Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3. Edward Gibbon
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Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3 - Edward Gibbon страница 13

СКАЧАТЬ o concessi alle sollecitazioni de' rapaci cortigiani. Dopo di aver preso tali efficaci misure per abolire il culto, e per isciogliere il governo de' Cristiani, fu creduto necessario di sottoporre a' travagli più intollerabili la condizione di que' perversi individui, che tuttavia rigettassero la religione della natura, di Roma, e de' loro antichi. Le persone ingenue furon dichiarate incapaci di tutti gli onori ed impieghi; gli schiavi, privati per sempre della speranza di libertà; e tutto il corpo del popolo spogliato della protezion delle leggi. I Giudici furono autorizzati ad udire e a determinare ogni azione intentata contro un Cristiano, ma non era permesso a' Cristiani di querelarsi per qualunque ingiuria, che avesser sofferto; e così quegl'infelici settarj furon esposti alla severità della pubblica giustizia, nel tempo ch'erano esclusi dal benefizio della medesima. Questa nuova specie di martirio sì lento e penoso, tanto ignominioso ed oscuro, fu, per avventura, più atta ad istancar la costanza de' Fedeli: nè si può dubitare, che le passioni e l'interesse dell'uman genere non fossero in quest'occasione disposti a secondare i disegni dell'Imperatore. Ma la politica di un ben regolato Governo dovè qualche volta interporsi in sollievo degli oppressi Cristiani: nè era possibile, che i Principi Romani togliessero affatto il timore delle pene, o secondassero qualunque atto di violenza e di frode, senz'esporre la propria loro autorità, ed il resto de' loro sudditi a' più forti pericoli153.

      Appena fu quest'editto esposto alla pubblica vista nel lungo più frequentato di Nicomedia, che fu lacerato dalle mani di un Cristiano, il quale nell'istesso tempo espresse le più amare invettive il suo disprezzo ed abborrimento per tali empi e tirannici Governatori. Il suo delitto, secondo le più miti leggi, riducevasi a ribellione, e meritava la morte; e se fosse vero ch'egli era una persona di grado e d'educazione, quello circostanze non potevan servire che ad aggravar la sua colpa. Fu egli bruciato, o piuttosto arrostito a fuoco lento, e gli esecutori, bramosi di vendicare l'insulto fatto personalmente agl'Imperatori, esaurivano ogni finezza di crudeltà senza esser capaci di vincer la sua pazienza, o di alterar quel continuo ed insultante sorriso, ch'egli conservò sempre nelle ultime sue agonie. I Cristiani, quantunque confessassero che tal condotta rigorosamente non era stata conforme alle leggi della prudenza, pure ammiravano il divino fervor del suo zelo; l'eccessive lodi, che prodigalmente diedero alla memoria del loro Martire ed Eroe, contribuirono a figgere nella mente di Diocleziano una profonda impressione di terrore e di odio154.

      Ben presto si misero in moto i suoi timori alla vista di un pericolo, al quale appena egli potè sottrarsi. Nello spazio di quindici giorni, il Palazzo di Nicomedia, ed eziandio la camera in cui dormiva Diocleziano, si trovarono due volte in mezzo alle fiamme; e sebbene ambedue le volte queste fossero estinte senz'alcun danno considerabile, pure la singolar reiterazione del fuoco fu non senza ragion risguardata come un'evidente prova, che quello non era stato l'effetto della negligenza o del caso. Il sospetto cadde naturalmente sopra i Cristiani, e fu suggerito, con qualche specie di probabilità, che que' disperati fanatici, provocati dagli attuali lor patimenti, e temendo le calamità che lor sovrastavano, aveano formato una cospirazione cogli eunuchi del palazzo, fedeli loro fratelli, contro le vite degl'Imperatori, ch'essi detestavano come irreconciliabili nemici della Chiesa di Dio. La gelosia e lo sdegno prevalse in ogni petto, ma specialmente in quello di Diocleziano. Furon poste in carcere molte persone distinte, o per gl'impieghi da lor sostenuti, o pel favore di cui erano state onorate. Si mise in opera ogni sorta di torture, e la Corte ugualmente che la città restò macchiata da molte sanguinose esecuzioni155. Ma siccome non si potè scuoprire alcuna prova di questo misterioso fatto, sembra che autorizzati siamo o a presumere l'innocenza, o ad ammirar la fermezza di quei che soffrirono. Pochi giorni dopo, Galerio si ritirò in fretta da Nicomedia, dichiarando che se differiva la sua partenza da quel condannato palazzo, egli sarebbe caduto vittima della rabbia de' Cristiani. Gli Storici Ecclesiastici, da' quali soltanto possiam trarre una imperfetta o parzial notizia di questa persecuzione, non sanno come render ragione de' timori e del pericolo degl'Imperatori. Due di questi scrittori, uno Principe ed uno Retore, furon testimoni di veduta dell'incendio di Nicomedia. L'uno l'attribuisce al fulmine ed all'ira divina; l'altro asserisce, che fu cagionato dalla malizia di Galerio medesimo156.

      Poichè l'editto contro i Cristiani destinavasi a formare una legge universale di tutto l'Impero, e poichè Diocleziano e Galerio, quantunque non aspettassero il consenso de' Principi occidentali, eran sicuri però che ancor essi vi avrebber concorso, parrebbe più conforme alle idee che abbiamo di politica, che i Governatori di tutte le Province avesser ricevuto istruzioni segrete per pubblicar nel medesimo giorno questa dichiarazione di guerra ne' rispettivi loro dipartimenti. Almeno era da aspettarsi che la facilità dello pubbliche strade e delle poste, già stabilite, avesse posto in grado gl'Imperatori di trasmettere con la massima celerità i loro ordini dal palazzo di Nicomedia all'estremità del Mondo Romano; e ch'essi non avrebber sofferto, che passassero cinquanta giorni avanti che fosse pubblicato l'editto nella Siria, e quasi quattro mesi prima che fosse notificato alle città dell'Affrica157. Questa dilazione deve attribuirsi per avventura alla cauta indole di Diocleziano, che aveva contro voglia dato l'assenso alla persecuzione, e che desiderava di vederne una prova sotto i propri occhi, avanti di dar luogo a' disordini ed al disgusto, che inevitabilmente dovea cagionare nelle distanti Province. A principio, in vero, fu proibito a' Magistrati lo spargimento del sangue; ma fu permesso, ed anche raccomandato allo zelo di essi l'uso di ogni altra sorta di severità; nè i Cristiani, quantunque di buona voglia cedessero gli ornamenti delle lor Chiese, potevano indursi ad interrompere le religiose loro adunanze o a dare i loro libri sacri alle fiamme. Pare che la devota ostinazione di Felice, Vescovo Affricano, imbarazzasse i Ministri subalterni del Governo. Il Curatore della sua città lo mandò in catene al Proconsole; questi lo trasmise al Prefetto del Pretorio d'Italia; e Felice, che sdegnò fino di dare una colorita risposta, finalmente fu decapitato a Venosa nella Lucania, luogo celebre pel nascimento d'Orazio158. Parve che quest'esempio, e forse qualche rescritto Imperiale fatto in conseguenza di esso, autorizzasse i Governatori delle Province a punir colla morte i Cristiani, che ricusavano di consegnare i lor libri sacri. Vi furono senza dubbio molte persone che presero quest'opportunità d'ottener la corona del martirio; ma ve ne furono anche troppo altre, che si comprarono una via ignominiosa, scuoprendo e dando nelle mani degl'Infedeli le Sacre Scritture. Un gran numero eziandio di Vescovi e di Preti per questa rea condiscendenza ebbero il nome di traditori; e il loro delitto fu causa di un grande scandalo presente, e di gran discordia in futuro nella Chiesa Affricana159.

      Tanto s'eran già moltiplicate nell'Impero le copie o le traduzioni della Scrittura, che la più rigorosa inquisizione non potè cagionare alcuna fatal conseguenza, ed anche pel sacrifizio di que' volumi, che in ogni congregazione eran destinati all'uso pubblico, si richiese il consenso di alcuni traditori ed indegni Cristiani. Ma l'autorità del Governo e l'impegno de' Pagani poterono facilmente eseguire la distruzione delle Chiese. In alcune Province però i Magistrati si contentarono di far chiudere i luoghi del culto religioso; in altre più alla lettera eseguirono i termini dell'editto, e dopo aver tirato fuori le porte, i banchi, ed il pulpito, che fecero bruciare come un rogo funereo, totalmente demolirono il resto degli edifizi160. Forse a quella trista occasione si deve applicare un'istoria molto considerabile che si racconta con tanto varie ed improbabili circostanze, che serve ad eccitare piuttosto che a soddisfar la nostra curiosità. Pare che in una piccola città della Frigia, di cui non ci è rimasto nè il nome nè la situazione, tanto i Magistrati quanto il corpo del popolo avessero abbracciato la fede Cristiana; e siccome poteva temersi qualche resistenza all'effettuazion dell'editto, così il Governatore della Provincia ebbe il rinforzo di un numeroso distaccamento di legionari. All'avvicinarsi di questi, i Cittadini si ritirarono dentro la Chiesa, risoluti o di difender con le armi il sacro edifizio o di perire sotto le sue rovine. Rigettarono con isdegno la notizia e la permissione data loro di ritirarsi, a segno che irritati i soldati dalla lor ostinazione posero fuoco da tutte le parti alla fabbrica, e con questa specie straordinaria di martirio consumarono un gran numero di Frigj con le lor mogli e figliuoliСКАЧАТЬ



<p>153</p>

Molti secoli dopo, Eduardo I. praticò con gran successo l'istessa forma di persecuzione contro il Clero d'Inghilterra. Vedi Hume, Ist. d'Ingh. Vol. I. p. 300 dell'ultima edizione in 4.

<p>154</p>

Lattanzio solamente lo chiama quidquam etsi non recte, magno tamen animo ec. c. 12. Eusebio (l. VIII. c. 5) l'adorna degli onori secolari. Nessuno si è avvisato di far menzione del suo nome; i Greci però celebrano la memoria di lui sotto il nome di Giovanni. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. V. p. II. p. 320.

<p>155</p>

(Lactant. de M. P. c. 13, 14.) Potentissimi quondam eunuchi necati, per quos Palatium et ipse constabat. Eusebio (l. VIII. c. 6.) racconta le crudeli esecuzioni degli eunuchi Gorgonio, e Doroteo, e di Antimio Vescovo di Nicomedia; ed ambidue questi Autori descrivono in un'equivoca ma tragica forma le orride scene, che furono rappresentate anche alla presenza Imperiale.

<p>156</p>

Vedi Lattanzio, Eusebio, e Costantino ad Coetum sanctorum c. 25. Eusebio confessa la sua ignoranza intorno alla ragione del fuoco.

<p>157</p>

Tillemont Memoir. Eccl. Tom. V. Part. 1. p. 43.

<p>158</p>

Vedi Act. Sincer. Ruinart. p. 353. Quelli di Felice di Tibara, o di Tibur sembrano assai meno corrotti, che nelle altre edizioni, le quali somministrano un vivo saggio della licenza propria delle leggende.

<p>159</p>

Vedi il primo libro di Ottato Mellevitano contro i Donatisti dell'ediz. del Dupin; Parigi 1700. Egli fiorì nel regno di Valente.

<p>160</p>

Le memorie antiche, pubblicate al fine delle Opere di Ottato, (p. 261) descrivono in una maniera molto circostanziata come procedevano i Governatori nella distruzion delle Chiese. Facevano essi un minuto inventario de' vasi che vi trovavano. Sussiste ancora quello della Chiesa di Cirra nella Numidia: consisteva in due calici d'oro e sei d'argento, in sei urne, una caldaia, sette lampade, il tutto parimente d'argento, oltre una gran quantità di utensili di rame e di vestimentî sacri.