle persuasioni del favorito, condannò la memoria degli uccisi, e solennemente approvò l'innocenza e la fedeltà dei loro assassini. La notizia del macello di Pavia empì l'animo di Stilicone di giusti e tetri timori; ed immediatamente convocò nel campo di Bologna un'assemblea dei confederati condottieri, ch'erano attaccati al suo servizio, e che si sarebber trovati involti nella rovina di lui. L'impetuosa voce dell'adunanza richiese altamente le armi e la vendetta; domandò di marciare senza differire un momento sotto le bandiere d'un Eroe, che tante volte gli aveva condotti alla vittoria; di sorprendere, opprimere, ed estirpare il perfido Olimpio, ed i suoi degenerati Romani; e forse di porre il diadema sul capo dell'ingiuriato lor Generale. Invece di eseguire una risoluzione, che avrebbe potuto giustificarsi dal buon successo, Stilicone restò dubbioso, finattantochè fu irreparabilmente perduto. Tuttavia ignorava il destino dell'Imperatore; diffidava della lealtà del proprio partito; e vedeva con orrore le fatali conseguenze, che provenivano dall'armare una folla di licenziosi Barbari contro i soldati ed il popolo dell'Italia. I confederati, impazienti del suo timido e dubbioso indugio, precipitosamente si ritiraron con timore e con isdegno. Sull'ora di mezza notte, Saro, guerriero Gotico, rinomato fra i Barbari stessi per la sua forza e valore, ad un tratto invase il campo del suo Benefattore, saccheggiò il bagaglio, tagliò a pezzi i fedeli Unni, che guardavan la sua persona, e penetrò fino alla tenda, in cui il Ministro pensoso e senza dormire meditava sul pericolo della sua situazione. Stilicone con difficoltà si sottrasse alla spada dei Goti; o dopo aver dato un ultimo e generoso avviso alle città d'Italia di chiudere ai Barbari le loro porte, la sua fiducia o disperazione l'indusse a gettarsi dentro a Ravenna, ch'era già pienamente in potere de' suoi nemici. Olimpio, che aveva assunto il dominio d'Onorio, fu prontamente informato, che il suo rivale erasi rifuggito come supplichevole all'altare della Chiesa Cristiana. La bassa e crudele indole dell'ipocrita era incapace di pietà o di rimorso; ma piamente affettò d'eludere, piuttosto che di violare il privilegio del Santuario. Allo spuntar del giorno comparve il Conte Eracliano con una truppa di soldati alle porte della Chiesa di Ravenna. Il Vescovo si contentò d'un solenne giuramento, che l'Imperial messo tendeva solo ad assicurarsi dalla persona di Stilicone: ma appena lo sfortunato Ministro fu indotto ad uscire dal sacro limitare, ch'ei produsse l'ordine dell'immediata esecuzione di lui. Stilicone soffrì con tranquilla rassegnazione gli ingiuriosi nomi di traditore e di parricida; represse l'inopportuno zelo dei suoi seguaci, ch'eran pronti a tentarne un'inutile liberazione, e con una fermezza, non indegna dell'ultimo Generale Romano, piegò il collo alla spada d'Eracliano168.

      La turba servile del Palazzo, che aveva per tanto tempo adorato la fortuna di Stilicone, affettò d'insultare la sua caduta; e studiosamente negavasi, come punivasi con rigore, la più distante relazione col Generale dell'Occidente, che sì recentemente era servita di titolo per le ricchezze e per gli onori. La sua famiglia, congiunta per mezzo d'una triplice parentela con quella di Teodosio, invidiava la condizione dell'infimo contadino. Il suo figlio Eucherio fu sorpreso, mentre fuggiva; ed alla morte di quell'innocente giovane successe il divorzio di Termanzia, che aveva occupato il luogo della sorella Maria, e che era restata vergine, com'essa, nel letto Imperiale169. Gli amici di Stilicone, ch'erano scampati dalla strage di Pavia, furono perseguitati dall'implacabil odio d'Olimpio; e s'esercitò la crudeltà più squisita per estorcer la confessione d'una perfida e sacrilega congiura. Essi morirono nel silenzio: la fermezza loro giustificò la scelta170, e forse assolvè l'innocenza del loro protettore; e la dispotica forza, che potè togliergli la vita senza processo, ed infamar senza prove la sua memoria, non ha giurisdizione veruna sull'imparziale СКАЧАТЬ



<p>165</p>

Zosimo (l. V. p. 338, 339) ripete le parole di Lampadio, come dette in Latino, non est ista pax, sed pactio servitutis, e quindi le traduce in Greco per comodo dei suoi lettori.

<p>166</p>

Egli era venuto dalla costa del Ponto Eussino, ed esercitava uno splendido ufizio, λαμπρας δε στρατειας εν τοις βασιλειοις αξιουμενος; insignito d'un ragguardevol posto militare fra gl'Imperiali. Le sue azioni giustificano il suo carattere, che Zosimo (l. V. p. 340) espone con visibile compiacenza. Agostino venerò la pietà d'Olimpio, che esso chiama vero figlio della Chiesa. Baron. Annal. Ecclesiastic. Ann. n. 19 ec. Tillemont Mémoir. Ecclesiast. Tom. XIII. p. 467, 468. Ma queste lodi, che il Santo Affricano dà così indegnamente, potevan procedere da ignoranze ugualmente che da adulazione.

<p>167</p>

Zosimo l. V p. 339, 339. Sozomeno l. IX. c. 4. Stilicone propose d'intraprendere il viaggio di Costantinopoli, per divertire Onorio da quel vano pensiero. L'Impero Orientale non avrebbe obbedito, e non si sarebbe potuto vincere.

<p>168</p>

Zosimo (l. V. p. 336-345) ha copiosamente ma senza chiarezza riferito la disgrazia e la morte di Stilicone. Olimpiodoro (appresso Fozio p. 177), Orosio (lib. VII c. 38. p. 571, 572), Sozomeno (l. IX. c. 4), e Filostorgio (l. XI. c. 3. l. XII. c. 2) suppliscono un qualche barlume.

<p>169</p>

Zosimo l. V. p. 333. Il matrimonio d'un Cristiano con due sorelle, scandalizza il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. V. p. 557.) che aspetta in vano di trovare che il Papa Innocenzio I. operasse qualche cosa in questo articolo, o censurando, o dispensando.

<p>170</p>

Si fa onorevol menzione di due suoi amici da Zosimo (l. V. p. 346.), cioè di Pietro Capo della scuola dei Notari, e di Deuterio, Gran Ciamberlano. Stilicone s'era assicurato della Camera; e fa maraviglia, che sotto un Principe debole tal precauzione non fosse capace di renderlo sicuro.