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СКАЧАТЬ rel="nofollow" href="#n84" type="note">84.

      Tornaron vane del pari le pratiche di suscitar Genova a gagliardi aiuti contro la Sicilia, tentate come dicemmo fin dai primi principi di quella guerra, e ripigliate da Carlo lo Zoppo dopo la pace con Alfonso, e or incalzate con maggior calore anche dal papa85. Ma Genova in quel tempo non curava nelle cose temporali l’autorità della cotte di Roma; e quanto alla corte di Francia, se volea tenersela amica per comodo de’ commerci, il medesimo interesse la tirava a restare in pace con Aragona e Sicilia, nè amava una briga con le loro forze navali congiunte e vittoriose, mentre avea a lottare con le rivali repubbliche marittime d’Italia. I guelfi di Genova per vero posponendo, come fanno i faziosi, l’interesse pubblico alle passioni di parte, s’erano indettati con l’Angioino; e privati corsali, in sembianza di far prede su i Pisani, stendean la mano contro i Catalani che con essi navigavano86; e la interruzione de’ commerci tra Genova e Sicilia, avvenuta in questo tempo, mostrava i pericoli della guerra, che l’acume mercantile conosce sì da lungi. Ma come dopo que’ sospetti giunse a Messian un vago romore d’armata allestita in Genova, galee già uscite in corso, prese fatte ne mari di Lilibeo; tutta la Sicilia sen commosse: e rammaricava l’assenza dell’Ammiraglio, inebbriato in Catalogna presso il re87 a comparir primo a corte, cavalcare con grande stuol di clienti, abbattere ne’ tornei le più forti lance di Spagna88. E Federigo, o quegli esperti consiglieri rimasi con esso alla siciliana corte, seppero antivenir questa guerra. Mandano a Genova un oratore, affidato in pubblico a salde ragioni, in segreto alla riputazion dei Doria e Spinola e di tutta parte ghibellina. Il quale nei consigli del comune tornò a mente l’antica amistà con Aragona, con Sicilia; le enormezze della ambizione e avarizia di casa d’Angiò contro Genova: or, mutando gli amici co’ nemici, non credesser pure soggiogar l’isola a un tratto, nè provocar questa guerra senta rovina de’ loro commerci; e pensasser alle avverse bandiere di Venezia e Pisa, che potrebber trovare nuovi compagni. Soverchiata da cotesti evidenti interessi della repubblica ogni briga papale, e venuti allo stasso effetto altri legati del re d’Aragona, si vinse il partito, che rafferma la amistà con Giacomo, si restasse il comune da ogni atto ostile a Sicilia; non fosse lecito a privati armarsi contr’essa sotto quantunque colore89. Per lealtà, e riguardo all’ammiraglio di Sicilia, sì pronto alle vendette, l’anno appresso gli fu resa incontanente una nave carica di grano per Pisa, predata da mercatanti genovesi, con quel pretesto della cerca di merci pisane: e aggiungevi il comune, indennità di lire duemiladugento, ambasciadori a Federigo, che lui e Ruggiero sincerasser della fede genovese. Mantenuta fu questa poi contro la seduzion di larghe promesse, e la riputazione d’un’ambasciata di molti cavalieri di re Carlo, col conte d’Artois e legati della corte di Roma, allo scorcio del medesimo anno novantadue. Perchè i cittadini, sebbene divisi e parteggianti, sì che due anni appresso vennero al sangue, d’accordo rifiutaron ora la lega col re di Napoli, promettendo solo rigorosissima neutralità; tantochè dispettosi, senz’alcun frutto partironsi gli ambasciadori90.

      Intanto volgean le cose d’Oriente ad estrema rovina: Acri in primavera del novantuno cadde sotto le armi d’Egitto: e le stragi dei battezzati, gli atroci trionfi degli infedeli91, davano argomento per tutta cristianità a lamentazioni piene di rabbia; correndo le lingue alla corte di Roma, e a’ tesori e al sangue sparsi contro Sicilia nel nome santo della croce. Però fu necessitata la romana corte a gridar addosso a’ maumettisti, tacendo alquanto di noi92. Rattenea ancora il papa un suo segreto pendìo a parte ghibellina, e l’amino tutto posto al vicino intento d’aggrandire i Colonnesi più che alla rimota ristorazione di Sicilia o di Terrasanta. Ed era molto abbassata parte guelfa in Italia, per quelle vittorie di Giacomo e de’ Siciliani93: il reame di Napoli scemo di danari, e di fortuna, e di territorio per le occupate Calabrie, governato da principe non guerriero, e stracco di tanti sforzi, male aiutavasi alla guerra94. La Sicilia non la rincalzava per non averne cagione; ella sicura al di dentro, nè vogliosa d’estender più in terraferma il dominio del suo re. Pertanto in questi due anni, ancorchè fossero corsi i termini della tregua di Gaeta, poco si travagliò con le armi. Turbolente passioni di feudatari, faceano in Calabria or perdere una terra, or un’altra acquistare. Blasco Alagona, capitano per Giacomo, il quale occupata Montalto, e sconfitto e preso Guidon da Primerano, guerriero di nome, già meditava più importanti fatti, per accusa di frode all’erario, tornò subito in Catalogna95. E lo stesso ammiraglio, rivenuto in questo tempo in Sicilia, e uscito a far giusta guerra, la governò debolmente.

      Allestite in Messina trenta galee, e sapendo da’ suoi rapportatori nessun armamento farsi ne’ porti di Napoli e di Brindisi, navigò di giugno milledugentonovantadue ver Cotrone, donde Guglielmo Estendard con parecchie centinaia di cavalli era per muover contro i nostri acquisti di Calabria. Il quale, scoperta la flotta, correa co’ cavalli a por l’agguato alle Castella, sotto il capo Rizzuto; e l’ammiraglio addandosene, tolta con seco picciola man di cavalli, spiccò per altra via il grosso delle genti: e sì da due bande assaltarono alla sprovvista l’agguato francese. Estendard, cupidamente cercato a morte da’ nostri, ebbe tre ferite, e il veloce cavallo il campò. Abbattutosi il suo all’ammiraglio mentre incalzava al passaggio d’un ponte, preser tanto fiato i nemici da poter lasciare il campo con minore strage; ma ne cadder molti prigioni; tra i quali un Riccardo da Santa Sofia, che posto a guardia di Cotrone da re Giacomo, l’avea dato agli Angioini, ond’or incontrò il sommo supplizio.

      Soddisfatto con questa scaramuccia all’onor dell’armamento, che la Sicilia forniva contro i nimici, Loria voltollo all’Arcipelago, sotto specie di combattere i feudatari francesi della Morea e le armi che teneanvi gli Angioini di Napoli, ma in effetto per saziarsi nelle solite scorrerie96, segnando la strada agli avventurieri che, finita la siciliana guerra dovean flagellare la Grecia con pari valore e avarizia. Corfù, Candia, Malvasia, Scio depredò o messe a taglia, sotto specie che avesser porto aiuto a’ Francesi: tolse a Scio gran copia di mastice; a Malvasia, oltre il bottino, l’arcivescovo, del quale poi ebbe grosso riscatto: e, radendo la Morea, fu a Corone, a Chiarenza; e prima a Modone virtuosamente combattè contro i Greci che gli tesero insidie. Tornatosi a Messina con più riccchezze che schietta gloria, seppe che i corsali di Positano ed Amalfi infestasser le nostre navi mercantesche; ond’ei divisava già con l’infante Federigo, alla nuova stagione portar su quelle spiagge quaranta galee e duemila fanti leggieri, arder barche e ville, e trinceratosi in un monta, dar il guasto a tutta la provincia; se non che trapelò in Napoli il disegno, e del tutto il dileguaro le pratiche della pace97. Perchè Giacomo trovossi in Aragopa nelle necessità medesime d’Alfonso; e alla Sicilia toccò nuovamente ber l’amaro delle dominazioni straniere. Dieci anni d’infelicissima guerra avean provato a’ nimici, che se la Sicilia vincer si potea, si potea soltanto in Ispagna. Ripigliaron dunque i trattati, tronchi dalla morte d’Alfonso; ai quali il re d Aragona tuttavia sforzavano il privilegio dal Valois, l’armi di Francia, le arti di Roma; e vi s’aggiunsero i brogli di Sancio re di Castiglia, che, per fuggir di trovarsi in mezzo a Francia e Aragona guerreggianti, sollecitava gli accordi in palese, a anco nascosamente pe’ partigiani suoi in quell’ultimo reame. Allor Giacomo, fatto accorto dall’espresso voler delle corti e della nazione tutta98, ch’ei tener non potrebbe ambo i regni, pensò lasciar la Sicilia, cagion di tanti travagli, che non rendeagli d’altronde più che l’Aragona nè obbedienza nè danari, pei limiti messi al potere regio, le misurate gravezze, la fatica e spendio della difesa. La morte di papa Niccolò d’aprile del novantadue, la guerra che scoppiò l’anno appresso tra Francia e Inghilterra, la lunga vacanza del pontificato, differirono mi non dileguarono la pace, comandata da interior forza nello stato aragonese. Calovvisi Giacomo più volentieri per profertagli terra e moneta, e soprattutto per isperanza СКАЧАТЬ



<p>85</p>

Raynald, Ann. ecc., 1291, §. 59; e 1293, §§. 15 e 16.

<p>86</p>

Annali Genovesi, in Muratori, R. I. S., tom. IX, pag. 601.

<p>87</p>

Bart. de Neocastro, cap. 119.

<p>88</p>

Montaner, cap. 179.

<p>89</p>

Bart. de Neocastro, cap. 119.

Raynald, Ann. ecc. 1292, §. 14 a 19.

Questa deliberazione della repubblica non si legge negli annali genovesi; ma gli altri fatti che vi si narrano la rendon probabilissima e forse necessaria, come la riferiste il Neocastro, aggiugnendo con grande esattezza gli stessi nomi del podestà e de’ capitani che son registrati ne’ detti annali sotto quell’anno.

Nel Capmany, Memorias, etc., tom. IV, docum. 6, si leggono le istruzioni date da Giacomo di Barcellona a 3 Aprile 1292, a Oberto di Volta suo legato in Genova. Il re d’Aragona si lagnava di armamenti fatti contro di lui, di qualche ostilità commessa in mare, e de’ commerci interrotti con la Sicilia; e chiedea che si assicurassero le amichevoli comunicazioni. Copie di queste istruzioni furon mandate a cinque fratelli Doria, tre Spinola, due Volta, due Escatrafico, Niccolò Fiesco, e Manuele Zaccaria.

<p>90</p>

Ann. genovesi, in Muratori, R. I. S., tom. VI, pag. 603, 604, 605.

<p>91</p>

Bart. de Neocastro, cap. 120.

Gio. Villani, lib. 7, cap. 145.

<p>92</p>

Raynald, Ann. ecc., 1291, §§. 56, 58, 59.

<p>93</p>

Gio. Villani, lib. 7, cap. 119, 121, 151.

<p>94</p>

La penuria di danari e debolezza del governo di Napoli in questo periodo, si scorgon da parecchi diplomi del 1292–94, nel citato Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 91, 102. 111, 115, 131, 132, 149.

Carlo chiedea danari per la guerra o col pretesto della guerra. Levò una nuova colletta che si chiamava il Terzo. Ibid., pag. 91 a 131.

<p>95</p>

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 18.

<p>96</p>

Bart. de Neocastro, cap. 121, 122, 123.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 19.

Montaner, cap. 159, 160, non senza anacronismi e altre differenze. Ei scrive queste scorrerie dianzi l’impresa di Giacomo nel 1289; fa depredar prima delle Isole e della Morea, anche Tolomitta e i mari d’Egitto, e poi Patrasso e Cefalonia, di che non fan motto gli scrittori siciliani. Costui e Speciale portano in Terra d’Otranto l’affronto con Guglielmo Estendard, che il Neocastro dice avvenuto alle Castella, ed io così anche ho scritto, per parermi il Neocastro diligentissimo in questo periodo. Delle minacce della nostra flotta su le coste pugliesi nella state del 1292, portan testimonianza tre diplomi nell’Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 95, 98.

<p>97</p>

Bart. de Neocastro, cap. 123, 124.

<p>98</p>

Si ritrae da tutti gli autori citati in questo capitolo; e assai vivamente dal soprannome di regina della santa pace, che dier gli Aragonesi e’ Catalani a Bianca, figliuola di Carlo II, quando si maritò con Giacomo per effetto di questo bramato accordo. Montaner, cap. 182.