La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele
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Название: La guerra del Vespro Siciliano vol. 2

Автор: Amari Michele

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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isbn: http://www.gutenberg.org/ebooks/47114

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СКАЧАТЬ dienne perpetuo attestato nell’ultimo capitolo. Poco appresso confermava ai Catalani mercatanti in Sicilia i tre privilegi di Giacomo; rendea comuni a tutti sudditi spagnuoli del fratello que’ dati specialmente ai cittadini di Barcellona. Talmentechè è una mirabile somiglianza tra i primordi delle due dominazioni di Giacomo e di Federigo, per trovarsi ambo nelle medesime necessità in Sicilia, e sperar dall’interesse privato dei sudditi in Aragona, gli aiuti che quindi lor contrastava l’interesse del re156.

      Poi si volse Federigo alia guerra. Tenne in Palermo l’ultima adunanza di quel parlamento; ove sedendo gli ottimati a destra e a manca del trono, a fronte i sindichi de’ comuni, il re con modesta parola, chiamando ogni suo potere da Dio, aringava; conchiudendo che rimbaldanziti i nimici, strignenti d’assedio Rocca Imperiale in Calabria, era uopo incalzarli per ogni luogo in terraferma; per pochi giorni più che si sudasse sotto le armi, i Siciliani asseguirebber premio di ferma pace; ei già li vedea azzuffantisi, vittoriosi, bagnati di novello sangue nemico. I quali detti fur tanto ne’ commossi animi, che non aspettato il fine, non serbato ordine o modo, prorupper tutti in un grido di: «Guerra al nemico, guerra per la libertà;» e deliberossi per acclamazione. Il popolo applaudendo con maggior foga, chiedeva le armi; agguerrito, non stanco in quattordici anni di guerra157.

      Cavalcando il re per Messina, lo stesso amore il festeggiò a Polizzi, Nicosia, Randazzo, e per ogni luogo; e più a Messina, gareggiante con Palermo, allor solo in virtù. Quivi per lungo tratto fuor la città si faceano incontro al principe, con bandiere e pennoncelli e signorile abbigliamento, gli uomini di legge, onoratissimi in quel culto popolo; i nobili vestiti di seta, su cavalli ricoperti a drappi di oro; il clero venia salmeggiando; più presso alla città si trovaron brigate di matrone e donzelle, ricchissime di vesti, di gemme, di profumi orientali. Entrò Federigo per le strade parate e sparse di fiori; sotto un pallio portato da nobili uomini; precedendo un araldo che gridava le sue lodi; rispondendo il corteggio e il popolo; e gli stessi bambini, dice lo Speciale, facendo plauso in braccio alle madri. Smontato al palagio, la madre, la sorella che sì l’amava, la prima volta il salutarono re. Confermò ai cittadini messinesi la libertà di mercatare per tutta la Sicilia portando o traendo derrate, ch’era gran privilegio tra’ sistemi proibitivi di quell’età, e loro l’avea dato l’imperador Federigo, l’ultim’anno del secol duodecimo158. Loria allestì l’armata con mirabile prestezza in quest’alacrità della nazione. Nè andò guari che il re, spiegando la prima volta in guerra, l’insegna delle sveve aquile nere in campo bianco inquartate con l’addogato giallo e vermiglio di casa d’Aragona, passò lo stretto, con fortissim’oste, e fu accolto in giubilo a Reggio159. Perchè questa e altre città di Calabria eran rimase in fede della nazione siciliana, non ostanti gli ordini di Giacomo. Più se ne eran perdute; a ridur le quali non bastava, per aver poche genti, il pro Blasco Alagona; ma le tenea in sospetto, e stringeva Squillaci.

      Su questa marciò dunque Federigo, poich’ebbe fatta la massa a Reggio. E al primo scorger la postura di Squillaci, domanda s’abbia altre acque che delle due riviere a pie del colle; e sapendo che no, fatte venir le genti dell’armata, le sparge sulla ripida costa che dalla città pende sul fiume, occupa intorno tutti i passi. Dondechè i terrazzani sitibondi, brucianti, che guardavan dall’alto la limpida corrente del rivo, e lor era vietata, disperatamente uscirono ad azzuffarsi co’ nostri; ma rotti da Matteo di Termini, e rincacciati entro le mura, per non trovare altro scampo al morir dalla sete, s’arresero a Federigo160. Lasciata Squillaci, ei sostò alquanto presso Rocchella, per deliberare i movimenti della guerra contro il conte Pietro Ruffo, che s’era afforzato in Catanzaro, ubbidito alsì da tutta la provincia.

      Quivi s’accese tra i nostri capitani una lagrimevole discordia. Perchè Ruggier Loria, grandissimo di fama, d’avere e d’orgoglio, pensava troppo d’essere primo o solo sostegno del nuovo principato: e allettandolo le arti di Giacomo e de’ nemici, che profferian alto stato a lui e a Giovanni di Procida e a tutt’altri stranieri gittatisi nella siciliana rivoluzione, tanto teneva ormai l’ammiraglio per Federigo, quanto questi e ’l reame di Sicilia si reggessero del tutto a sua posta. Per le medesime cagioni gli altri baroni, valenti anco in guerra, invidiavan profondamente l’ammiraglio, ed eran più grati a Federigo. A questi umori non mancò presta occasione. Volea il re oppugnar Catanzaro, avvisando che con essa cadrebbe tutto il paese: Loria, al contrario, congiunto di sangue col conte, lo dipingea fortissimo; però si lasciasse stare, s’occupasser le altre facili terre, Catanzaro si avrebbe per fame. In tal disparere, gli altri capitani non osavano in consiglio dir contro Ruggiero, perchè non li conficcasse di rimbrotti in qualche sinistro; non voleano lasciar passare non malignata la sua sentenza; ma con gesti e mormorar tra i denti, fean peggio che con parole. Federigo colse il cenno, e risoluto comandò di marciare su Catanzaro; l’ammiraglio apprestasse le macchine per lo assedio. Ed egli tacque e ubbidì.

      Messo il campo al castello, parve a Federigo assaltarlo dal Iato ov’era fabbricato sul piano; e volendo colmar di tronchi e fascine il fosso, con molto ardore egli stesso conducea le genti al vicin bosco; di sua mano dava con la scure per gli alberi; talchè fornita l’opera in poche ore, grande massa di legname si ammontò sullo spalto. S’udiron tutta notte squillar di qua e di là le trombe; stettero in arme gli assediati per timore, i nostri per impazienza del saccheggio, che promettea il re. Al far dell’alba, appena dato il segno, appianato in un attimo il fosso, le genti di mare leste scalavano. Ma un dispettoso comando le arrestò. Il conte, con l’acqua alla gola, chiama l’ammiraglio, mescolatosi, com’ei solea, tra i combattenti; gli offre darsi a patti, raccomandandosi a lui per lo comun sangue: e l’ammiraglio, fattogli cenno a tacersi, che non udissero i soldati, comandò di far alto, prima a suon di tromba, poi con voce e minacce egli stesso, galoppando qua e là sotto i muri; perchè i nostri, per tener già la vittoria, non sapeano spiccarsene. Corse indi Loria al re; n’ebbe una prima ripulsa, ma non restandosi per questo, e tirando seco altri baroni, tanto disse che, fremendone tutta l’oste, impetrò alfine l’accordo: si rendesser Catanzaro e le altre terre della contea, non avendo soccorso dal re di Napoli tra dì quaranta. Con giuramento e statichi il conte ratificò. Entrò nella tregua tutta la Terra Giordana, fuorchè Sanseverina, renduta ostinatissima alla difesa dall’arcivescovo, per nome Lucifero, che per lo suo gregge, Speciale dice, si giocava l’anima; e non ostia, ma umani corpi, non mistico vino, ma uman sangue offriva al Cielo. Federigo accampossi, per l’amenità del luogo, sotto Cotrone, ingaggiata dall’ammiraglio ne’ medesimi patti di Catanzaro161. E tenendo appresso di sè dodici galee, mandò l’ammiraglio col rimagnente della flotta e trecento cavalli su’ confini di Basilicata, a sovvenire Rocca Imperiale, duramente battuta dal conte Giovanni di Monforte162.

      Col solito ardire quivi sbarcò Ruggiero; avvicinossi al campo nemico; poi, accozzate le forze con frate Arnaldo de Poncio, prior di Sant’Eufemia, che combattea in quelle regioni per parte aragonese, vittovagliarono la rocca una notte, con sacchi di grano portati in groppa da’ cavalli, in ispalla da’ pedoni, in improvvisa fazione sugli assedianti. Di lì l’ammiraglio percote d’un altro assalto Policoro, presso alla foce dell’Acri; vi prende i viveri dell’oste di Monforte, e cento cavalli che stavano a guardia. E tornavane al campo di Cotrone tutto lieto, se un caso non facea divampar tra lui e il re la rattenuta ira163.

      Perchè durante la tregua, i terrazzani di Cotrone, venuti un dì alle mani co’ Francesi del presidio per private cagioni, e avutone il peggio, chiaman soccorso dal nostro campo, di là ov’era attendata la fiera gente delle galee; la quale, rapite in furia quelle armi che il caso offrì, salta dentro, rinnova la zuffa, e rifuggendosi i Francesi nel castello per postura fortissimo, entravi rinfusa con essi, pone ogni cosa a sacco ed a sangue. Intanto levandosi il romore nel campo, Federigo che meriggiava, desto dal sonno, così com’era senz’arnese, afferrata una mazza, lanciossi a cavallo, spronò al castello; e il trovò sforzato, e i suoi ch’uscivano col bottino. Ond’ei crucciosamente СКАЧАТЬ



<p>156</p>

Diploma del 3 aprile 1296, pubblicato dal Testa, Vita di Federigo II di Sicilia, docum. 8.

Non ho fatto parola della descrizione generale dei feudi, che sembrerebbe compiuta da Federigo in questo tempo, se fosse vera la data del diploma che pubblicò il di Gregorio, Bibl. aragonese, tom. II, pag. 464 e seg. La data è del 1296, ma si dee senza dubbio portare oltre il 1303, leggendovisi il nome della regina Eleonora, la quale sposò Federigo II di Sicilia appunto in quell’anno.

<p>157</p>

Nlc. Speciale, lib. 3, cap. 2.

<p>158</p>

Diploma dato di Messina il 15 maggio 1296, pubblicato dal de Vio, Privilegi di Palermo, fog. 35, e dal Testa, Vita di Federigo II, docum. 15.

<p>159</p>

Nic. Speciale, lib. 3, cap. 3 e 4.

Anon. chron. sic., cap. 55.

<p>160</p>

Nic. Speciale, lib. 5, cap. 5.

<p>161</p>

Nic. Speciale, lib. 3, cap. 6.

Tali accordi, fatti da capitani di castella quando credeano che il lor signore non poteali aiutare, non furon molto rari in questa guerra. La forma di essi e le condizioni, che a un di presso doveano esser le medesime, si veggono nel diploma di Carlo II, dato il 7 marzo duodecima Ind. (1299), docum. XXVI.

<p>162</p>

Fu costui il capitan generale di Carlo II, come si scorge da molti diplomi del r. archivio di Napoli, nel 1291–1293.

Veggasi ancora Elenco delle pergamene del r archivio di Napoli, tom. II, pag. 82, 91, 99, 131. Poi gli fu surrogato Guglielmo Estendard, per diploma del 30 aprile 1295, ibid., pag. 156. Nel 1299 fu rifatto capitan generale ad guerram in Calabria, Val di Crati e Terra Giordana, diploma del 29 giugno duodecima Ind., nel r. archivio sud. reg. seg. 1299, A, fog. 117.

<p>163</p>

Nic. Speciale, lib. 3, cap. 7.