Mattinate napoletane. Di Giacomo Salvatore
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Название: Mattinate napoletane

Автор: Di Giacomo Salvatore

Издательство: Public Domain

Жанр: Рассказы

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СКАЧАТЬ tutta. Il piccino aveva fame. Raccolse perfino le miche cadutegli nel grembialetto. Pareva soddisfatto. Poi si mise a guardare innanzi a sè i fili del telegrafo, che dal parapetto della via, di faccia, declinavano, e scomparivano fra le case. Una cometa s'era impigliata tra i fili, la carta lacerata svolazzava. Un brandello fu strappato ai fili e portato via dal vento. Lungamente il piccino ne seguì la sorte con gli occhi, sbadigliando, poi chinò a poco a poco la testa da un lato e s'addormentò.

      GLI AMICI

      Nel maggio, mentre al più piccolo alito di vento le rose tenerissime concedono le foglie loro, disseminandole appiè d'un amoroso mandorlo ancora in fiore, mentre da per tutto ov'è collina, o giardino, o praticello passeggiano gravemente al sole gli scarabei e sbadigliano, alta la testa viperina, le lucertole verdi, mentre il bosco è tutto in chiacchiere di uccelli gelosi e si spande per la fresca campagna l'indefinibile susurro degli insetti e una scia d'argento solca, sul cammino lentissimo della lumaca, un muretto nell'orto, mentre tutto questo, ch'è poesia dolcissima nell'aria buona o dolce, succede lontano dalla città romorosa, qui la prosa cittadina va trascinando per le vie cenci e magre suppellettili borghesi, sciorinati al sole di maggio tra il polverio, le bestemmie dei facchini o il loro copioso sudore di bestie affaticate. Si compie di questi giorni la frettolosa bisogna dello sgombero, ed è un transito incessante di cose che parlano, un viaggio di segreti trabalzanti su pel rotto selciato napoletano. Il lettuccio, la spinetta antica, la poltrona favorita, il boccaletto a fiori, ove così spesso l'amata ha bevuto i pensieri dell'amante, il misero lume a petrolio onde furono rischiarate, presso agli esami, le veglie laboriose d'uno studente di medicina, la gran seggiola a ruote d'un paralitico, il canterano da' foderi cigolanti in fondo ai quali ammucchiò tutto un tranquillo epistolario amoroso la fiamma d'un impiegato alla Ferrovia, lo spiumaccino invernale, ricordo della povera mamma morta, che usava di tenerlo sui piedi – tutto ciò passa innanzi agli occhi, nel sole, e cammina, e muta posto e va altrove, e passa da una luce d'un quinto piano all'oscurità di un pianterreno, o dal buio al sole, chi sa dove, chi sa dopo che amari rimpianti, e scompare.

      Or, sopra uno di questi carretti scricchianti, tra molte scatole da cappelli e un mucchio di cuscini, viaggiava una gabbietta. Dentro alla gabbietta c'era un canarino giallo. Le suppellettili mutavan posto: alla casa nuova la gabbiuzza fu appesa nel tinello che dava in un giardino. Di rimpetto, dietro certe grate fitte, si vedevano confusamente soggoli biancheggianti: c'era un antico monastero. Il figlio della signora, un ragazzo che odorava di poesia, appena fu alla nuova casa e, per la finestra del tinello, vide le monache, fu preso da un impeto sentimentale e stampò una sessantina di versi claustrali in un giornaletto letterario.

      Il povero canarino poeta pur lui, era stato tolto piccoletto al nido, e più non ricordava dove e come. Ricordava senza precisione certo aggrovigliamento di rami e di fronde, una fiorita stesa di piano, un gran pezzo di cielo azzurro – niente più. L'adozione era stata larga di cure e, dapprima, dolce fu la prigione. E lì come se fosse stato a San Pietro a Maiella, il canarino diventò un cantore elegantissimo, una specie di tenorino di grazia.

      – Bene, bene – esclamò il marito della signora – ecco il canarino che comincia a dirci qualcosa.

      E ogni volta che si trovava nel tinello a lavarsi la faccia, gli faceva lo zufolo col tovagliolo fra mani.

      La casa dalla quale era sloggiato era scura e silenziosa. Le finestre non davano sulla strada, riuscivano in un cortile abbandonato, dominio di terribili pipistrelli, qualcuno de' quali perfino veniva a sbatter l'ali intorno alla gabbiuzza, dove il povero canarino tremava di terrore. La bestiola, di sotto l'arco della finestra, non vedeva che i muri grigi del cortile dagli angoli ch'erano scale di polverose ragnatele, da' buchi neri che a notte diventavano case di nottole. Le carrucole nei pozzi stridevano, le secchie si urtavano, le serve, a prima ora, trovandosi tutte ad attingere, dicevano male della gente, appiccicando a ognuno un aggettivo che svegliava goffe risate per tutto il pozzo. Questa la vita del cortile. Una volta solamente il canarino uscì dalla sua malinconia. Una delle fantesche ripuliva la gabbia d'un altro canarino, lasciando cader giù nel cortile le boccate sfuggite del miglio, i rifiuti del prigioniero, e canticchiando. E come quel canarino, per la soddisfazione del miglio fresco e dell'acqua pulita, metteva, di tanto, piccoli gridi acuti, quest'altro credette di aver trovato finalmente qualcuno col quale potesse chiacchierare, nelle ore di noia.

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