Название: Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4
Автор: Ali Bey
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
isbn: http://www.gutenberg.org/ebooks/47667
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CAPITOLO XLVII
Viaggio a Damasco. – Monte Tabor. – Mare di Galilea. – Fiume Giordano. – Paese vulcanizzato. – Damasco. – Popolazione. – Grande moschea. – Bazar o mercati, e manifatture.
Partii da Nazaret il giorno 19 agosto in migliore stato di salute, che riconosceva da quel felice clima, e dopo due ore di cammino fra le montagne, arrivai a Canaan, celebre pel miracoloso cambiamento dell'acqua in vino. Da questa piccola città che può contenere al più cinquecento famiglie, scesi in una valle alla destra del Tabor, montagna di ragguardevole elevatezza, ove accadde la trasfigurazione di Gesù Cristo, ed alle di cui falde i Francesi diedero la famosa battaglia del Monte Tabor. Dai colli che chiudono la valle a N. E. vidi l'estremità del mare di Tiberiade, di Galilea; e feci alto presso al villaggio Stheltinn.
Il giorno 20 dopo aver passata una stretta gola tra le montagne tutte coperte di boschi, mi trovai quasi sulla spiaggia del mare di Galilea, che ha sette in otto leghe di lunghezza dal nord al sud, e due leghe di larghezza. Questo bel catino d'acqua circondato da alte montagne; l'atmosfera carica di grosse nuvole ammonticchiate che lasciavano appena sfuggire di quando in quando qualche raggio di sole; la città di Tiberiade, famosa per le sue acque termali posta sulla riva occidentale; finalmente il monte Tabor che signoreggia le circostanti montagne, presentavano ai miei occhi un'interessante veduta animata da numerose greggie che pascolavano in ogni lato.
La costa settentrionale di questo mare è tutta coperta di basalte, di lava, e di altri prodotti vulcanici: di modo che se le altre rive da me non vedute sono composte delle medesime materie, non sarebbe fuor di luogo il credere che il mare di Galilea fosse altre volte il cratere di un vulcano.
Salendo il pendio di N. N. E. vedemmo alcuni Bedovini a cavallo, che osservandomi in atto di difesa non osarono di attaccarmi. Presi riposo alle nove ore del mattino nel Khan, ossia casa del profeta Giuseppe, ove trovai un corpo di soldati mogrebini d'Acri, ed una cisterna d'eccellente acqua; a quaranta passi dalla quale sono le ruine di una altra, che la tradizione dice essere quella, in cui i figli di Giacobbe rinchiusero il fratello Giuseppe avanti di venderlo ai mercanti Ismaeliti. Ripresi il cammino alle dieci ore, e giunto sulla sommità d'una collina a N. N. E. mi si aperse innanzi un nuovo orizzonte di dove vedeva scorrere in profondo letto il fiume Giordano. Ad un'ora dopo mezzo giorno giunsi al ponte di Giacobbe (cantara Yacoub) di tre archi acuti di pietra sul Giordano, con un'antica fortezza alla testa occidentale allora occupata da un distaccamento di soldati del pascià d'Acri: ma circa sessanta passi al di là trovai altro corpo di soldati del pascià di Damasco. Queste due guarnigioni poste ai confini dei rispettivi governi, quantunque egualmente composte di turchi, pare che appartengano a differenti nazioni; tale è lo stato di indipendenza dei Pascià, e l'anarchia che regna nelle provincie dell'impero ottomano.
In questo luogo il fiume Giordano può avere sessantaquattro piedi di larghezza, e non è molto profondo, ma scorre rapidamente. L'acqua quantunque alquanto calda è buona, e le sue rive sono coperte di giunchi e di altre piante palustri. Siccome noi altri musulmani conserviamo una particolare riverenza per questo fiume, non mancai di bagnarmi, e di bere della sua acqua a sazietà. Fui qui raggiunto da una carovana assai numerosa, colla quale feci alto sulle rive del fiume.
Partimmo alle quattro e mezzo del mattino, e dopo un lungo e disastroso viaggio per luoghi alpestri, indi per una sterile campagna, entrammo in una piccola macchia, in fondo alla quale trovasi sopra un poggio il villaggio di Sassa, ove si passò la notte.
I campi Flegrei, e tutto quanto può dare un'idea della distruzione vulcanica, non sono che una languida immagine dell'orribile paese attraversato questo giorno. Dal ponte di Giacobbe fino a Sassa il terreno è composto di lava, di basalte, e di altri prodotti vulcanici: tutto è nero, poroso, tarlato, sicchè ci pare di viaggiare in una regione infernale: ma particolarmente presso Sassa vedonsi spaccature ed ammassi così spaventosi di materie vulcaniche, che fanno inorridire, pensando all'epoca in cui vennero lanciate dal seno della terra infiammata. Le spaccature, ed i bachi che vedonsi qua e là, contengono un'acqua nera come l'inchiostro, e per lo più puzzolente.
Da ciò apparisce chiaramente che questi paesi furono in altri tempi popolati di vulcani; e scontransi ancora varj piccoli crateri sul piano. Per un singolare contrapposto questo piano è chiuso a settentrione da una montagna, la di cui sommità inalzandosi fino alla regione delle nevi perpetue, offre al di sopra delle reliquie degli spenti vulcani l'aspetto di un perpetuo inverno.
Dopo due ore di viaggio cominciammo a trovare i segni della prossimità di una grande capitale, borgate e villaggi e giardini ad ogni passo. Alle otto e mezzo essendo saliti sulle colline che chiudono l'orizzonte, scopersi all'est un immenso piano, circondato al nord da alte montagne, tra le quali ne marcai una isolata dalle altre di gigantesca forma piramidale, alle di cui falde tra un'infinita quantità di giardini sorgono le torri delle moschee di Damasco; e tutta la campagna è seminata di villaggi e di alberi fruttiferi.
Riposatomi un istante nel villaggio di Daria posto entro ai giardini di Damasco, giunsi poco dopo mezzo giorno alle prime case della città dagli Arabi detta Scham.
Il viaggiatore che si avvicina la prima volta a Damasco crede di vedere un vasto campo di tende coniche; ma avvicinandovisi davvantaggio trova che queste tende altro non sono che un'infinità di cupole, che servono di tetto a quasi tutte le camere delle case nei sobborghi esteriori della città. Queste cupole e per la forma e per la grandezza loro rassomigliano perfettamente alle colombaie d'Egitto di cui si è parlato in addietro.
Le case dell'interno della città formate di più solidi materiali hanno d'ordinario due piani, ed il tetto piatto come nelle città dell'Affrica, avendo egualmente poche finestre e piccolissime porte, e la facciata senza ornati: ciò che unito al silenzio che regna nelle contrade dà alla città un aspetto tristo e monotono. Le strade sono ben selciate con marciapiedi assai elevati da ogni banda, di sufficiente larghezza, ma non livellati.
Credesi in paese, che Damasco abbia quattrocentomila abitanti: ma io sono di sentimento che, compresi anche i sobborghi, non ecceda di molto i dugento mila, tra i quali contansi ventimila cristiani cattolici, cinquemila scismatici, ed altrettanti giudei: al contrario delle altre città del Levante che per lo più hanno maggior numero di scismatici che di cattolici.
La maggiore moschea è un estesissimo edificio, in faccia al quale trovasi un magnifico serbatojo d'acqua, con una fontana di venti piedi di getto. Il caffè presso alla fontana è sempre pieno di oziosi. Sonovi molte altre moschee che non meritano d'essere descritte.
Damasco, siccome le altre città musulmane, non ha piazze pubbliche. L'uso di lasciare grandi spazj vuoti in mezzo alle città per renderle ariose e belle, è affatto ignoto ai musulmani; forse perchè dovendo provvedere al più urgente bisogno di temperare gli effetti d'un sole sempre ardente, pensarono soltanto a non dare troppa ampiezza alle strade, onde più facilmente poterle coprire colle frascate. Per altro a Damasco trovansi poche contrade abbastanza larghe, specialmente intorno al palazzo del Pascià, chiuse in modo dalle altre case, che non se ne vede che la maggior porta. In faccia al palazzo del Pascià trovasi il Kaala, fortezza che può esser utile a tenere in freno la popolazione; affatto inutile per la difesa della città.
I commestibili e le mercanzie d'ogni genere si vendono nelle botteghe poste ai due lati delle strade, che chiamansi Bazar, o Zok; alcune delle quali sono riccamente provvedute. Quale diversità fra questi abbondanti magazzini, e le povere e piccole botteghe del СКАЧАТЬ