Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!. Beltramelli Antonio
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СКАЧАТЬ per recarsi ad una fiera a Lione. Ora avvenne che, ad un certo punto, in uno svolto brusco della strada costiera, uno dei cavalli della diligenza adombrasse e si imbizzarrisse tanto da rovesciar tutto, giù per una scarpata. Nonno Felice uscì dal disastro con le ossa peste e nonna Tatiana anche; ma chi rimase moribonda sul colpo fu la madre di lei. Conveniva ricoverare la povera donna in qualche luogo per apprestarle le cure più urgenti. Giusto nelle vicinanze sorgeva una vecchia villa disabitata. Nonno Felice andò, pagò il guardiano, si fece aprire la villa e vi raccolse la ferita la quale poche ore dopo moriva. Ecco Tatiana sola, con uno sconosciuto. Ho sempre sentito raccontare che, quella notte, la passò come se fosse impietrita. Non pianse, non parlò, sedette accanto al letto della morta e stette per ore ed ore, gli occhi sbarrati contro l'ombra. Nonno Felice rispettò quel dolore, in disparte, raccolto nell'angolo più buio della stanza. Poi doveva essere ciò che fu. I due giovani andarono insieme a Bordighera. Ivi la nonna si fermò e il nonno proseguì per Lione con la promessa di ritornare. E ritornò perchè era innamorato. Gli zii mi hanno raccontato poi che Tatiana non voleva saperne di matrimonio; era una tartara selvaggia e voleva ritornare fra le sue steppe desolate. Amava l'Italia ma sentiva il doloroso incantesimo del suo triste paese. Nonno Felice non volle lasciarla. Partirono insieme e Tatiana non fu sua…

      Io ascoltavo allibendo. Non riviveva l'anima della remota antenata in quella di Giacometta?

      – … Tatiana non fu sua. Era una giovinetta gagliarda e fiera tanto da non temere di rimaner sola anche con dieci giovani. Sapeva volere e sapeva difendersi. Quando un uomo si imbatte in una simile creatura può dirsi perduto.

      «… Andarono, viaggiarono per più di un anno, durante il quale nonno Felice non dette mai notizie di sè alla famiglia. E a casa lo credevano già sperduto o morto fra le steppe della Siberia quando un bel giorno di aprile del 1820, una vettura si fermò dinnanzi a questa casa e ne discesero nonna Tatiana e nonno Felice. Ancora non avevano sposato e Tatiana non era stata di chi l'amava…

      «Però si era decisa ormai e nonno Felice la presentò come fidanzata. Ora, dall'arrivo alle nozze, non doveva correre più di una settimana perchè nonno Felice aveva molta fretta…

      – … Aveva molta fretta e combinò tutto in modo che non potessero sorgere impedimenti improvvisi. Però Tatiana non parlava mai. Giusto in quei giorni fu presa da una fra quelle grandi tristezze alle quali andava soggetta di quando in quando e nonno Felice, nonostante tutto il suo amore, non poteva trarla dalla profonda lontananza nella quale affondava…»

      Eravamo arrivati, camminando così passo passo, al muro del gelsomino di Spagna e Giacometta mi invitò a sedere vicino a lei sulla minuscola panchina.

      La storia mi interessava ormai troppo perchè avessi la mente ad altro.

      – Da quel tempo – riprese Giacometta con la voce più spenta e gli occhi semichiusi – da quel tempo nulla è mutato qui. I lunghi anni han lasciato le cose come erano. Anche allora c'era questo muro e lo stesso gelsomino. Tu hai veduto, in casa, la stanza dei nonni; la stanza verde, stile impero; nessuno l'ha toccata da quel tempo. Sono passati ormai tanti anni eppure dentro il canterale, nel primo cassetto, vi sono ancora dei gelsomini secchi. Li raccolse certo la nonna in un giorno della sua remota primavera e li lasciò là con la sua memoria. Io ho pensato tanto alla mia avola alla quale assomiglio. Certo qualcosa dell'anima di lei è in me! Però debbo raccontarti un altro episodio perchè tu capisca ciò che voglio dirti e tu mi comprenda in ciò che sono per fare.»

      Raccolse il volto fra le piccole palme aperte e si concentrò nella lontananza dei ricordi. La guardavo, preso dal suo fascino oscuro. Ella non era più presente come palpito e desiderio; il suo sangue si era di un subito acquetato. Vedevo come i suoi occhi celesti si smarrissero in una grandissima ombra quasi che ella comunicasse con l'ultravisibile e fosse, ad un tempo, vicina e lontana: nella profondità del mistero e con me, accanto a me nella tepida primavera d'amore.

      Incominciò una capinera a cantare sommessamente da una macchia di lillà.

      – Io non son nata qui – riprese. – Nacqui a Madera, nell'inverno di un triste anno che doveva lasciarmi al mondo senza nessuno. Mio padre era in America allora. La mamma morì pochi mesi dopo avermi partorito e il babbo volle seguirla a breve distanza, laggiù, nelle pampas dell'Argentina. Vissi a Madera fino ai cinque anni. Di quel mio tempo quasi di sogno non ricordo che una sivigliana, una giovane sivigliana che aveva il colore dell'ambra. Questa giovane mi raccontava certe storie che mi facevano abbrividire ed erano sempre storie d'amore e di sangue. Così, bambina com'ero, mi ci appassionavo tanto che volevo stare sempre con lei e sentirla parlare. Se vi ripenso, ho ancora nella mente la sua voce fonda, il volto malinconico e forte, i suoi occhi che lampeggiavano. Questa donna mi fece provare i primi brividi; tolse l'anima mia bambina dalla sua inconsapevole serenità.

      Giusto in quel tempo dovetti partire. Gli zii vennero a prendermi a Madera. Mi ricordo che piansi come una disperata e che non volevo saperne di seguirli. Ne avevo paura. Erano sempre serii. Mi parlavano, fin da allora, come se fossi stata una donna. Tu non li conosci bene; sono tanto buoni ma hanno attraversato la vita come due minori osservanti senza sapere niente di niente all'infuori delle loro cacce. Non hanno avuto mai un cuore di donna vicino; e la loro casa, come l'anima loro, manca di quella intimità, di quell'amorosa penombra che può portare solo una innamorata… Allora ne avevo paura. Se vollero condurmi con loro furono costretti a sobbarcarsi al peso di Paquita. Diversamente non avrei abbandonata l'isola dolce dove ho trascorsi i primi cinque anni del mio sogno terreno.

      Arrivammo in questo paese che era d'inverno. Un grigiore infinito; un gran freddo. Mi ricordo che, per i primi mesi, non feci che piangere. Abbracciavo stretta stretta Paquita e volevo mi riconducesse al bel sole della mia isola lontana. Non avevo veduto mai la neve; non avevo tremato mai dal freddo; e, al mio primo arrivo in questa casa, non vidi che neve ed ebbi a soffrire per il freddo che mi tormentava giorno e notte. Poi finii per abituarmi a tutto. Gli zii erano molto buoni benchè non si occupassero di me se non per dirmi buongiorno e buonasera. Così rimasi nella tua piccola città malinconica. Dopo un anno Paquita si ammalò e volle ritornare a Madera. La vidi partire quasi con indifferenza. Non piansi. La mia malinconia rimase serrata dentro di me; senza parole. Quando ci separammo, avevo incominciato a poter vivere tranquilla nella mia solitudine. Ho avuto una serietà precoce, Franzi, ho pensato e sofferto in quell'età in cui le bambine non conoscono che il riso e il sonno. A sette anni ebbi un'altra compagna: una istitutrice inglese; ma non mi piacque fin dal primo giorno e la trattai come una nemica. Fin da allora ero padrona di me stessa. Gli zii mi davano sempre ragione e mi lasciavano fare ciò che volevo. Ciò mi fece pensare prima del tempo. E diventai scontrosa; chiusi in me la mia tristezza; stetti giornate intiere senza uscire di camera o dispersa negli angoli più remoti del giardino. Poi incominciai a voler conoscere la mia vecchia casa dai tetti alle cantine; e girai, frugai, interrogai. Volli sapere tutto di tutto.

      «C'era allora, in casa, un vecchio servo che era venuto fanciullo al servizio dei Maldi e sapeva punto per punto la storia della famiglia, da cento anni a questa parte. Si chiamava Lorenzo e fu Lorenzo che mi illuminò circa un passato che apparve prodigioso agli occhi miei di bambina. C'era qualcosa di romantico e di misterioso nella storia della famiglia mia. Questo bastava per appassionarmi. Fu allora che conobbi nonna Tatiana.»

      Tacque e mi guardò senza levare il volto ma volgendo appena gli occhi dalla mia parte, mi domandò:

      – Ti annoio?

      Le risposi invitandola a proseguire; dopodichè riprese:

      – Nonna Tatiana fu la compagna de' miei silenzi. Per lunghe ore restavo estatica innanzi al suo ritratto, o chiusa nella camera verde dove ella aveva compiuta la sua breve gioia. Ormai non avevo che una ardente curiosità e cioè quella di conoscere fino in fondo la vita della mia misteriosa antenata. Lorenzo, toltone i fatti più salienti, non poteva darmi se non accenni vaghi e questo non mi soddisfaceva ormai più. Volevo saper tutto. Come ti ho detto c'era, e c'è ancora, nella stanza della СКАЧАТЬ